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Taranto, giudice rinvia sentenza al 2019: “Lavoro troppo, la schiavitù è vietata”

Alberto Munno, giudice tarantino, ha rinviato al 2019 una sentenza: “Prima è impossibile e la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo vieta la schiavitù”.
A cura di D. F.
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"La Convenzione dei diritti dell’uomo vieta schiavitù e lavoro forzato": con queste motivazioni un giudice  della II sezione del Tribunale civile di Taranto, Alberto Munno, ha rinviato al 2019 una sentenza per una causa tra due società che ha mosso i suoi primi passi nel settembre del 2014. Il magistrato ha annunciato che nei prossimi tre anni è oberato e che cause ben più vecchie hanno la precedenza. L'uomo, inoltre, ha spiegato di scrivere già 160 sentenze all'anno e che a questo ritmo è impossibile lavorare di più, anche perché altre 500 cause sono in attesa di una sentenza di primo grado e richiederanno anni perché ciò accada. Il 2016, 2017 e 2018 sono dunque "occupati" .

Nelle sue tre pagine d'ordinanza il giudice ha spiegato che per quest'anno sono state già fissate 160 sentenze, per il prossimo 114 e 60 per il 2018. A queste "dovranno aggiungersi non solo le udienze nei procedimenti collegiali, ma anche le ulteriori udienze di precisazione delle conclusioni e decisione delle cause". Il giudice tarantino può vantare un'alta produttività, ben superiore alla media, e quindi risulta così del tutto esaurita sino a fine 2018 la capacità lavorativa massima esigibile".

Secondo il giudice Munno, pur conteggiando il sabato "che non è considerato lavorativo in numerose amministrazioni statali anche di livello apicale", in un anno di 270 giorni lavorativi "il giudice civile può dedicare non più di 140 giorni allo studio dei processi e alla redazione delle sentenze e delle ordinanze monocratiche e collegiali, previo studio delle questioni giurisprudenziali". Gli altri 130, infatti, restano assorbiti dalla "celebrazione delle udienze tabellari monocratiche e collegiali, e dalle ulteriori attività di ufficio". "L'impossibilità giuridica di definire i giudizi in tempi più brevi – ci tiene poi a sottolineare il magistrato tarantino – è determinata dalle decisioni che vogliono l’erogazione del servizio demandata ad un numero di unità operative inferiore a quello necessario". Munno infine conclude: "La protrazione sine die dell’impegno lavorativo comporterebbe un’inammissibile compressione dei diritti inviolabili della persona umana del magistrato impiegato, essendo la durata massima della giornata lavorativa preordinata alla tutela dei diritti di cui all’art. 2 della Costituzione. La prestazione lavorativa senza limite di durata incontra il divieto di cui all’art.4 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, la quale, sotto la rubrica “divieto di schiavitù e del lavoro forzato', dispone al comma 2 che ‘non è considerato come lavoro forzato ogni lavoro che fa parte delle normali obbligazioni civili'".

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