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Opinioni

Tassi ufficiali in calo, ma la crisi non passa

Le banche centrali tagliano i tassi ma i mercati non trovano pace. Il problema resta la stretta creditizia in corso e l’incapacità politica di colpire la spesa improduttiva, eliminare privilegi corporativi e dare risposte sistemiche.
A cura di Luca Spoldi
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Euro Bce

Rullo di tamburi: le banche centrali di tutto il mondo provano a dare ancora un po’ di ossigeno a debitori privati e sovrani tagliando il costo del denaro (la Bce l’ha ridotto oggi di un quarto di punto, la , così alle banche costerà lo 0,75% rifinanziarsi presso Eurotower con operazioni principali, ovvero l’1,50% con quelle marginali), allentando i limiti ai nuovi crediti (in Cina il tasso sui prestiti scende dl 6,31% al 6%, mentre le banche commerciali potranno prestare denaro al 70% e non più all’80% dei tassi ufficiali nel caso della migliore clientela), riattivando misure “non convenzionali” (come in Gran Bretagna, dove la BoE riapre il programma di acquisto di bond sul mercato con altri 50 miliardi di sterline che portano il totale a 375 miliardi).

 Il tutto mentre le stesse banche centrali continuano a ridurre la remunerazione dei depositi, per indurre in tutti i modi le banche a non tenere fermi i capitali ma ad investirli e così la Bce su depositi overnight non pagherà più alcun interesse (finora pagava lo 0,25%), la Danimarca addirittura applicherà un tasso negativo dello 0,2% (da uno positivo virtualmente nullo, 0,05%) per scoraggiare il costante afflusso di capitali (cresciuti solo a giugno del 19% a 511,6 miliardi di corone danesi), mentre in Cina lima dal 3,25% al 3% il tasso sui propri depositi bancari replicando una mossa già varata a inizio giugno (dopo tre anni di totale immobilismo).

Campane a festa e crisi se non finita almeno agli sgoccioli? Ma neanche per sogno: secondo la migliore (si fa per dire) tradizione borsistica oggi perdono quota le borse azionarie (con banche e assicurazioni tra le più penalizzate, anche per i motivi che già vi ho raccontato) e i bond “periferici” (il Btp decennale guida vede il rendimento rimbalzare al 5,98%, 21 punti base di rialzo, con lo spread contro Bund tedeschi che si riporta sul 4,59%, 28 punti base più di ieri), anche se non tutti visto che in asta l’Irlanda (assente da oltre due anni) riscuote un buon interesse e colloca facilmente tutti i 500 milioni della sua emissione di bond a tre mesi pagando l’1,8% di rendimento (un Bot italiano a 3 mesi rende attorno allo 0,7%0,8%), mentre pure la Spagna non solo colloca tutti i 3 miliardi di euro previsti di Bonos, ma vede un lieve calo del rendimento dei titoli a 3 anni (anche se sconta ulteriori rialzi per quelli a 4 e a 10 anni).

Il problema vero, tuttavia, non sono i mercati (anche se l’andamento dei mercati continua a pesare sulla soluzione della crisi): il problema resta che a fronte dell’azione di “supplenza” delle banche centrali le autorità politiche sia a livello nazionale sia europeo ancora non sembrano voler trovare soluzioni che pure ormai sono evidenti. In Italia l’ultima bozza di “Spending Review” sembra destinata a riaccendere polemiche che potevano essere superate da mesi, rinviando ancora una volta l’atteso taglio delle Provincie e limitandosi a rinviare (ma non a cancellare) il rialzo dell’Iva dal 21% al 23% di un anno (all’ottobre 2013).

Il tutto mentre continua il mercanteggiamento tra Governo e Regioni sulle spese per la Sanità (capitolo delicato certamente ma che andrebbe affrontato di petto da un governo tecnico che non dovrebbe subire i dicktat di mille lobbies politiche e clientelari) e mentre sulle professioni e altre liberalizzazioni è da tempo calato il silenzio (costringendo come spiegavo già ieri gli imprenditori italiani a subire il taglieggiamento legale da parte di caste come avvocati, notai e commercialisti, ognuno “forte” di una rendita garantita dalle leggi italiane e che spesso non trova contropartita all’estero, con l’evidente aggravio di tempo e di costi per chi un’azienda ha la malsana idea di costituirla nel “Belpaese”).

In Europa, poi, continua il balletto attorno al “meccanismo antispread” e al futuro ruolo della Bce, oltre che sui tempi e sui modi di una futura unione fiscale (e quindi politica) oltre che bancaria, il che certo non fa bene ai mercati i quali hanno la sensazione, come notano alcuni, che non avendo niente di meglio da offrire a Bruxelles si stia facendo il gioco delle tre carte, prima cercando (con le Ltro della Bce) di far riacquistare il debito di stati sull’orlo di fallimento da banche altrettanto poco in salute, poi di far ricapitalizzare le stesse banche (attraverso l’Efsf e poi l’Esm) attraverso gli stessi stati di cui sopra, il tutto con la Germania che (giustamente dal suo punto di vista) non ha alcuna intenzione di aprire ulteriormente il borsellino nonostante sia evidente che i fondi “salva stato” sono poca cosa e che se la Bce non avrà mano libera poco potrà fare contro la speculazione per “salvare” l’euro e i sovrani periferici.

Nel frattempo al centro della crisi l’occhio del ciclone resta rappresentato da un “deleveraging” ben noto alle aziende che si vedono ridurre i fidi o chiedere di rientrare dai prestiti già concessi come pure alle famiglie che attendono fino a un anno prima di ottenere un mutuo e che appare tanto inevitabile (stante il continuo aumento delle sofferenze su crediti e lo squilibrio ancora esistente in molti casi tra prestiti e depositi) quanto pericoloso in quanto, assieme alle manovre “virtuose” di rigore sui conti pubblici, rischia di far degenerare un rallentamento ciclico in una nuova dura recessione. La morale della storia qual'è?

Che l’unico modo per uscire da questa crisi resta la crescita. Per ottenere la quale occorre però tornare ciascuno a fare il proprio mestiere, la politica indicando gli obiettivi da raggiungere e possibilmente fornendo gli strumenti legislativi per poterlo fare, le banche fornendo il capitale alle aziende più meritevoli, le aziende impegnandosi nello sviluppo di nuovi prodotti e servizi e nella formazione di nuovo personale.  Formazione che è in ultima analisi il più prezioso tra gli investimenti che possiamo fare tutti noi, a livello individuale, imprenditoriale o statale che sia. Ma questo se mi seguite me l’avrete già sentito dire così tante volte da esservi stancati quasi quanto me di ripeterlo, no? Sperando che qualcuno “lassù in alto” ci ascolti: no, non Nostro Signore, molto più umilmente qualcuno di “lor signori” per le cui mani passa il destino di questo disgraziato paese che se si vuole e ci si crede può ancora farcela.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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