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Matteo Paolillo, Edoardo in Mare Fuori: “La serie racconta le nostre piaghe, l’arte può cambiarle”

Matteo Paolillo è Edoardo in Mare Fuori, a Fanpage.it ha parlato non solo dell’evoluzione del suo personaggio della serie, ma anche del suo percorso da attore e musicista, rivelandosi un artista davvero a tutto tondo.
A cura di Ilaria Costabile
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Matteo Paolillo è uno dei giovani e promettenti attori protagonisti di Mare Fuori, la fiction di Rai Due ambientata in un carcere minorile di Napoli, arrivata alla sua seconda stagione. La sua voce non è solo quella di Edoardo, il suo personaggio nella serie, ma anche quella che sentiamo in "O mar for", la canzone che accompagna ogni puntata e che si è rivelata fonte di speranza per chi davvero il mare non può vederlo se non da dietro le sbarre, come ci racconta Matteo in questa intervista a Fanpage.it in cui ripercorre le tappe del suo percorso nel mono dell'arte: "Credo che il talento di un artista sia semplicemente la capacità di guardare il mondo e farsi delle domande che magari chi non si dedica all’arte non si fa, perché concentrato su altro". 

Il personaggio di Edoardo in questa stagione è più in risalto rispetto alla prima, diviso tra il desiderio di potere e l'amore. Chi avrà la meglio?

Sempre di desiderio si parla. Dopo che Teresa ha scoperto l'inganno, lui entra in crisi, perché sta perdendo una colonna importante della sua vita. Edoardo si può sintetizzare nei due personaggi di Carmela e Teresa, se Carmela rappresenta quel mondo oscuro che lo affascina, Teresa ne rappresenta l’altra faccia, quindi Edoardo per essere completo ha bisogno di entrambe. Ora che una delle parti vacilla, quella più oscura emerge sempre di più.

Edoardo rappresenta uno di quei ragazzi che all'interno del carcere pensa di potersi affermare attraverso la delinquenza, perché lo fa? 

È questione di educazione, non sono delle convinzioni consapevoli, sono più delle consuetudini, il sistema di stampo camorristico funziona così, ci sono delle gerarchie: quando c'è Ciro che comanda, Edoardo sa stare al suo posto, ma quando Ciro viene a mancare ci sono delle conseguenze, ovvero la vendetta e un posto che va rimpiazzato e lui chiarisce fin da subito che quel posto vuoto è suo. Credo che alla fine lui scelga questa strada non tanto perché desideri il potere, ma perché gli tocca farlo.

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Da attore campano che effetto ti ha fatto mettere in scena una piaga come la delinquenza giovanile, molto diffusa in Campania?

L’arte serve per cambiare le menti e quindi è importante che si parli delle piaghe. Per me affrontare queste tematiche è stato un orgoglio, perché mi ha permesso di poter raccontare col mio corpo e con la mia voce un qualcosa su cui bisogna riflettere, non perché pretendiamo di avere una soluzione, perché una soluzione non esiste, ma raccontare queste realtà è importante, al di là del fascino che possano avere, è necessario far capire alle nuove generazioni che sono chiamate a scegliere da che parte stare.

Nella serie ci sono dei momenti dedicati all'arte all'interno del carcere. Credi che sia uno strumento efficace affinché i ragazzi possano prendere strade nuove, senza incappare nuovamente nell'errore?

Posso raccontarti quello che ho visto. Sono stato a Nisida, ci siamo intrufolati con gli altri ragazzi del cast anni fa, con la scusa di fare un laboratorio teatrale, abbiamo osservato molto. Ci sono tante persone che si impegnano per cercare di rieducare questi ragazzi, però penso che questo processo di educazione vada fatto a monte e non a valle. Carmine nella serie dice "siamo nati difettati", ecco se questi ragazzi sono nati difettati è perché è prima il mondo ad esserlo, crescendo in un contesto in cui non ci sono alternative alla violenza, per questo è un problema che va affrontato il prima possibile, partendo dalle famiglie e arrivando alla scuola.

La sigla di Mare Fuori l'hai scritta e cantata tu. Cosa c'è quindi in "O'mar for"?

