Cyberbullismo e ragazzi: secondo uno studio, anche essere esclusi da una chat può essere un trauma

Una notifica ignorata, una chat di gruppo dal quale si viene esclusi, un commento velenoso che scorre veloce sullo schermo. Tutti gesti che all’apparenza potrebbero apparire, ma che invece sono capaci di lasciare cicatrici profonde e di condizionare la vita di bambini e adulti fino alla vita adulta. A dirlo è un nuovo studio statunitense che ha raccolto una corposa documentazione di test e risultati clinici per dimostrare come il cyberbullismo – anche quello meno evidente e sottile – dovrebbe essere considerato un'esperienza infantile avversa (Adverse Childhood Experiences, in gergo specialistico), ossia un trauma vero e proprio che potrebbe incidere sul benessere emotivo e fisico a lungo termine di chi lo subisce.
Una ricerca su scala nazionale
Il lavoro, guidato dalla Florida Atlantic University insieme all’Università del Wisconsin-Eau Claire, ha coinvolto 2.697 studenti tra i 13 e i 17 anni. Gli autori hanno analizzato 18 modalità di aggressione e comportamenti vessatori online – dal furto d'identità allo stalking digitale – confrontandole con una scala clinica di disturbo post-traumatico (PTSD). Il risultato? Il 32 per cento delle differenze nei livelli di trauma era spiegato unicamente dall’intensità delle vittimizzazioni subite. In altre parole, maggiore era stata la "ferita emotiva" causato dall'atto di cyberbullismo, più intense erano le conseguenze anche a mesi e anni di distanza dalla vicenda.

Non serve offendere per fare male
Una delle scoperte più significative della ricerca pubblicata su BMC Public Health riguarda il fatto che, contrariamente a ciò che molti sembrano pensare, non sono solo gli insulti, le minacce o le persecuzioni online ad arrecare danni emotivi e psicologici alle vittime. Anche episodi erroneamente considerati "minori" come rimanere estromessi da un gruppo o diventare bersaglio di pettegolezzi virtuali fa maletanto quanto subire aggressioni verbali e fisiche.
"Non possiamo più liquidare certi comportamenti come poco gravi", avverte il criminologo Sameer Hinduja, fra gli autori principali dello studio. Ogni forma di cyberbullismo – per quanto sottile – mina la percezione di sicurezza e identità dei ragazzi.
Chi rischia di più
Dalla ricerca emerge che ragazze e pre-adolescenti presentano sintomi traumatici più accentuati. Tuttavia, quando si contabilizza la frequenza delle aggressioni, il genere e l’età passano in secondo piano: conta soprattutto quante volte si viene presi di mira. È un dato che richiama l’attenzione sulla quantità, oltre che sulla qualità, degli attacchi.

Quasi nove studenti su dieci hanno poi sperimentato almeno una delle 18 forme di cyberbullismo considerate. Numeri che fotografano un universo digitale dove l’ostilità è quasi la norma. E con oltre il 30 % degli adolescenti vittime di bullismo a livello globale, l’allarme è ormai planetario.
I possibili antidoti
Per offrire una speranza alle nuovi generazioni, studiosi invitano genitori, insegnanti e gli stessi ragazzi ad informarsi sempre di più riguardo simili traumi e la portata degli effetti che essi possono comportare: riconoscere i segnali di sofferenza, garantire ambienti sicuri e prevedere piani di intervento rapidi sono infatti precauzioni che possono salvaguardare la salute mentale dei ragazzi e, in alcuni casi, persino la loro incolumità.
"Serve formare docenti e operatori – sottolinea Hinduja – affinché rispondano con empatia e protocolli basati sull’evidenza scientifica". Fondamentale anche rafforzare fattori protettivi come la rete familiare, le amicizie solide e la resilienza emotiva. Secondo i ricercatori, dunque, il cyberbullismo, con i suoi confini sfumati, impone a tutti noi di ampliare lo sguardo: dall’aula scolastica ai server dei social, dalla psicologia clinica alle policy delle piattaforme. Solo unendo competenze – educative, tecnologiche, sanitarie – sarà possibile trasformare il web in uno spazio davvero abitabile per gli adulti di domani.