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Marco Branca: “L’Inter vince perché vede cose che altri non vedono, Calhanoglu è l’esempio clamoroso”

Marco Branca a Fanpage.it ha parlato di cosa fa oggi, della stagione vincente dell’Inter, del calciomercato dei nerazzurri e del modo in cui è cambiato il mondo dei trasferimenti: “Gli algoritmi sono utili ma con quelli non avrei mai preso Cambiasso, preferisco l’occhio”.
A cura di Vito Lamorte
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Dal Triplete alla nuova vita nell'agenzia di calciatori. Marco Branca è stato uno dei protagonisti di un’impresa storica per il calcio italiano. Prima dell’Inter, e attualmente è ancora così, nessuna squadra italiana ha mai vinto nella stessa stagione lo Scudetto, Coppa Italia e Champions League. L'ex dirigente nerazzurro dal 2021 è il Managing Director di First, agenzia di procura che tra gli altri cura gli interessi di Dani Olmo, ma è stato per diverso tempo lontano dai riflettori e dal calcio.

L'8 febbraio 2014 lasciò l'Inter e se ne persero le tracce, fino ad una notizia del 2019 che faceva riferimento ad un fondo con sede a Malta il cui obiettivo era quello di curare la gestione sportiva e finanziaria di giovani talenti. Tutto smentito dal diretto interessato. Qualche rumors lo aveva accostato alla Roma e al Cagliari ma non si è concretizzato mai nulla.

Il Cigno di Grosseto, così era stato soprannominato quando giocava, ha parlato del post-Triplete e ha detto il suo punto di alcune su discussioni animate che qualche giocatore ha svelato dopo essere andato via dall'Inter. Marco Branca a Fanpage.it ha parlato a 360° della stagione dell'Inter, delle operazioni di mercato dei nerazzurri e del modo in cui è cambiato il mondo dei trasferimenti, ha analizzato alcuni momenti della sua esperienza da dirigente e si è aperto sul suo futuro.

Marco Branca oggi che cosa fa?
“Io da due anni e mezzo, quasi tre, che sono direttore strategico dell'agenzia First e curiamo gli interessi di alcuni calciatori. Sono sempre nel ramo, non è il tronco ma è un ramo”.

Come mai uno come lei dopo l’Inter non ha più lavorato: è stata una sua scelta o è stato messo un po’ da parte dal sistema.
"Non c'è stata la chimica, non c'è stata la scintilla non c'è stato qualcosa che fino in fondo ci accumunava con chi mi ha fatto delle proposte".

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È più facile stare dalla parte del club o dalla parte dell’agenzia che cura gli interessi del calciatore?
"Credo che sia più divertente quello del dirigente. Quello dell'agenzia ha delle responsabilità diverse che sono più singole. Però se uno ha 7, 8, 9 giovanotti che deve far crescere può diventare una minisquadra. Ci vuole un grande lavoro ma il vero divertimento è quando hanno 14, 15, 16 anni, perché puoi avere la soddisfazione e la responsabilità di far crescere qualcuno anche dal punto di vista mentale. Non è facile, è un lavoro molto impegnativo perché basta davvero un niente per andare fuori strada."

C’è qualche calciatore che ha disatteso le sue aspettative quando l'ha preso?
“Devo dire che mi sono sempre reso conto di chi prendevo anche quando prendevo quelli che erano meno bravi. Per cui non ho mai avuto delle particolari sorprese”.

Ha fatto parte del ciclo più vincente della storia dell'Inter ma c'è qualche errore a cui magari ha ripensato dopo il 2011?
"No, direi di no. Abbiamo vissuto un periodo talmente eccezionale tutti noi, con il presidente Moratti, che è stato l'artefice principe, che non ci si può fermare su cosa non è andato. Da qualsiasi punto di vista uno la si guardava è stata una cosa incredibile, perché io ero uno che lavorava 13, 14, 15 ore al giorno. Per i primi 4 anni ho fatto in totale 6 giorni di vacanza perché volevo che la cosa funzionasse, capisce? E questo ti veniva trasmesso da una proprietà appassionata, educata, gentile e ambiziosa. Alla fine di questo periodo ho vinto 15 titoli, Moratti ne ha vinti 16, per cui ne ha condivisi 15 con me".

