Adottare bambini e ragazzi già grandi: cosa deve sapere un genitore

Quando si parla di adozione, l'immaginario collettivo corre a pensare a bambini molto piccoli che trovano una nuova casa e una nuova vita insieme a una famiglia diversa da quella d'origine. In realtà, molte adozioni riguardano bambini e ragazzi già grandi, spesso con alle spalle storie di abbandono, affido o traumi che rendono l'incontro con una nuova famiglia un passaggio complesso ma profondamente significativo. Per adottare, la legge italiana richiede una coppia sposata da almeno tre anni (o con un periodo equivalente di convivenza stabile), con una differenza d'età tra adottanti e adottato compresa tra i 18 ei 45 anni, salvo deroghe.
Su Fanpage.it lo psicologo e psicoterapeuta Andrea Redaelli ha spiegato quali sono le sfide e le consapevolezze necessarie per chi sceglie di adottare un bambino o un ragazzo più grande, offrendo un’analisi lucida e profonda di un tema tanto delicato quanto importante.
Adottare bambini e ragazzi già grandi, quale approccio avere
L'adozione di bambini oltre i sei o sette anni richiede ai genitori un ulteriore salto di maturità e consapevolezza. Come sottolinea Redaelli, “più i genitori sono grandi, più gli abbinamenti avvengono con bambini più grandi per fascia d’età”. Non si tratta solo di un criterio anagrafico, ma di un equilibrio tra le energie, le aspettative e la fase di vita della coppia.

Accogliere un bambino che ha già una storia alle spalle significa rompere l’immagine idealizzata del neonato e accettare una genitorialità diversa, più consapevole, meno “biologica” e più relazionale. “Quando si parla di figlio biologico – spiega Redaelli – si scrive ‘figlio’ e si legge ‘figlio’. Quando si parla di figlio adottivo si scrive ‘figlio’ ma si legge ‘abbandonato’”.
È una distinzione che racchiude tutta la complessità emotiva dell’adozione: la necessità di accogliere una persona con un vissuto spesso doloroso e di costruire un legame nuovo, libero dalle aspettative. "Non si tratta di imparare tecniche educative, ma di creare spazio dentro di sé per accogliere qualcuno diverso da noi, diverso per storia e percorso", sottolinea lo psicoterapeuta. La genitorialità adottiva, dunque, non può essere e non deve essere un risarcimento al "lutto dell’infertilità", ma una scelta pienamente consapevole. Ecco perché anche per le madri e padri più affettuosi serve un grande lavoro interiore, un processo di elaborazione personale che aiuti i genitori a lasciar andare il progetto del figlio biologico per abbracciare pienamente quello del figlio adottivo.
Adottare un maggiorenne, è possibile?
In Italia la Legge 184 del 1983, ossia la normativa che regola le adozioni nel nostro Paese e modifica alcuni articoli
del Codice Civile che disciplina l’adozione dei maggiorenni, consente di adottare anche un adulto, ma la procedura è diversa da quella prevista per i minori. La domanda va presentata presidente del tribunale del luogo di residenza dell’adottante e, in alcuni casi, può essere richiesto l'intervento di un legale. Possono adottare persone con almeno 35 anni, che non abbiano discendenti legittimi e che abbiano almeno 18 anni più dell'adottato, anche se in casi eccezionali l’età minima può scendere a 30 anni. L’adozione richiede il consenso dell’adottante, dell'adottato, dei rispettivi coniugi, dei figli maggiorenni dell'adottante e dei genitori dell’adottato. Al termine della procedura, l'adottato acquisisce il cognome dell’adottante, il diritto agli alimenti e alla successione, ma mantiene i legami giuridici con la famiglia d’origine.

