
Prendete l'universo di It e fatelo detonare in tre direzioni diverse. Da una parte il razzismo brutale del sud degli Stati Uniti, dall'altra l'isteria della Guerra Fredda, nel mezzo la mitologia della provincia americana che Stephen King ha saputo trasformare in materiale narrativo di primissima qualità. Questo è It: Welcome to Derry.
Disponibile su Now con un episodio a settimana ogni lunedi, la serie è il prequel del romanzo di Stephen King e delle due opere di Andy Muschietti, che firma anche la regia dei primi quattro episodi. Le prime tre puntate ci dicono subito una cosa importante: Pennywise è solo una delle tante manifestazioni dell'orrore. In questo c'è grande fedeltà al romanzo dove il clown si vede molto poco, mentre è stato ovviamente gonfiato a dismisura per le trasposizioni filmiche. Ma il vero orrore è sempre stato un altro: l'America dell'odio razziale, del benaltrismo, del cialtronismo. Di persone che non vedono oltre il proprio cortile e che godono delle miserie altrui.
La trama
La trama segue diversi punti di vista. Uno tra questi è quello del maggiore Leroy Hanlon, afroamericano, appena trasferito con la famiglia in questa cittadina del Maine. Sua moglie si chiama Charlotte, suo figlio Will. L'impatto con Derry è inevitabilmente violento: dall'esterno sembra tutto perfetto, dentro fermenta un razzismo bieco e strisciante. Poi sparisce un ragazzo. Faceva autostop nel gelo dell'inverno, sale su un'auto con una famiglia apparentemente gentile, e poi più nulla. Da lì parte tutto: Derry ricomincia a divorare i suoi figli. E gli Hanlon, esterni alla comunità, cominciano a percepire che dietro la cittadina più tranquilla d'America c'è qualcosa che non ha niente di tranquillo. Niente di umano.
Il nuovo "Losers Club"
Serviva un nuovo gruppo di ragazzini per raccontare questa storia, ma non affezionatevi troppo. Nel primo episodio, il colpo di scena è assicurato. Muschietti, con l'aiuto di Jason Fuchs e Brad Caleb Kane, crea un intreccio impressionante. Nel mondo della narrativa si direbbe che Welcome to Derry è un vero e proprio page turner, ti fa venire voglia di sapere cosa viene dopo. Ragazzini a parte, il personaggio centrale è la città di Derry. Tutt'altro che uno sfondo. Visivamente è impressionante. Merito della fotografia di Daniel Vilar (suo il lavoro nel Batman di Matt Reeves): i suoi anni Sessanta sono più vivi che mai.

Perché Welcome to Derry ci piace
Welcome to Derry ci piace perché tiene insieme tutto. Da un lato racconta razzismo, esclusione, pregiudizio con il rigore di un drama "serio". Dall'altro spiazza e ricorda a chi sta guardando che si tratta pur sempre di un horror. Alcune sequenze fanno davvero male. Come il fatto che la narrazione ci ricorda di continuo che i mostri veri sono in mezzo a noi. I mostri nascono dalle cose che scegliamo di ignorare giorno dopo giorno, dal marcio che decidiamo di non vedere, di far crescere. Sì, Pennywise è spaventoso, ma l'orrore più grande è scoprire quanto una comunità abbia imparato a conviverci. Questa serie non stravolge Stephen King. Questa serie lo espande, lo completa. Lo aggiorna e lo porta in alto, dove merita di stare. Non perdetevela per nessun motivo al mondo.