Niente rimpianti, quindi.
"Abbiamo vinto tutto quello che c'era da vincere, perché mi devo soffermare su quello che non è andato? Bisogna avere rispetto anche della fortuna che ti è capitata, del privilegio che ti è capitato. In qualsiasi squadra che vince tanto ci sono sempre giocatori che non dovevi prendere e che forse era meglio lasciare dove erano, ma anche loro vincono. Quindi conta vincere, quella è la differenza fondamentale e io ho avuto il privilegio di farlo con un presidente del genere, con una squadra del genere, con dei giocatori del genere e tutto è stato valorizzato dal piacere”.

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Si è parlato spesso di alcuni dissidi o di un rapporti tesi con i calciatori, dai racconti di Vieri nel suo libro alle parole di Thiago Motta dopo l'addio all'Inter: ci racconta il suo punto di vista, visto che si sa solo quello della controparte?
"Il mio punto di vista su queste cose è molto semplice. Posso capire che ci siano dei gradi di sensibilità e di intelligenza, comunque queste esternazioni sono venute da persone che chiaramente ho venduto no? E questo è già un punto. Quindi sa perfettamente che quando una persona viene mandata via da un club dove sta particolarmente bene, può esserci qualche situazione da affrontare. Generalmente tutto si ferma lì, poi dopo sta al grado di intelligenza e di educazione delle persone che commentano questa cosa. Io non ho mai voluto, perché subito dopo abbiamo iniziato a vincere e ci siamo tolti le soddisfazioni. Tanti dicono che le cose che si dicono e si fanno nello spogliatoio devono rimanere nello spogliatoio. Sono i giocatori per primi che dicono questa cosa, dopo c'è qualcuno che lo fa e qualcun altro che non lo fa. Non vale la pena commentare queste uscite".

Che annata è stata per l’Inter, in generale.
"La prima parola che mi viene in mente è pazzesca e la seconda parola è peccato, perché c'era la possibilità di fare un tragitto in Champions League con più soddisfazioni. Vedendo anche come sono andate le cose nelle ultime gare. Anche in considerazione del fatto che la squadra e l'ambiente avevano preso la consapevolezza giusta l'anno scorso perdendo immeritatamente la finale, pensavo che fosse un po' più preparata, mentre invece nella seconda partita è mancato qualcosa. Nella prima va bene, può capitare di sbagliare qualcosa perché tanto sai che c'è una seconda, ma se ti capitano le occasioni per fare gol devi capitalizzarle. Pensavo che fosse un po' più in là in questo percorso di crescita, però la stagione è sicuramente fantastica".

Cosa vuol dire per un tifoso interista poter vincere lo Scudetto della seconda stella nel derby.
"Allora su questa storia qua io sono piuttosto pragmatico. Conta vincere in funzione di una vittoria definitiva del campionato, poi dopo se c'è anche la soddisfazione per aver battuto la squadra della tua stessa città meglio, ma questo vale per tutti i derby. Chiaramente ora a livello di comunicazione si è più amplificata questo aspetto ma quello che conta è la vittoria dello Scudetto. Credo che questa cosa qui, se viene pensata dalla squadra, possa anche disturbare. Loro devono pensare a vincere la partita perché se non si dovesse vincere non deve diventare qualcosa per sminuire la stagione fatta. Bisogna essere molto attenti in questo. Farebbe sicuramente piacere vincerlo così ma non è una finale, vale 3 punti. Stop".

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Dal punto di vista del mercato, cosa pensa della strategia dei ‘parametri zero’ dell’Inter?
"Allora, credo che il momento economico storico non permetta troppi voli pindarici per cui bisogna per forza cercare di abbinare il parametro zero con l'effettiva utilità per la squadra. Ne ho fatti pure io, perché ho fatto Julio Cesar e ho fatto Cambiasso, che poi sono stati all’Inter tanto tempo. Come sempre, non si può generalizzare perché ogni situazione è diversa e ogni calciatore è diverso da un altro, ma credo che la differenza l'ha fatta la capacità di valutare alcune cose che altri non hanno visto. Un esempio clamoroso è quello di Calhanoglu. Perché l’ha preso l'Inter e non le altre squadre di alto livello che avevano bisogno in quel ruolo? Più bravi? Sì, ma c’è sempre bisogno della visione e della capacità anche nel capire determinate cose".

