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La NBA ai piedi di Steph Curry, un campione in missione: anello coi Warriors e titolo di MVP

La vittoria, i record e i canestri nella partita contro i Los Angeles Clippers rafforzano ulteriormente la candidatura del numero 30 dei Golden State Warriors al premio di MVP 2021-22.
A cura di Luca Mazzella
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Los Angeles Clippers contro Golden State Warriors, il tabellone recita 86-74 per gli ospiti dopo un incredibile pioggia di triple di Jordan Poole, gregario di lusso della squadra titolare del miglior record NBA. La squadra di Tyronn Lue prova disperatamente a restare a contatto, forte di una partita "normale" di Steph Curry, osservato speciale dalla difesa los-angelina e fino a quel momento in serata umana visti i suoi recenti standard. È però esattamente in quel frangente che, nel giro praticamente di un minuto e mezzo e in tre azioni consecutive, il favorito al premio di MVP decide di infiammarsi e prendersi game, set e match della disputa: prima tripla dietro ai blocchi, praticamente da 10 metri. Seconda tripla, pochi secondi dopo, fingendo proprio di prendere il blocco, cambiando repentinamente mano dietro la schiena e lasciando il difensore, Eric Bledsoe, piantato sul posto: anche qui solo cotone. La terza tripla è il tripudio di 90 secondi da extraterrestre e meglio di ogni altra descrizione ci sono solo le immagini:

Steph palleggia verso l'angolo sinistro, viene ben tenuto fuori dall'area dagli scivolamenti di Reggie Jackson e ancora Eric Bledsoe, arriva coi piedi in un vicolo cieco e con Luke Kennard pronto ad aiutare e nonostante tutto, braccato da tre uomini e con l'inerzia pronta a farlo uscire fuori dal campo, lascia andare una tripla che fa esplodere di gioia il pubblico di casa. Si, non il Chase Center ma lo Staples (ancora per poco, pronto a diventare Crypto.com arena), quello abituato alle prodezze di Paul George e LeBron James, che si inchina al più dominante giocatore di questo primo quarto di stagione NBA: Steph Curry. E che intona per lui il coro MVP-MVP, ad ogni canestro, tiro libero, assist dietro la schiena per il telepatico compagno di squadra Draymond Green.

Un'altra serata da fenomeno, l'ennesima, che dimostra quanto al momento il giocatore nato ad Akron si trovi in uno stato non solo mentale, ma anche fisico che non si ammirava dagli anni del doppio titolo di MVP 2015 e 2016. Un premio che, anche per la valenza simbolica del ritorno in grande stile all'età di 34 anni e dopo una stagione decisamente sottotono costellata da problemi fisici e un contorno non all'altezza, avrebbe un sapore diverso da quelli arrivati nella Golden State più dominante della storia recente NBA. Una squadra che, con ancora un giocatore chiave come Klay Thompson ai box (e proprio in queste ore assegnato alla franchigia di sviluppo con cui giocherà le prime gare "ufficiali" in G-League) continua a dominare gli avversari in attacco, grazie alle prodezze del suo campione, e in difesa, dopo in 20 gare su 20 da inizio anno gli avversari sono stati tenuti al di sotto dei 100 punti e del 50% dal campo. Merito di un sistema più rodato che mai, di una panchina incredibilmente lunga dove anche l'ultimo arrivato, il giramondo Gary Payton II (figlio di quel Gary Payton, si) spicca per abnegazione difensiva e agonismo, di un Draymond Green determinato a portare a casa il premio di Difensore dell'Anno (con tanto di endorsement di coach Kerr che a fine partita l'ha definito il migliore al mondo nella sua metà campo) e anche grazie, questa la vera notizia, proprio al folletto col numero 30. Che sembra aver preso particolarmente a cuore anche l'impegno nella metà campo notoriamente più debole della sua pallacanestro, toccando solo ieri quota 7 palle rubate ma più in generale sporcando diversi passaggi dei Clippers e scivolando egregiamente contro i suoi diretti avversari. Un altro argomento valido, validissimo anzi, per mostrare quanto bellicose siano le intenzioni dei Warriors 2021-22, al momento in proiezione giusta per battere il famoso record di 73 vittorie e 9 sconfitte che a sua volta aveva superato il 72-10 dei Chicago Bulls di Michael Jordan. Un migliorare quello che sembrava già obiettivamente impossibile da migliorare, cosa non nuova dalle parti della Baia di San Francisco.

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Steph Curry ha infatti toccato ieri quota 100 triple in 19 partite giocate, superando in velocità le 20 partite necessarie a raggiungere lo stesso numero di triple nel 2015-16 e nel 2018-19. Un superare record e asticelle posizionate a livelli già difficilmente replicabili per mostrare nel modo più veemente come le motivazioni, la forma fisica e l'affiatamento di squadra viaggino in un'unica enorme ondata che, sera dopo sera, sta posizionando sempre più in prima fila gli uomini di Kerr nella corsa al titolo NBA. E tra i problemi di vaccinazione di Kyrie Irving sponda Nets e quelli di disfunzionalità dei Lakers che anziché migliorare sembrano regredire ad ogni partita, prospettare una corsa a due con i Milwaukee Bucks campioni in carica e finalmente al completo non è più utopia. Con il vantaggio, in casa Warriors, di una superstar ancora di inserire nel motore. Per sgravare Steph dalle asfissianti attenzioni difensive e rendere ancora più devastante la potenza di fuoco di chi ha in testa un solo obiettivo: tornare sul tetto della NBA.

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