Cosa fare quando il bambino non mangia: i consigli e quando l’inappetenza deve preoccupare

L’inappetenza nei bambini è una condizione piuttosto comune che può mettere a dura prova la pazienza di molti genitori. Si manifesta con un calo dell’interesse verso il cibo, porzioni consumate con grande lentezza o, nei casi più marcati, un rifiuto totale di mangiare. Non sempre, però, si tratta di un problema: nella maggior parte dei casi, l’inappetenza è passeggera e legata a fattori del tutto fisiologici.
Nei primi anni di vita, ad esempio, i cambiamenti nell’appetito sono frequenti. Dopo i primi mesi di crescita rapida, l’organismo rallenta e il fabbisogno calorico diminuisce. Durante lo svezzamento poi, tanti bambini necessitano di tempo per abituarsi al nuovo regime alimentare e non è affatto raro che, almeno nei primi mesi, facciano qualche storia in più al momento della pappa. Inoltre, tra i 2 e i 6 anni, l’inappetenza può coincidere con una fase di esplorazione e opposizione in cui il bambino, attraverso il cibo, sperimenta una forma di autonomia e controllo. Altre volte, l’inappetenza può essere causata da stanchezza, stress, dentizione o banali malesseri stagionali, ma esistono anche cause più strutturate. In alcuni casi, il rifiuto del cibo può infatti essere il campanello d’allarme di un disturbo legato a problemi fisici (infiammazioni gastrointestinali, intolleranze alimentari, infezioni, comparsa dei primi dentini) o a fattori psicologici (ansia, difficoltà emotive o cambiamenti importanti nella quotidianità, come un trasloco o la nascita di un fratellino, che generano stress). È dunque importante osservare attentamente il comportamento del bambino, senza forzature, ma con un’attenzione continua.

Cosa fare quando il bambino non mangia
Se il bambino trasforma ogni pasto in una strenua lotta all'ultimo cucchiaino, il genitore deve armarsi di tutta la pazienza di cui dispone per mantenere un atteggiamento propositivo. Perdere le staffe e costringere il bambino a mandare giù il boccone può infatti portare il piccolo ad associare all'idea del cibo un'emozione negativa di stress e tensione, provocando un rifiuto del cibo ancora più netto. Oltre a ciò, altri accorgimenti molto importanti per superare questa fase di stallo sono:
- Incoraggiare il bambino con modalità e cibi alternativi: Varietà, colori e presentazioni creative possono stimolare la curiosità. Coinvolgerlo nella preparazione del pasto può renderlo più propenso ad assaggiare.
- Osservare i comportamenti del bambino: Un’improvvisa perdita di appetito potrebbe essere legata a un episodio stressante, a un cambiamento di routine o a sintomi fisici. Annotare questi elementi può aiutare il pediatra in una eventuale valutazione.
- Non giudicare o rimproverare il bambino: Etichettarlo come "capriccioso" o "difficile" rischia di inasprire il rifiuto. È meglio adottare un approccio sereno, senza trasformare il pasto in un banco di prova.
- Mangiare insieme: Il pasto condiviso è un momento educativo e relazionale. Il bambino impara per imitazione, e osservare genitori che mangiano con gusto può essere un potente stimolo.

Quando l’inappetenza deve preoccupare e cosa fare
In alcuni casi, l’inappetenza può diventare un segnale da non sottovalutare. Dietro tale atteggiamento potrebbe infatti celarsi una patologia o una condizione psicologica come il disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo. Pertanto è bene rivolgersi al pediatra se:
- Il rifiuto del cibo è prolungato: Se l’inappetenza dura più di due settimane o si ripresenta ciclicamente con una certa frequenza, è opportuno approfondire.
- Il bambino è molto piccolo e non può comunicare: Nei lattanti e nei bimbi sotto i due anni è più difficile interpretare i segnali. Se non mangia, piange spesso, è irritabile o non cresce adeguatamente, è importante intervenire.
- C’è un rifiuto netto verso qualsiasi cibo: Se il bambino respinge anche gli alimenti solitamente graditi, salta i pasti in modo sistematico o manifesta disgusto e disagio, è necessario approfondire le cause.
In presenza di questi segnali, il pediatra potrà valutare l’eventuale necessità di esami diagnostici o il coinvolgimento di altre figure, come il nutrizionista o lo psicologo infantile. L’importante è non sottovalutare mai il disagio, né da parte del bambino né dei genitori, che in queste situazioni hanno bisogno di essere sostenuti e orientati.