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Gigi Garzya: “Primo stipendio da calciatore: 40 milioni, mica come oggi. Ora gestisco case vacanze”

Gigi Garzya a Fanpage.it ha raccontato la sua carriera da calciatore e da allenatore, ricordando anche quella famosa gaffe che la Gialappa’s Band fece diventare virale: “Mazzone non la prese bene ma poi gli passò, Mai dire gol era stupendo e mi faceva tanto ridere. Ci finii dentro anche io”.
A cura di Vito Lamorte
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Luigi Garzya ha vissuto il calcio in maniera viscerale dal campo e dalla panchina, ma ora ha detto stop. L'ex difensore di Lecce, Roma, Cremonese, Torino e Bari, dopo aver lavorato come vice allenatore e collaboratore tecnico tra squadra professionistiche e FIGC, ha messo un punto: basta inseguire palloni su e giù per l'Italia. La passione resta ma in maniera differente.

Salentino di San Cesario di Lecce, ha vestito la maglia della squadra della sua città ma nel corso della sua carriera è stato capace anche di diventare capitano dei rivali del Bari e lui stesso ha confessato che "non è stato facile". Ama la musica e gli piace leggere, ma non parlategli di ebook perché non la prende bene.

Divenne famoso per una frase nei confronti di Carlo Mazzone ("Sono pienamente d'accordo a metà col mister") che la Gialappa's Band fece diventare virale: a Fanpage.it Gigi Garzya ha parlato della sua carriera da calciatore e da allenatore, della vita in campo e fuori, dei giovani di ieri e di oggi.

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Cosa fa oggi capitan Garzya?
"Sono impegnato con le mie case vacanze a Lecce, nel centro storico. È un periodo molto pieno e c'è da stare sul pezzo, ma mi piace. Ho deciso di dedicarmi alla mia famiglia perché continuare a fare l’allenatore vuol dire stare fuori, andare da una parte all’altra e dopo tanti anni uno si stanca pure di fare questa vita".

Da ex calciatore che oggi fa l’allenatore: c’è davvero così tanta differenza tra i giovani di ieri e quelli di oggi?
"Sì, sono cambiati i tempi. Quando ero piccolo io non c’erano le scuole calcio. Faccio il mio esempio: a Lecce e nella provincia ai miei tempi tutti cercavano di portare i ragazzi dentro il club, l’obiettivo era quello. È cambiato il modi di vivere il calcio fin da piccoli, oggi anche in queste scuole calcio che ci sono in ogni angolo spesso e volentieri sono persone che fanno un altro lavoro e la sera fanno gli allenatori. È ammirevole dal punto di vista della passione ma non tutti sono in grado di essere dei formatori. Sono età delicate e complesse. Io non mi sognerei mai di fare il mestiere di un altro, che ne so l’elettricista, perché non lo so fare. Un conto è parlare al bar o scrivere sui social, un altro è mettersi le scarpe e preparare, fra crescere, una squadra di ragazzi".

Garzya è stato collaboratore tecnico della Nazionale italiana U20 ed U21: quali i giovani la impressionarono di più tra quelli che vide in azzurro?
"Quando alleni l’U20 sono già calciatori fatti. Orsolini, Barella, Romagna, Pezzella, Favilli, Mandragora… li ho visti da vicino e a quell’età si capiva che erano già pronti".

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Negli ultimi anni le giovanili dell’Italia fanno sempre risultati eccellenti e poi tutto il lavoro sembra perdersi con l’Under 21 e Nazionale maggiore?
"Naturalmente non tutti i calciatori hanno la stessa traiettoria. Molti si perdono un po’ e non riescono ad esprimere tutto il loro potenziale. Questo è un discorso molto delicato che si affronta, non noi, spesso con superficialità. L’Under 21, ad esempio, è una cosa che c’è solo in Europa ma ci giocano quello del biennio, quindi fino a 23: nel resto del mondo dopo la nazionale maggiore c’è l’Under 20. Solo qui c’è questo ulteriore step. Quando abbiamo fatto i Mondiali e siamo arrivati terzi c’erano calciatori del calibro di Valverde, Bentancur… loro ci puntano sui profili che si mostrano più interessanti. Non hanno paura e basta che prendi i due nomi che ti ho fatto per capire un po’ che lavoro fa solo l’Uruguay".

Torniamo un attimo al Garzya calciatore. Cosa vuol dire per un ragazzo di Lecce riuscire a giocare al Via del Mare?
"Giocare nella squadra della propria città era il sogno di tutti i ragazzi di quel tempo e lo stesso era per me. Ma devo dire che quel periodo eravamo un bel gruppo uscito dalle giovanili salentine…"

C’era Antonio Conte, e poi?
"Eravamo tutti i ragazzi del ’69. Io, Conte, Moriero, Petrachi, Morello… siamo stati insieme dai giovanissimi alla prima squadra. A quello che è andata peggio, ha giocato in Serie C. Salentini con la maglia del Lecce".

