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I 3 consigli dell’esperta per insegnare ai figli il loro vero valore senza l’ossessione della pagella

Contro la cultura della performance, l’autrice Jennifer Wallace ha recentemente proposto alcuni accorgimenti da praticare ogni giorno per far sentire i giovani utili e rilevanti per la comunità, indipendentemente dai risultati o dal profitto scolastico.
A cura di Niccolò De Rosa
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Lo studio e i voti sono senza dubbio elementi molto importanti nella crescita di un ragazzo. Attraverso la scuola i giovani si preparano alle sfide del mondo e costruiscono le basi per le future opportunità di studio, lavoro, autonomia. In alcune famiglie, però, le pagelle rischiano di diventare un giudice inflessibile per determinare la qualità di un figlio. Ogni decimo in più si trasforma in misura del valore personale, ogni risultato scolastico in un gradino della scala verso un futuro che deve, a tutti i costi, essere impeccabile. Il rischio è che la spinta al successo, quando diviene ossessione, perda la sua funzione educativa e inizi a corrodere la libertà, la curiosità e persino la salute emotiva dei giovani.

Negli Stati Uniti, e non solo, questa dinamica è sempre più osservata e analizzata da studiosi e professionisti. Tra loro spicca la giornalista e autrice Jennifer Breheny Wallace, che da anni si batte contro la cultura della performance e ne racconta le derive, soprattutto tra adolescenti e famiglie ad alto rendimento. Nel suo lavoro emergono storie di ragazzi che vivono monitorando costantemente voti, graduatorie, curriculum, come se da ciascuna cifra dipendesse la legittimità di essere amati o stimati. Wallace riferisce che alcuni giovani finiscono persino per chiedersi se il valore che hanno agli occhi dei genitori dipenda da quanto riescono a brillare.

La cultura del successo a ogni costo

La logica dell'ottenere "per valere" si presenta spesso come un biglietto garantito per un avvenire migliore: ottimi voti, collegi prestigiosi, carriere competitive. Ma sempre più ricerche raccontano il rovescio della medaglia, caratterizzato da un perfezionismo crescente, spesso correlato a manifestazioni di ansia e depressione.

Wallace ha dedicato anni a studiare il fenomeno, intervistando centinaia di famiglie. La sua riflessione è approdata anche nella creazione del Mattering Institute, un'organizzazione interdisciplinare nata per promuovere il concetto di mattering: la percezione di "contare", ovvero il sentirsi rilevanti per gli altri. Un'esperienza fondamentale per il benessere psicologico, la motivazione e l'autostima, soprattutto nel periodo delicato dell’adolescenza. Qui la performance non viene negata, ma ridimensionata. La domanda centrale diventa: come far sentire un giovane importante indipendentemente dai risultati?

Passare dall'Io al Noi

Secondo Wallace, uno dei passaggi chiave è spostare l'attenzione dei ragazzi da un costante "come sto andando" a una prospettiva sociale che sposti la questione sulla domanda: "dove posso essere utile?". Quando un ragazzo percepisce di avere un ruolo, anche minimo, nel mondo che lo circonda, costruisce un’identità più solida, radicata nel contributo e non nel giudizio. Per spiegare meglio il concetto, l'esperta ha riportato il caso di due bambini che, un pomeriggio qualunque, hanno aiutato un'anziana vicina a rastrellare le foglie. Un gesto molto semplice ma che, stando alla loro madre (che ha raccontato l'episodio a Wallace), ha molto colpito i piccoli, i quali hanno passato il resto della giornata a parlare dell'accaduto, stupiti da quanto fosse bello sentirsi necessari.

Aiutare come pratica quotidiana

Alcuni genitori, invece di domandare ogni sera come siano andati i compiti, introducono piccoli riti familiari, una sorta di lista di attività domestiche, appesa vicino alla porta, da firmare al rientro. Una piccolezza che però, giorno dopo giorno, aiuta i figli a riconoscersi non come "aiuti aggiuntivi" che ogni tanto danno una mano, ma come parti centrali della vita familiare. Wallace ha ricordato che diverse ricerche hanno confermato come la percezione di essere utili favorisca una maggiore resilienza e una capacità più salda di affrontare lo stress, perché non ci si sente ridotti a un numero o a una pagella, ma inseriti in una rete che ripone fiducia e riconosce il valore dei suoi componenti.

Spiegare per rafforzare il comportamento

Il modello degli adulti resta  ovviamente decisivo. Mostrarsi generosi, attivi e disposti a darsi da fare però può non bastare. Soprattutto con i bambini piccoli, serve raccontare ciò che si sta facendo, così da rendere esplicito il "perché" di ciò che si sta facendo: portare un pasto caldo a un vicino ammalato, mandare un messaggio a un'amica in un momento fragile, aiutare qualcuno in difficoltà e dire ad alta voce il motivo dell'azione. Sono piccoli "semi narrativi" che offrono ai ragazzi un copione emotivo da replicare, una grammatica della cura da interiorizzare.

In un'epoca che spesso riduce gli adolescenti alle loro performance, un simile atteggiamento trasforma l'impegno dei ragazzi in una forma di protezione per il loro carattere. Aiutare i giovani a scoprire modi di incidere sul mondo senza metriche e punteggi significa dare loro la consapevolezza di valere per ciò che sono, non per ciò che raggiungono. L'obiettivo, conclude Wallace, non è dunque eliminare l'ambizione o il desiderio di migliorarsi, ma ricordare che nessuna carriera, nessuna laurea, nessuna pagella può sostituire il bisogno umano più importante: sentirsi necessari e importanti per le persone intorno a noi. Solo così il successo, se e quando arriverà, sarà un risultato, e non un obbligo imposto dall'alto.

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