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Cos’è la regola dei 25 minuti e perché può aiutare i figli ad aprirsi: “Affrontiamo i problemi un po’ per volta”

Per aiutare i genitori a parlare con i figli creando un dialogo costante e sereno, lo psicologo J.Timothy Davis ha proposto una strategia – la cosiddetta “regola dei 25 minuti” – basata su brevi conversazioni ripetute nel tempo per favorire l’ascolto e far emergere ciò che davvero preoccupa i bambini.
A cura di Niccolò De Rosa
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Parlare con i figli non è sempre facile, soprattutto quando si tratta di affrontare questioni delicate come i problemi scolastici o le emozioni più complesse. Spesso, i genitori cadono nella trappola di voler risolvere tutto in un’unica, lunga conversazione. Ma secondo lo psicologo infantile J. Timothy Davis, esiste un modo più efficace: la cosiddetta "regola dei 25 minuti", un approccio che favorisce il dialogo con i bambini – e in particolare con i maschi – attraverso brevi ma costanti conversazioni. Davis ha recentemente raccontato il metodo alla CNBC, spiegando perché può davvero fare la differenza nel modo in cui i figli si aprono e si confidano con mamma e papà.

Affrontare la questione un poco per volta

La "regola dei 25 minuti" non significa dedicare ogni giorno mezz’ora al dialogo con i figli, ma piuttosto suddividere un tema complesso in circa 25 brevi conversazioni da uno o pochi minuti ciascuna. Davis suggerisce infatti di evitare i quei discorsi densi, pieni di domande e spiegazioni che possono sovraccaricare emotivamente i bambini. I più piccoli, in particolare, faticano a mantenere la concentrazione troppo a lungo, mentre gli adolescenti tendono a chiudersi di fronte a un confronto troppo diretto o invadente.

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Secondo Davis, questo approccio funziona perché permette al genitore di costruire un dialogo nel corso del tempo. "Se scomponi una grande conversazione in piccole parti in cui impari qualcosa, quella diventa la base per la chiacchierata successiva", ha spiegato. Non si tratta solo di evitare un momento sgradevole, ma di creare uno spazio sicuro e accogliente in cui il bambino sente di poter parlare senza giudizi o pressioni. Il vantaggio? Alla fine arriva comunque alla radice del problema, ma attraverso un percorso più naturale ed efficace.

Bilanciare gli interventi

Anche quando una conversazione sembra andare bene, è però importante saper dosare il momento. "A volte i figli iniziano ad aprirsi e il genitore ha l’istinto di approfittarne al massimo. Ma è proprio lì che bisogna fermarsi, prima di forzare troppo e trasformare un’esperienza positiva in una negativa", ha affermato Davis. In altre parole, meglio chiudere con il sorriso, lasciando qualcosa in sospeso per il prossimo dialogo, piuttosto che spremere ogni parola possibile in una sola volta.

parlare con i bambini

Come applicarle concretamente la regola

Per far funzionare questa tecnica, Davis ha consigliato di considerare tre elementi chiave: intenzione, tono e tempismo. Avere un obiettivo chiaro (capire cosa prova il figlio), mantenere un tono calmo e accogliente, e scegliere momenti in cui il bambino è più ricettivo – come durante un tragitto in auto o prima di dormire – possono fare la differenza. E per cominciare, basta una  frase piuttosto neutra  – "Ho notato che ultimamente sei un po’ pensieroso. C'è qualcosa non va?" – per avviare la conversazione.

Davis ha anche riportato l'esempio pratico di un genitore che scopre dall'insegnante di matematica che il figlio non ha consegnato i compiti assegnati. L'istinto potrebbe essere quello di arrabbiarsi e rimproverare duramente il ragazzo, ma coerentemente con il metodo, Davis ha invece consigliato di avvicinarsi gradualmente al problema, "spalmando" su diversi giorni le domande e le interazioni necessarie a capire perché non si siano fatti i compiti e scoprire se ci sono problemi più profondi dietro il mancato studio. Certo, si tratta di un approccio impegnativo, ma può rivelarsi molto efficace per evitare che i ragazzi innalzino un muro di fronte a un disagio e stimolarli ad aprirsi con serenità e condividere le eventuali difficoltà.

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