Cosa vuol dire per un leccese fare il capitano del Bari?
"Non è stato facile. Non me l’hanno fatta passare perché c’è grande rivalità tra le due tifoserie. Io sono stato sempre professionista, facevo il mio lavoro e dovevo farlo al meglio".

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Quanto è diversa la Serie A di oggi da quella dei suoi anni?
"Il motivo principale è economico. Per questo motivo la Premier League comanda ma questo non vuol dire che l’Arabia Saudita sarà migliore della Serie A. Il richiamo dei soldi per alcuni calciatori è normale, non va giudicato, perché tutti lo farebbero al loro posto. È un periodo che va così. Ai miei tempi tutti volevano venire qui da noi perché c’era il campionato più bello del mondo e c’erano i soldi. Magari in futuro cambierà. Una cosa che deve cambiare, spero presto, è il gap con le altre nazioni nelle strutture: è incomprensibile come non si possa costruire, ristrutturare, rimodernare in questo paese. Siamo troppo indietro sotto questo punto di vista".

Nonostante la Serie A abbia perso il suo appeal, gli ingaggi dei suoi anni non erano come quelli di oggi: si ricorda cosa ha fatto con il primo stipendio da calciatore?
"Oggi ci sono stipendi che non stanno né in cielo né in terra. Sono troppo esagerati. Prima non ti facevano il contratto a tante cifre dopo due partite ma dovevi sudartelo. Io prendevo 40 milioni, che non era né poco né tanto. Poi senti che le società hanno bilanci sempre ballerini… alcuni calciatori di oggi al mio tempo non avrebbero mai messo piede in campo. Se penso a Baresi, Nesta, Maldini… e quanto avrebbero dovuto guadagnare questi mostri?".

L’avversario più ostico da marcare?
"Io ho avuto la fortuna e la sfortuna di incontrare gli attaccanti più forti al mondi di quel periodo. Io ho giocato alla fine degli anni ’80, gli anni ’90 e i primi 2000. Tutte le domeniche era un macello. Dalle big alle piccole, non c’era mai respiro. Dai Maradona, van Basten, Signori e Ronaldo fino agli Hubner… non c’era mai una giornata tranquilla. Naturalmente molto dipendeva dal periodo che vivevano loro ed io: se loro stavano bene loro e non io, era un disastro. Se stavo bene io e male loro , comunque dovevo stare attento perché con una giocata potevano mettermi in difficoltà. Se stavamo bene entrambi, loro erano più forti di partenza. Quindi non era mai una passeggiata, ecco".

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Ha avuto un bel legame con il giallo e il rosso nel suo viaggio calcistico, visto che poi è arrivata la Roma.
"Il salto che uno sogna di fare per cercare di migliorarti e puntare più in alto possibile. Roma è Roma sia come città che come squadra. Giocare all’Olimpico è un’emozione stupenda, che auguro ad ogni calciatore. L’inno, i cori, le bandiere, gli striscioni… ogni domenica era diverso ed ogni volta era bellissimo. Ancora oggi mi vengono i brividi quando sento l’inno prima del calcio d’inizio".

Bari-Lecce, Roma-Lazio e Toro-Juventus. Qual è il derby più bello che ha giocato?
"Quello di Roma non ha eguali. Una doppia partita che vale spesso una stagione. Quando escono i calendari tanti guardano quando c’è il derby, la prima cosa. Se ne vinci uno è una stagione già quasi positiva, se li vinci entrambi stai in pace per molto tempo con la tifoseria".

Gigi Garzya coltiva degli hobby oltre al calcio?
"Amo la musica a 360°. Ho quasi 8mila cd, un formato che sta ritornando di nuovo nonostante il digitale ha preso piede. Sono stati negli USA a giugno e ho visto che sta riprendendo piede rispetto agli ultimi anni. Tutto ritorna, fa parte dei cicli della vita. Mi piace molto leggere i libri, quelli di carta non in digitale".

"Sono pienamente d'accordo a metà col mister": se la ricorda quell’intervista che la Gialappa's Band ha più volte riproposto in tv?
"Mai dire gol era stupendo e mi faceva tanto ridere. Ci finii dentro anche io. Non capisco perché non lo fanno più, anche oggi avrebbe un grande successo con tutte le cose che dicono. Non ho fatto nulla di male, ho semplicemente detto una cazzata. Non mi infastidì affatto, se non succedeva era meglio ma è capitato. Mazzone non la prese bene ma poi gli passò. Non capisco perché questa trasmissione non lo facciano più, anche oggi avrebbe un grande successo con tutte le cose che dicono".

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