Come si parla il parentese, la lingua che i genitori usano con i bimbi, e perché è così utile

Chiunque abbia avuto a che fare con un bimbo molto probabilmente lo ha fatto, anche senza rendersene conto. La voce si fa più acuta, dolce, la parlata rallenta e le frasi diventano più cadenzate, quasi come se si stesse canticchiando. È il cosiddetto "parentese" (dall'inglese parent, "genitore"), ossia il modo con cui gli adulti parlano ai bambini piccoli e che, a differenza del baby talk (i versetti e le smorfie privi di significato che si fanno per interagire con un neonato), rappresenta un potentissimo strumento per lo sviluppo linguistico e cognitivo dei bambini.
La scienza ha infatti dimostrato come il parentese sia una forma di comunicazione strutturata e utile a impostare le prime "chiacchierate" tra bimbi e genitori, avviando quel lento processo che porterà i piccoli ad acquisire la parola e a imparare le regole di un dialogo efficace. Ad approfondire la questione è stata la ricercatrice Jane Herbert, professoressa associata di psicologia dello sviluppo all’Università di Wollongong, in Australia, che in un recente articolo pubblicato sulla piattaforma di divulgazione scientifica The Conversation ha ricordato tutti i benefici e le particolarità di questo linguaggio primordiale.
Le parole contano, anche prima della nascita
Già nel grembo materno i bambini iniziano a familiarizzare con le voci e i suoni che li circondano. Le ricerche hanno dimostrato che, una volta nati, i neonati preferiscono ascoltare la lingua che hanno sentito più spesso durante la gravidanza piuttosto che una lingua sconosciuta. Non solo, come spiegato da Herbert, sembra addirittura che prediligano una storia ascoltata ripetutamente nel pancione rispetto a una nuova, anche se letta da qualcun altro. Tutto questa sembra dimostrare che, anche se ancora non comprendono il significato delle parole, i bambini sono "sintonizzati" sulla lingua molto prima di iniziare a parlarla.

Non solo: ascoltare la voce dei genitori, sentire suoni familiari e vivere momenti di contatto fisico contribuirebbe anche a creare un ambiente sicuro e stimolante, ricco di occasioni per apprendere. "Considerata l'ampia esposizione della maggior parte dei neonati alla voce dei genitori, ascoltare passivamente la mamma o il papà che parlano può essere confortante" ha sottolineato l'esperta.
Cosa succede quando parliamo ai neonati
Quando un adulto parla con un neonato, il bambino non solo ascolta, ma osserva anche i movimenti del volto e i gesti. È proprio attraverso questi segnali che comincia a imparare le regole della comunicazione, a intuire i turni di parola che scandiscono una conversazione, e persino a imitare le espressioni. Herbert spiega che i neonati iniziano presto a vocalizzare in modo intenzionale, producendo suoni a cui i genitori possono rispondere per costruire un primo scambio "a due voci".
In questo modo, anche senza comprendere ancora le parole, i bambini imparano che il linguaggio è una forma di interazione, dove gesti e parole producono effetti nei confronti chi osserva e ascolta. La qualità di queste prime conversazioni – più che la quantità – gioca pertanto un ruolo cruciale nello sviluppo del linguaggio.

Non servono lunghi discorsi: meglio il "parentese"
Molti genitori si chiedono se sia utile parlare tanto al proprio bambino anche quando lui non risponde. Ma la professoressa Herbert ha chiarito come i monologhi infiniti non siano necessari: un linguaggio adulto, complesso e veloce rischia di essere difficile da decodificare per un neonato. Al contrario, a risultare davvero efficace è proprio il parentese, ossia un modo di parlare che utilizza tono acuto, parole vere ma pronunciate lentamente, con vocali allungate e intonazione melodica. È la classica voce "da coccole", naturale e istintiva per molti adulti. Questo modo di comunicare attrae l’attenzione del bambino e lo aiuta a riconoscere meglio le parole e la struttura del linguaggio.
Attenzione: non confondere il parentese con il baby talk
Nella sua riflessione, Herbert ha tenuto a evidenziare la distinzione tra il parentese e il baby talk. Quest’ultimo si riferisce all’uso di parole inventate o semplificazioni scorrette, come "bau bau" al posto di "cane" o "brum brum" invece di "macchina". Per quanto tenere e di immediata comprensione, queste parole non aiutano il bambino a imparare il linguaggio corretto. Il parentese, invece, utilizza parole reali, ma le adatta al livello del bambino, rendendole più facili da percepire e comprendere.

L'esperta ha anche citato una ricerca del 2018 condotta negli Stati Uniti che ha dimostrato come i bambini i cui genitori erano stati formati all’uso del parentese tra i sei e i dieci mesi, a quattordici mesi mostrassero un vocabolario più ampio e una maggiore capacità di vocalizzazione rispetto a quelli i cui genitori non avevano ricevuto alcuna istruzione.
Il ruolo delle conversazioni condivise
Con il tempo, i bambini diventano più interessati agli oggetti intorno a loro. Da circa nove mesi in poi, un modo efficace per stimolare il linguaggio è parlare di ciò che attira la loro attenzione: un giocattolo, un suono, un animale. Nominare ciò che stanno osservando o toccando, descrivere le azioni che stanno compiendo, rispondere ai loro gesti e suoni: tutto questo contribuisce alla crescita del loro vocabolario. Un progetto condotto dalla stessa Herbert ha mostrato che bastano 15 minuti al giorno di queste "conversazioni guidate" per un mese, con bambini di 11 mesi, per ottenere miglioramenti significativi nella comprensione e nell’uso delle parole già a 15 e 18 mesi.
In definitiva, creare un ambiente ricco di stimoli linguistici non significa parlare senza sosta, ma costruire interazioni significative: leggere un libro insieme, cantare una canzone, giocare usando parole semplici, rispondere ai versi del bambino come se fossero l’inizio di una conversazione. E come ha ricordato Herbert, "imparare a parlare non è solo una questione di esposizione alle parole, ma nasce dalle relazioni che il bambino vive fin dai primi giorni di vita".