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La depressione colpisce di più le donne, lo psicologo: “È un intreccio di fattori biologici, sociali e culturali”

Le donne hanno il doppio della probabilità rispetto agli uomini di sviluppare la depressione. Dalla biologia ai fattori socio-culturali, ecco cosa aumenta la predisposizione alla depressione, come prevenirla e curarne i sintomi.
Intervista a Dott. Antonio Catarinella
Psicologo psicoterapeuta specialista in psicologia clinica e consulente delle identità sessuali.
A cura di Elisa Capitani
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Per molte donne, sentirsi giù di corda, stanche o apatiche non è solo una sensazione passeggera, può essere il segnale di una depressione. Si tratta di un disturbo che colpisce circa il doppio delle donne rispetto agli uomini. Ma perché? Non è sicuramente questione di debolezza o fragilità, a influire sono una combinazione complessa di fattori biologici, sociali e culturali, che si intrecciano lungo tutto il corso della vita femminile, dai cicli ormonali alle pressioni sociali, fino ai modelli estetici e ai media. Capire questi meccanismi è fondamentale per prevenire e affrontare la depressione in modo efficace. Ne abbiamo parlato con il Dott. Antonio Catarinella, psicologo psicoterapeuta specialista in psicologia clinica e consulente delle identità sessuali.

Biologia, ormoni e genetica: il corpo che influenza l’umore

Gli ormoni femminili possono sicuramente incidere sulla regolazione dei neurotrasmettitori legati all’umore e quindi sulla depressione. "Alcuni periodi della vita della donna, come ciclo mestruale, gravidanza, post-partum o perimenopausa, possono influenzare la serotonina e la noradrenalina", spiega Catarinella. Anche la genetica gioca un ruolo: avere una familiarità con disturbi depressivi o disturbi bipolari aumenta la vulnerabilità. Tuttavia, puntualizza l'esperto, "non tutte le donne biologicamente predisposte sviluppano necessariamente depressione, perché i fattori biologici si intrecciano sempre con quelli sociali e culturali". Questo vuol dire che il corpo può certamente predisporre, ma non determina da solo la comparsa della malattia.

Pressioni sociali e culturali, il peso delle aspettative

Accanto alla biologia intervengono infatti fattori sociali e culturali. Le donne spesso devono gestire più ruoli contemporaneamente come lavoro, famiglia, relazioni, aspettative sociali. Il multitasking, le pressioni per essere sempre performanti e le discriminazioni di genere sono stress cronici che aumentano il rischio depressivo. Anche i social media possono aggravare il carico emotivo, soprattutto tra le giovani, esponendole a modelli estetici e confronti continui che incidono sull’autostima. Tuttavia, come sottolinea Catarinella, una rete di supporto solida fatta di amici, familiari, e colleghi, rappresenta un fattore protettivo fondamentale, capace di ridurre l’intensità dei sintomi, favorire l’aderenza ai trattamenti e prevenire ricadute.

Le fasi della vita femminile e momenti critici

Ci sono periodi particolarmente delicati nella vita di una donna, in cui il rischio depressivo può aumentare. La gravidanza e il post-partum, così come la difficoltà a concepire o vivere la maternità come si era sempre desiderato, rappresentano momenti di forte stress emotivo. Anche la fase in cui i figli lasciano il nucleo familiare e la menopausa comportano una ridefinizione del ruolo sociale e dell’identità personale, aumentando la vulnerabilità. A questi fattori si aggiunge la pressione dei modelli estetici e dei media, che mettendo in mostra modelle perfette e attrici impeccabili, influiscono negativamente sull’autopercezione, soprattutto tra adolescenti e giovani donne. Come spiega Catarinella, comprendere questi momenti critici permette di intervenire precocemente e con strategie mirate.

Sintomi, prevenzione e terapie

Riconoscere i segnali e i sintomi tipici di una depressione è fondamentale. Tra i più comuni ci sono la tristezza, la perdita di interesse nelle attività quotidiane, i cambiamenti di sonno e appetito, la difficoltà di concentrazione, il senso di colpa o, nei casi più estremi, i pensieri legati alla morte. "È sempre importante rivolgersi a un professionista: l’autodiagnosi può essere rischiosa", avverte l'esperto. I trattamenti più efficaci sono quelli integrati e basati sull’evidenza scientifica, come la terapia cognitivo-comportamentale per gestire pensieri autocritici e schemi disfunzionali o i più recenti approcci mindfulness per regolare le emozioni e ridurre le ricadute. In alcuni casi, quelli forse più seri, è indicato il supporto farmacologico per diminuire l’intensità dei sintomi. Come sottolinea Catarinella, "gli interventi vanno modulati sulla persona, considerando contesto di vita, genere e cultura", per ottenere un miglioramento reale e duraturo della qualità della vita.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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