Il mare fuori è la libertà fuori dalla prigionia, è la speranza di poter vedere quel mare senza le sbarre che gli fanno da contorno. Ascoltando questa canzone alcuni ragazzi mi hanno detto che hanno trovato la forza di affrontare i momenti più difficili in carcere. Per me è stato un grandissimo orgoglio, credo sia questo lo scopo dell’arte.

E per Matteo cosa significa essere liberi?

È un concetto molto ampio, ma si apprezza la libertà quando ci si rende conto della schiavitù. Herman Hesse diceva che quando cresciamo passiamo dal sognare al pensare, quindi la libertà si può associare al sogno, la libertà di sognare senza limiti, mentre il pensiero è la prigionia perché ci ostacola.

Quindi è questo il messaggio intrinseco di Mare Fuori?

Il messaggio è la scelta, far capire che anche quando sembra non ci siano alternative, l’alternativa c’è. Questo penso sia il filo conduttore tutti i rapporti della serie.

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E quali sono le alternative di Edoardo, ma anche di Matteo?

Matteo è facile perché è l’arte. Di Edoardo è quello che rappresenta metaforicamente Teresa, lei è un po’ il Mare Fuori di Edoardo.

Quindi Teresa, alias Ludovica Coscione, non può essere il Mare Fuori di Matteo?

Ne stanno parlando in tanti, ma le cose sono molto più semplici di così. Io e Ludovica ci siamo incontrati ultimamente ad un evento Franciacorta, abbiamo pubblicato una foto e tutti hanno iniziato a pensare che ci fosse stata una cena, anche se fosse siamo molto amici, molto legati, c’è una confidenza particolare, abbiamo dovuto fare delle scene intime. Ci sono tante persone che sperano di vederci insieme.

Matteo Paolillo e Ludovica Coscione, fonte Instagram
Matteo Paolillo e Ludovica Coscione, fonte Instagram

Tornando alla tua musica, è uscito anche il tuo nuovo singolo, Amare chi fa male e nel video ci sono anche le interpreti che vediamo in Mare Fuori. 

Amare chi fa male è un brano che ho scritto sulla scia di Sangue Nero (il singolo precedente ndr.), ragionando sulla violenza e in particolare sulla violenza sulle donne. Ho realizzato questo videoclip chiamando Ludovica, Kyshan, Maria, Sara e Carmen perché in maniera molto eterogenea potevano raffigurare la figura femminile, tra l’altro Sara è anche una donna trans, volevo raccontare la violenza in tutte le sue forme. Lo scopo è quello di far ragionare, è importante che gli uomini ne parlino perché se c’è una violenza di genere è perché c’è un'abitudine a vivere le relazioni con consumismo, a vedere le persone come un oggetto, come gli uomini hanno un desiderio di possesso nei confronti delle donne, capita anche il contrario e possono innescarsi delle dinamiche che quando non si riescono a gestire diventano atteggiamenti violenti.

Sei prima musicista o prima attore?

Penso che l’arte abbia una sola fonte, è un bisogno di esprimersi, quindi cambiano solo le forme in cui lo si fa. Io ho cominciato ad esprimermi attraverso la recitazione, ma la musica mi ha sempre accompagnato e ho cominciato a fare un po’ di freestyle al liceo e poi a poco a poco ho iniziato a scrivere qualcosa e ormai è diventata una carriera parallela alla recitazione.

Come gestisti il fatto di essere diventato una persona popolare?

Mi è rimasta impressa una cosa che mi disse un insegnante, il successo è un participio passato del verbo succedere, nel senso è successo qualcosa e le persone stanno cominciando a riconoscerlo. Sono contento perché l’arte non la facciamo per tenercela in camera, quindi è bello che mi arrivino dei feedback. Sicuramente mi ha cambiato la vita perché in questo periodo anche a Roma, prima solo a Napoli, per strada vengo continuamente fermato. Da un lato ti fa piacere ricevere dei complimenti, però ci sono dei momenti in cui è piacevole mischiarsi tra la folla e questa condizione non voglio negarmela. Ci sto ancora facendo molto i conti.

Domanda di rito: progetti per il futuro?

C’è sempre questa cosa di dover pensare al futuro, programmare, organizzare la vita futura e invece a me piace molto pensare a quello che sta succedendo adesso. Sono molto aperto sul futuro, anche se non è una cosa di cui mi piace parlare, perché la vita è un mistero quindi le cose che succedono oggi sono più interessanti.

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