Lei ha visto nascere Piero Ausilio come dirigente all’interno dell’Inter: si aspettava potesse arrivare a questo livello?
"Sì, assolutamente. Lo portai con me nell'anno 2009-2010. Ha delle caratteristiche di applicazione, di memorizzazione delle esperienze fatte, delle cose viste, dette e sentite che hanno in pochi. Poi ha fatto un lungo percorso nel mondo del calcio. Io me l'aspettavo e sono molto contento per lui. Ha anche vissuto momenti difficili dal punto di vista della proprietà del club, ma si è districato bene".

C’è qualcosa che ha cambiato il modo di fare mercato in Italia negli ultimi anni, oltre alle difficoltà economiche…
"Più che cambiato c'è stata un'evoluzione nella forma degli investimenti. Ora ci sono più squadre rispetto a prima che vogliono fare rose che si possono autofinanziare, quindi vanno a fare degli investimenti piuttosto grossi su giovani calciatori che hanno talento. Il problema delle grandi squadre è sempre lo stesso, ovvero che devono coniugare questa cosa su un tempo minore, perché poi dopo c'è l'opinione pubblica che ti chiede di essere tra i primi in classifica. Sono cambiate le valutazioni, ci sono giocatori molto giovani che vengono valutati tanti milioni e questo ha peggiorato di tanto il modo di fare mercato da parte dei club. Dalla parte degli agenti va molto meglio perché ci sono dei giri di affari di tanti soldi per giocatori che hanno vent'anni. Ma la cosa che è peggiorata di più è la valutazione, diventata ormai un'ipervalutazione. Si usano tanto gli algoritmi, che credo che siano utilissimi, ma il miglior strumento’è sempre l’occhio umano. Se avessi dovuto basarmi solo sui dati, ad esempio, Cambiasso non avrei mai dovuto prenderlo, ma stiamo parlando di uno dei giocatori più vincenti della storia con 34 o 35 titoli vinti in carriera tra Inter, Real Madrid e Pireo".

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Invece sul fair play finanziario qual è il suo punto di vista: è stato applicato in maniera coerente con tutti in questi anni?
“Ogni anno c'è qualche causa, non so quante cause abbia il Manchester City e quante ce ne siano ora in atto. È una cosa che hanno voluto fortemente tanti anni fa molti proprietari del club che non ce la facevano. Poi dopo è sempre subentrata l'ambizione di vincere, per cui qualcuno ce l'aveva più spiccata degli altri e tentava di fare qualcosa di diverso. Ci vorrebbero dei controlli fatti esattamente in maniera uguale per tutti, questo sì”.

La bolla Arabia Saudita esiste ancora o si sta sgonfiando?
"No, secondo me ci sarà ancora una nuova ondata di investimenti, ma loro sono molto indietro dal punto di vista strutturale e ci stanno lavorando, però credo che ancora qualche anno durerà. Poi tutto sta alle persone, come abbiamo visto con alcuni che sono tornati indietro dopo pochi mesi. Se uno va in un posto scomodo e prende 100.000 euro, poi penso che si accontenta di 50 e resta dove sta. Lì c'è un incentivo economico che è spaventosamente alto per cui credo che in molti accetteranno questo sacrificio. Vedremo".

Cosa c’è nel futuro di Marco Branca. Si vedrebbe a dirigere l’area sportiva di un grande club in Italia?
"Sì sì, certo. Perché no. Io sono sempre apertissimo ad ascoltare tutti e aperto a nuove esperienze, sono pieno di idee e di entusiasmo, oltre ad essere sempre stato disponibile ai cambiamenti della mia vita. Da calciatore ho cambiato tanto, da dirigente sono stato fortunato perché ho incontrato la persona giusta e ho fatto per tanti anni questo lavoro per lui, ma non escludo mai nulla per il futuro".

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