In molti casi, spiega Redaelli, si tratta di "un riconoscimento formale di un processo di affiliazione già avvenuto". Spesso riguarda ragazzi che, dopo anni di affido, desiderano appartenere pienamente alla famiglia che li ha cresciuti, chiedendo di portarne il cognome. L'adozione di maggiorenne produce dunque effetti giuridici specifici: crea un legame di parentela tra adottante e adottato, compresi i diritti successori, ma non interrompe quelli con la famiglia d'origine. È quindi un atto simbolico e affettivo, oltre che legale, che sancisce un’appartenenza reciproca maturata nel tempo. "Mi è capitato – racconta Redaelli – che genitori chiedessero l’adozione di un ragazzo ormai grande perché per loro era già figlio, e volevano che anche dal punto di vista successorio fosse riconosciuto come tale".
L'importanza del supporto emotivo e psicologico per genitori e figli
Molti bambini e ragazzi adottati portano dentro di sé una ferita profonda, legata all'abbandono oltre a esperienze di incuria, violenza, abusi o trascuratezza. Tuttavia, come spiega Redaelli, "è possibile che il bambino più grande abbia maggiore consapevolezza e comprensione di quello che ha vissuto e del processo adottivo e questo potrebbe anche favorire l'elaborazione del trauma e il processo di affiliazione con i nuovi genitori". Spesso questi ragazzi ricordano la loro storia, conoscono il nome della madre biologica, sanno dove vivevano. Alcuni, racconta lo psicoterapeuta, vanno su Google Maps a cercare la loro casa. Una consapevolezza che, se accompagnata e accolta nel modo giusto, può aiutare a costruire un legame più autentico e stabile con la nuova famiglia.

Il percorso può però essere affrontato insieme all'importate aiuto di una figura di supporto. Redaelli insiste sull’importanza del supporto psicologico e delle reti di genitori adottivi. Chiedere aiuto non deve essere vissuto come un fallimento, ma come un atto di responsabilità verso sé stessi e verso il figlio. È fondamentale confrontarsi con chi vive le stesse esperienze, perché il dialogo con altre famiglie adottive aiuta a comprendere meglio le dinamiche e a ridurre il senso di isolamento che spesso accompagna i primi anni di convivenza.
I consigli per modellare l'accoglienza educativa
Essere genitori adottivi significa anche imparare la flessibilità. Le regole restano indispensabili, ma non devono trasformarsi in confini rigidi: "Sono come gli argini di un fiume – spiega Redaelli – che, se troppo stretti, non riescono a contenere la piena. Serve allargarli quando la portata emotiva è alta". La pazienza diventa così un alleato fondamentale, insieme alla capacità di vedere oltre le apparenze, comprendendo che dietro a un comportamento oppositivo o a una difficoltà scolastica si nasconde spesso un dolore antico. L'esperto invita anche a prestare molta attenzione al linguaggio. Frasi come "Vai in camera tua" o "Non ti voglio vedere" possono riattivare nel bambino la paura del rifiuto. "Gli allontanamenti punitivi – spiega – colpiscono nel cuore chi vive il rifiuto come parte della propria identità".

Sul fronte scolastico, altro elemento importante per la costruzione di una nuova normalità per i bambini e ragazzi adottati, Redaelli non nasconde le criticità: "In teoria esistono referenti e linee guida per l’inserimento dei bambini adottati, ma nella pratica le scuole non sempre sono preparate o disposte ad ascoltare". L’ambiente scolastico, con la sua crescente richiesta di performance, può diventare un terreno difficile per chi porta con sé un vissuto di fragilità. Per questo è necessario costruire un dialogo costante con gli insegnanti e favorire contesti educativi inclusivi, capaci di riconoscere la complessità dell’esperienza adottiva.
"Essere genitori, non avere figli"
La riflessione di Redaelli si chiude con una distinzione essenziale: "Noi parliamo sempre di avere un figlio. Invece dovremmo parlare di ‘essere' genitori". L’adozione, soprattutto quella di bambini o ragazzi già grandi, è un atto di responsabilità, non di possesso. Richiede consapevolezza, umiltà e capacità di accogliere. Non esiste un manuale del genitore perfetto, ma esiste la possibilità di costruire legami solidi e autentici, dove il passato non viene negato ma integrato in una nuova storia familiare. Una storia che, seppur nata dal dolore, può diventare un percorso di rinascita reciproca per chi viene accolto e per chi sceglie di accogliere.