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Avere un cane in casa può influire sulla possibilità di un bambino di sviluppare un’eczema: lo studio

Un nuovo studio europeo su quasi 300.000 persone ha scoperto come la qualità dell’ambiente e la convivenza con un cane durante il primo anno di vita può ridurre il rischio di eczema nei bambini con una specifica predisposizione genetica. La ricerca, la più ampia nel suo genere, suggerisce che l’ambiente domestico potrebbe influenzare lo sviluppo della malattia.
A cura di Niccolò De Rosa
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L’eczema è una malattia infiammatoria della pelle che colpisce un numero crescente di bambini nei Paesi industrializzati. Le sue cause sono ancora oggetto di studio, ma una nuova ricerca europea getta luce su come l’ambiente domestico e la presenza di un cane in casa possano influenzare la probabilità di sviluppare questa condizione, soprattutto nei bambini geneticamente predisposti. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Allergy, offrono una nuova prospettiva sull’interazione tra geni e ambiente nei primi mesi di vita.

Lo studio: oltre 16 ricerche e 300.000 partecipanti

Negli ultimi trent’anni, l’incidenza dell’eczema è aumentata rapidamente nelle aree più industrializzate del mondo. Attualmente si stima che ne soffra circa il 20% dei bambini e il 10% degli adulti nei Paesi ad alto reddito. L’eczema, o dermatite atopica, è una malattia infiammatoria cronica che provoca prurito, secchezza e irritazioni cutanee, con un impatto significativo sulla qualità della vita, soprattutto nei più piccoli.

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Per comprendere meglio le cause di questo aumento, un gruppo internazionale di ricercatori ha condotto la più ampia analisi mai realizzata sulle interazioni tra fattori genetici ed ambientali. Lo studio ha preso in esame i dati di quasi 300.000 persone provenienti da 16 studi europei, focalizzandosi su 24 varianti genetiche legate all’eczema e su 18 fattori ambientali presenti durante la gravidanza o il primo anno di vita del bambino. Alla guida del team, ricercatori della London School of Hygiene & Tropical Medicine, delle università di Edimburgo e Bristol, e del centro Helmholtz di Monaco.

Cani, fratelli maggiori e sistema immunitario

Tra i numerosi fattori esaminati – tra cui l'allattamento, uso di antibiotici, la presenza di fratelli o sorelle, il fumo in gravidanza e pratiche di igiene – solo uno ha mostrato un’interazione significativa con una specifica variante genetica: la presenza di un cane in casa. I bambini portatori di una particolare mutazione del gene vicino al recettore dell’interleuchina-7 (IL-7R), una proteina regolatrice del sistema immunitario, mostravano un rischio ridotto di sviluppare eczema se vivevano con un cane durante il primo anno di vita.

bimba con un cane

Test di laboratorio hanno confermato che, nelle cellule cutanee umane con quella mutazione, alcune molecole riconducibili alla presenza del cane possono ridurre l’infiammazione, anziché provocare una reazione allergica. Una scoperta che, seppur ancora preliminare, apre la strada a nuove ipotesi sulle modalità di prevenzione dell’eczema. Anche la presenza di fratelli maggiori sembrerebbe avere un effetto simile, ma i ricercatori sottolineano che servono ulteriori approfondimenti per confermare il legame. L’ipotesi più accreditata è che un’esposizione precoce a una maggiore varietà di microbi, attraverso animali domestici o altri bambini, possa aiutare il sistema immunitario a svilupparsi in modo più equilibrato.

Nessuna "cura a quattro zampe"

Nonostante l’interesse suscitato dal legame tra presenza di un cane e minor rischio di eczema, gli autori della ricerca mettono in guardia da interpretazioni affrettate. "I nostri risultati non giustificano l’introduzione di un cane in casa come misura preventiva", ha precisato la professoressa Sinéad Langan, autrice principale dello studio. "In alcuni casi, potrebbe persino peggiorare i sintomi nei bambini già affetti".

Il lavoro ha anche permesso di escludere forti interazioni genetiche con molti altri fattori ambientali analizzati, contribuendo così a indirizzare in modo più efficace la ricerca futura. Tuttavia, i dati raccolti non sono ancora sufficienti per trarre conclusioni definitive, soprattutto per quanto riguarda gruppi etnici diversi da quelli esaminati nello studio. Per ora, la raccomandazione resta quella di considerare ogni caso individualmente, senza affidarsi a soluzioni universali.

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