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L’ex numero 1 del tennis mondiale stenta da allenatore: licenziato in tronco da un papà onnipresente

L’ex campione del tennis nonostante gli eccezionali risultati ottenuti, è stato licenziato dal papà del suo giovane talento. Alla base uno scontro di “culture”
A cura di Marco Beltrami
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Che fine ha fatto Marcelo Rios? L’ex tennista cileno capace di vincere 18 tornei in carriera, di raggiungere la finale degli Australian Open e soprattutto di prendersi il primo posto del mondo, ha intrapreso una carriera di allenatore. Il classe 1975, che ha avuto una vera e propria trasformazione fisica con un’esplosione muscolare e tantissimi tatuaggi, ha seguito negli scorsi mesi uno dei talenti più brillanti del panorama tennistico internazionale, ovvero il 17enne cinese Juncheng Shang.

Sotto la sua gestione, "Jerry" (questo il soprannome del giovane giocatore) ha inanellato 10 vittorie, un titolo challenger, una finale nello stesso circuito, e un balzo dalla posizione 362 a quella 195 del ranking ATP. Insomma tutto apparentemente sembrava andare per il meglio, con il sodalizio che portava i primi risultati. A sorpresa però ecco il divorzio, con Rios che è stato licenziato. Una situazione che ha lasciato di sasso in primis il cileno che ha appreso il tutto quasi per caso: nessuna comunicazione dal giocatore o dal suo entourage, ma direttamente dal suo agente: “Non mi hanno dato alcun motivo. Non mi hanno detto ‘non ti piace come ti vesti’, non mi hanno detto nulla. Il mio agente mi ha detto ‘cattive notizie, non continuerai con Jerry’”.

A quel punto Marcelo ha provato a chiedere spiegazioni, prendendo alla sprovvista sia Juncheng Shang che suo padre. Le motivazione date da Shang senior sono state incomprensibili, mentre il ragazzo ha fatto capire che il tutto fosse figlio delle scelte del genitore. Una situazione che ha spiazzato Rios, che a El Deportivo con la sua proverbiale schiettezza ha dichiarato: "Ho detto a Jerry che non lo conoscevo bene, e al padre che non poteva combattere ogni giorno. Deve uscire da se stesso, liberarsi oppure andrà all’inferno. Avrei capito se mi avessero licenziato dopo quattro flop, ma il ragazzo ha fatto due finali ed è 190, i risultati sono quelli. Ma non fa niente. Ti dico la verità: non mi divertivo con il padre".

In particolare all’ex campione non andavano giù gli atteggiamenti del papà del tennista, e la sua ingerenze durane le partite: "Una volta è esploso e sono andato a parlargli, mi ha detto che il figlio è molto giovane e io non dovevo spingerlo troppo in campo perché per me era facile essendo abituato a vincere Montecarlo o Roma. Di che c***o stava parlando? Sono l'unico numero uno nella storia ad essere un allenatore nei challenger, lo faccio perché voglio aiutarlo".

In particolare la metodologia di Rios prevedeva allenamenti molto duri, soprattutto in questa giovane età. Un passaggio essenziale a suo dire per fare un salto di qualità: "Per me un professionista si allena due ore e mezza la mattina e due ore e mezza il pomeriggio, più fisico. Ma loro hanno una cultura diversa, si fermano per qualsiasi cosa. La settimana in cui il padre ha avuto il Covid non abbiamo potuto allenarci. Fa cinque passi avanti e poi torna indietro di 10". Per non parlare poi delle difficoltà di comunicazione, soprattutto con il papà. Per questo c’è stata una resa dei conti, relativa sempre alla tipologia di lavoro imposta da Rios: "Il padre ha affermato che ero molto esigente, che noi sudamericani siamo una cultura molto diversa, che siamo ragazzi che vanno al fronte. Che non è abituato a questo. Quindi, gli ho detto:’Facciamo qualcosa. Tu sei l'allenatore e io vado a casa’”. 

Rios comunque non è arretrato di un centimetro, intenzionato a seguire la sua strada per cercare di tirare fuori il meglio da Juncheng Shang: "Se a 17 anni deve tirarsi fuori la m***a, come tutti i suoi coetanei, Alcaraz è il numero uno a 19 anni. Gli ho detto che non avrei compromesso il mio modo di allenarmi. ‘Non è che perché mi paghi bene, ci alleneremo all'ora che vuoi. Voglio che tu sia tra i primi dieci, per vincere i Grandi Slam. Questo è quello a cui miro, non due challenger’.

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Troppa pressione dunque per il tennista e suo padre, che dunque hanno allentato la presa: "Ho chiesto a Jerry se gli piaceva il tennis e lui ha risposto ‘sì'. ‘Ma ti piace guardarlo o ti piace cosa c'è dietro?' risposi. E mi chiede cosa c'è dietro, e io rispondo che è sofferenza, fatica, crampi, preparazione fisica… Risponde di sì, ma facendomi capire che quel mondo non lo conosce e non lo vuole sapere esso. Ed è l'unico modo. Ti stavo dicendo che ho chiesto dei video dell'allenamento di Moya, di Nadal o anche di Alcaraz, in modo che potesse vedere il loro atteggiamento. Jerry, no. Sta fermo, guardando i punti scorrere via. Non ho spiegazioni. Penso che sia per questo”. E così il sodalizio è già finito, con il rimpianto di quello che sarebbe potuto essere e non sarà.

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