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Golden State vola nella Western Conference in attesa del miglior Curry e del rientro di Thompson

Difesa e attacco che girano nel migliore dei modi, tanti assist, tutti i giocatori del roster coinvolti e uno Steph che viaggia ancora a marce basse. Con il rientro di Klay Thompson all’orizzonte e i giovani ancora tutti da scoprire degli ultimi 2 draft, in casa Warrios la parola chiave è ottimismo.
A cura di Luca Mazzella
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9 partite, 8 vittorie, 1 sconfitta, miglior record NBA. Al traguardo ne mancano più di 70, Playoffs esclusi, ma il campione resta sufficientemente attendibile e interessante per dire che quest'anno, sulla strada che porta al titolo, bisognerà nuovamente fare i conti coi Golden State Warriors.

Una squadra che è partita come meglio non si poteva e che, pur non godendo dei favori dei pronostici di pre-stagione, sembra forse l'unica delle "pretender" lontana da guai fisici e da difficili questioni tattiche da sbrigliare. Anzi, il gioco orchestrato da Steve Kerr, storicamente guru degli attacchi più godibili della lega nella Baia, sta valorizzando al massimo ogni singolo giocatore del roster mascherando anche quello che è un inizio totalmente normale – per i numeri a cui siamo abituati – del fenomeno Steph Curry.

I numeri di Steph Curry

Fatta eccezione per la 5 sole partite giocate nel 2019/20, gli attuali 25.1 di media segnati dall'asso dei Warriors sarebbero il minimo dalla stagione 2014/15 a oggi. Il 37,4% dall'arco, sempre al netto dell'annata con l'asterisco chiusa prematuramente, sarebbe addirittura il peggior risultato da quando Steph è in NBA. Numeri che anziché scoraggiare, rendono al meglio l'idea di quanto ancora inespresso sia del tutto il potenziale di questa Golden State che, attorno al suo leader, ha sviluppato un attacco fatto di movimento palla, coinvolgimento totale di tutti i giocatori in campo, tagli e scarsissimo ricorso agli isolamenti (terzultimi in NBA, guidano Nets e Celtics) che sta consentendo a Steve Kerr di ammirare le migliori versioni di tanti role players che stanno invece vivendo l'annata migliore della carriera, su tutti Jordan Poole e Damion Lee, 22 e 29 anni, giovane e "veterano" esplosi con più responsabilità e tanta fiducia da parte del coaching staff, o anche Gary Payton II, protagonista di entusiasmanti giocate nell'ultima settimana.

Le aggiunte di esperienza

In una squadra che contava già una delle menti cestistiche più evolute della lega, quel Draymond Green autentico uomo-barometro delle sorti soprattutto difensive dei Warriors negli ultimi anni, le firme estive di due giocatori su tutti, Nemanja Bjelica e Andre Iguodala (nel suo caso si tratta di un ritorno) hanno aggiunto non solo esperienza, ma elevata comprensione del gioco e una buona dose di playmaking secondario al servizio dei portatori principali di palla, consentendo a Kerr diversi esperimenti con quintetti piccoli e diversi passatori pronti a premiare il moto perpetuo delle altre pedine sul parquet.

La difesa

Per un attacco a tratti già sinfonico (30.2 assist di media a partita, primi in NBA) e comunque ancora migliorabile (i Warriors hanno "appena" il sesto offensive rating NBA, punti segnati per 100 possessi), una difesa finora vero fiore all'occhiello di Steph e soci. Golden State ha infatti il primo defensive rating NBA, su numeri che non si vedono da un'edizione degli Spurs datata addirittura 2003/04, con una media di punti subiti superiore solo ai 98.8 dei Denver Nuggets. Anche in questo caso, il lavoro della dirigenza in off-season con aggiunte tutt'altro che trascurabili come quelle di Otto Porter (nell'immaginario del coaching staff una sorta di Iguodala 2.0 con tiro da 3 e versatilità difensiva agevolata dalle lunghe leve) e del citato Gary Payton II, figlio d'arte, che proprio nelle ultime partite ha portato energia sui due lati del campo e un effort tutt'altro che trascurabile nella metà campo che per ora brilla di più in casa Warriors.

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I rinforzi sono già in casa

A chi, giustamente, contesta a questi Warriors un calendario finora molto semplice (terza schedule più facile con diverse squadre modeste incontrate finora, tra Pelicans, Kings, Thunder, Rockets e i disastrosi Hornets dell'ultima settimana) va comunque evidenziato un fattore per nulla trascurabile che la dice lunga sulla potenza di fuoco del team: questa squadra sta infatti volando senza il miglior 3&D (tiro da tre e difesa) dell'intero mondo NBA, Klay Thompson, e deve ancora inserire in un collettivo che si intende a perfezione 3 giovani pedine arrivate dagli ultimi due draft, ovvero James Wiseman, seconda scelta assoluta 2020, big-man visto in campo lo scorso anno e da cui tutti si attendono un sostanzioso contributo sotto i tabelloni, Jonathan Kuminga e Moses Moody, scelte numero 7 e 14 di quest'anno. Giocatori che allungheranno ulteriormente le rotazioni della squadra, offendo varianti tattiche tutte da esplorare (allo stato manca un vero e proprio centro di ruolo come Wiseman o anche un ideale ala atletica capace di giocare anche minuti da lungo aprendo il campo come Kuminga, senza sottovalutare i margini di crescita di Moody) a Kerr, che intanto si gode la sua creatura. E alla dirigenza, che si trova nella perfetta condizione di gestire un roster competitivo nell'immediato e sufficientemente ricco di talento giovane per conservare anche fiducia sul futuro prossimo. Un piccolo capolavoro di lungimiranza e pianificazione che non meraviglia, essendo i Warriors tra le franchigie che meglio si sono mosse negli ultimi 15 anni NBA.  Il tutto lasciando aperta una tutt'altro che trascurabile possibilità: se a febbraio le cose dovessero andare ancora meglio, i giovani asset a disposizione potrebbero diventare pedine per giocatori più pronti nell'immediato, e così attentare realmente a quello che in estate per molti era solo un sogno: il titolo NBA. Sono solo 9 partite, ma questi Warriors possono già sognare in grande.

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