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I Miami Heat sono definitivamente tornati grazie a un Butler da MVP

Il rientro di Jimmy Butler ha ridato alla squadra finalista NBA energia e carattere. Oggi gli Heat difendono come nessuno nella lega, sono risaliti al quarto posto della Eastern Conference e sanno di potersi aggrappare al loro leader nei momenti cruciali della partita. E qualcuno azzarda: perché non considerare Jimmy tra i possibili MVP?
A cura di Luca Mazzella
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Partiamo volutamente da una scena: nella notte tra domenica e lunedì si è giocata, a Orlando, Miami Heat contro Orlando Magic.

I padroni di casa, considerate le assenze per via dei tantissimi infortuni, sono con il loro quintetto "base". La squadra di Spoelstra invece non ha a disposizione il suo big-man titolare, Bam Adebayo, e parte con l'inedita e per nulla indimenticabile coppia di lunghi composta da Kelly Olynyk e KZ Okpala. Le squadre si schierano per la contesa che apre il match, il lungo croato Nikola Vucevic è pronto a saltare per Orlando e si trova di fronte Jimmy Butler, non esattamente il centro degli avversari. La scelta del tutto inusuale racchiude in realtà una volontà ben precisa: dare subito un segnale alla squadra, vincere la contesa e iniettare una scarica di adrenalina nei compagni.

L'arbitro alza la palla e, effettivamente, il primo a toccarla è proprio Butler ma il tutto è macchiato da un'infrazione. Il giocatore, furioso, protesta e si rimette in posizione. Statisticamente, non era facile già la prima volta, figuriamoci se viene concessa un'altra chance al gigante di 2.13 che si trova di fronte. E invece, anche alla seconda palla alzata, è Jimmy a uscire vincitore con tanto di urlo liberatorio. Prima della gara aveva parlato con coach Eric Spoelstra, che gli aveva chiesto di avere un impatto vincente sin da subito. "E allora perché non partire dalla contesa?" è stata la risposta di Jimmy. È un flash, 1-2 secondi di una partita che durerà 48 minuti. Ma è il modo migliore per capire come i Miami Heat abbiano di nuovo un'anima e perché oggi siano prepotentemente tornati a fare paura alle grandi dell'Est.

L'effetto Butler

Come avevamo già detto prima dell'All-Star Game, il rientro di Jimmy Butler unito all'altro fondamentale recupero di Goran Dragic, giocatore dalle caratteristiche uniche in un roster povero di elementi capaci di creare punti dal palleggio, ha definitivamente cambiato volto ai finalisti NBA in carica, troppo brutti per essere veri a inizio stagione. La vittoria di stanotte contro Cleveland, undicesima nelle ultime dodici giocate, ha ulteriormente consolidato il quarto posto della di Miami nella Eastern Conference, immediatamente dietro il terzetto Sixers-Nets-Bucks partito con tutt'altre ambizioni e, al netto del recente infortunio di Embiid e della ponderata gestione di Durant sponda Philadelphia e Brooklyn, non preso di mira dalla sfortuna nella prima metà dell'anno come chi ha perso a turno praticamente tutti i giocatori più importanti del roster (oltre ai già citati Dragic e Adebayo anche Herro, Achiuwa, Harkless e Bradley hanno avuto problemi fisici).

Tanti addetti ai lavori avevano bollato gli Heat come delusione stagionale, rivalutando a posteriori anche le Finals conquistate pochi mesi e auspicando interventi sul mercato che dessero nuova linfa a un roster ormai demotivato e senza stimoli. Jimmy ha preso nota di tutto ed è rientrato da vero unico leader del gruppo, stravolgendone l'umore e trasformando i compagni in campo.

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Da quando è tornato dopo lo stop forzato per il covid-19 (che, ricordiamolo, gli ha fatto perdere 5 chili), il record di Miami è salito dal 6-12 iniziale all'attuale 22-18, abbondantemente sopra il 50% che a inizio anno sembrava irraggiungibile. Complessivamente, la squadra è 18-8 nelle gare giocate con Jimmy, 4-10 senza di lui. E, cosa più importante e manifesto dell'impatto del nativo di Tomball, è risalita dal 22esimo defensive rating della lega fino al quarto posto. Riducendo il campione in esame alle ultime 15 partite, gli Heat hanno addirittura la miglior difesa NBA.

Butler sta viaggiando a 21.7 punti, 7.8 assist, 7.5 rimbalzi e 2.2 palle recuperate e se non è la miglior stagione in carriera, poco ci manca. Prima della vittoria di stanotte contro i Cavs, Jimmy aveva messo in fila 6 partite consecutive da almeno 25 punti e 8 assist, scomodando niente di meno che Dwyane Wade, unico capace di farlo prima di lui nella storia della franchigia. Stanotte ha sì interrotto il filotto, ma chiudendo comunque a 28 punti, 12 rimbalzi e "solo" 4 assist.

La cosa davvero peculiare di Jimmy Butler è che, in attacco, Jimmy gioca secondo delle leggi tutte sue: nell'epoca dominata dal tiro da 3 lui tenta appena 1.7 tentativi a partita da oltre l'arco, un numero superiore solo alle triple prese ogni sera da Zion Williamson tra i giocatori capaci di segnare almeno 20 punti a sera. Il 60% dei suoi tiri arriva da una distanza tra i 3 e i 3.5 metri dal canestro e aggiungendo a tutto ciò anche i viaggi in lunetta (8.6, quarto in NBA) si capisce quanto Jimmy sia un giocatore unico nel lucrare sui suoi punti di forza e totalmente controcorrente rispetto alla massiva ricerca del tiro oltre l'arco che contraddistingue la stragrande maggioranza delle star NBA. E di quanto, da leader emotivo, vocale e tecnico della squadra, stia dando la scossa a un roster apparso scoraggiato, demotivato, quasi impaurito nella prima parte di regular season, con le sue giocate di pura energia e cattiveria.

In una lega come l'NBA ben attenta negli anni a differenziare, stagione dopo stagione, il concetto di MVP da quello di giocatore più forte, dando un peso enorme e fortemente simbolico al concetto di "valuable" e a quanto un giocatore sia in grado di impattare su un roster, c'è chi sta inserendo sempre più spesso il suo nome tra i possibili candidati. Una star anti-convenzionale, poco mediatica e decisamente anti-convenzionale nel modo di interpretare il gioco, ma straordinariamente unica nel suo genere.

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