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L’intervista di Minoli a Netanyahu del 1986 è un documento storico incredibile se guardato con gli occhi di oggi

Dagli archivi di RaiPlay riemerge il faccia a faccia a Mixer con l’attuale premier israeliano, allora 38enne, dalle cui parole è possibile capire molto di quello che sta accadendo oggi in Medio Oriente e a Gaza.
A cura di Ilaria Costabile
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Prima che i format di interviste spopolassero in tv, come accade ormai da qualche anno a questa parte, ci aveva pensato già Gianni Minoli con un programma come Mixer-Faccia a faccia ad ospitare personalità influenti per l'epoca, che potessero rispondere alle sue domande quanto mai schiette e puntuali. Su RaiPlay, la piattaforma streaming della Rai, si trovano le varie stagioni del programma, con una selezione delle interviste dal 1980 al 1988, e tra queste vi è anche l'incontro che Minoli ha avuto con Benjiamin Netanyahu, l'attuale Primo Ministro di Israele, quando a metà degli Anni Ottanta ricopriva l'incarico di ambasciatore Onu e vice ambasciatore in America, per conto del governo di Ytzhak Shamir.

L'intervista di Benjamin Netanyahu

Le parole dell'allora 38enne Netanyahu, autore di un libro di cui Minoli parla approfonditamente nell'intervista, tracciano un percorso quanto mai chiaro che, alla luce di quanto sta accadendo oggi in Medio Oriente, assume un peso ancora più significativo. Il futuro premier Israeliano parla di terrorismo dandone una definizione chiara individuandone anche quelle che, a suo avviso, siano le principali fonti:

Il terrorismo è il deliberato e sistematico attacco su persone innocenti e civili per motivi politici. Perché la scelta che il terrorista usa, la scelta dei mezzi indica i veri fini. Il terrorismo è stato con noi in tutta la storia, quello che vediamo oggi sono le due fonti principali, una è il radicalismo ideologico comunista, una è il fondamentalismo islamico, entrambi sono cause fondamentali.

Nel lungo colloquio con Minoli si affronta, ovviamente, anche il tema di quella che il giornalista chiama "liberazione della Palestina", ma Netanyahu ribatte parlando in altri termini, sostenendo la causa israeliana:

Perché lo scopo non è liberazione ma liquidazione. Lei sa che hanno cominciato la campagna contro di noi, quelli che sono venuti prima avevano già condotto una campagna di terrorismo contro gli ebrei per sessant’anni, prima di essere profughi, prima che perdessero i territori e prima di Israele, ciò che li ha guidati non è stata la costruzione ma la distruzione di uno stato, cioè Israele.

L'intervista risale alla metà degli Anni Ottanta, 1986, molto tempo prima della nascita di Hamas, periodo in cui operava l'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina ndr.) alla cui guida vi era Yasser Arafat, che Netanyahu individua come il principale artefice della tragedia palestinese e infatti dichiara:

Credo che la tragedia dei palestinesi, che durante gli ultimi 60-70 anni sono stati comandati da un piccolo gruppo di bande terroristiche che uccidono molti più arabi palestinesi, ebrei palestinesi che sono a favore della coesistenza, della moderazione, della convivenza tra uno Stato e l’altro, hanno pagato loro più di ogni altro. Arafat dice che il suo grande capo era il Mufti di Gerusalemme, che negli Anni 20 ha iniziato una campagna prima contro gli arabi e non contro gli ebrei, ha dichiarato che non ci sarebbe stata coesistenza tra loro e ha ucciso ogni arabo che era contrario, poi si è rivolto alla Germania nazista per lo sterminio degli ebrei e tutti gli arabi contrari sono stati eliminati. Arafat continua a dire che era il suo grande capo, ma lui più di ogni altro è responsabile della miseria di questo popolo.

A domanda diretta del giornalista in merito alla territorialità rivendicata dalla Palestina: "Credo che nello spazio della Palestina mandataria, che include la Giordania e la Cisgiordania, c’è spazio per i due popoli, gli arabi Israeliani hanno già l’80% del territorio, l’Israele ha il 20% del territorio, possiamo discutere sul 17-19%, ma Israele ha diritto ad avere il suo Stato e nessuno lo può negare, questo è quanto nega Arafat. È una separazione artificiale, Arafat con una mano uccide e con l’altra inganna". Alla richiesta di definire il leader dell'OLP, Netanyahu risponde:

Come un uomo che inventato virtualmente l’atto del terrorismo, ha inventato il bombardamento di aerei, rapimento di diplomatici, bombardamento di scuole, ha inventato la tecnica dell’inganno. Penso che sia più interessato all’OLP al denaro che riceve, questo è quello che vuole, terrorismo e lusso.

Soffermandosi sulla questione territoriale e sulle rivendicazioni palestinesi, poi, rincara la dose: "Dicono che non c’è una terra, ma non è così, l’80% della Giordania è occupata dagli arabi palestinesi, alcuni hanno le stesse case che avevano prima dello Stato di Israele. È un problema che potrebbe essere risolto con uno schiocco di dita, manca la buona volontà". Minoli gli chiede, quindi, se gli israeliani siano dotati di buona volontà:

Noi abbiamo la buona volontà, abbiamo dissolto tutti i campi profughi palestinesi, non ci sono più li abbiamo messi in blocchi di appartamenti. Il problema dei profughi non è la causa si questo conflitto, ma il suo risultato. Dobbiamo fare una distinzione tra quanto è etico e quanto non è etico, in relazione ad una guerra da farsi, abbiamo un’aspirazione evitare la guerra, ma fin quando non raggiunge il paradiso della pace, diciamo che i limiti etici alla guerra sono questi: non attacchiamo deliberatamente innocenti, non aeroplani nel cielo, e se qualcuno fa questo noi diciamo quali fini, quali cause, quali obiettivi nobili voi avanzate, quando diventate un animale vi tratteremo come animali, se combatterete onorevolmente vi considereremo degni di discussione.

L'intervista, una cristallina lezione di giornalismo, procede spedita, toccando questioni di carattere internazionale, con le domande puntuali di Minoli inerenti non solo al terrorismo e alla sua più precisa definizione, ma anche alle dichiarazioni dell'ONU in merito alla questione palestinese. Il giornalista padroneggia la materia e in più occasioni si trova a contraddire, se non sottolineare, le incongruenze esplicitate dal suo ospite. A distanza di anni e alla luce della tragedia che si sta consumando a Gaza, che tocca da vicino anche i Paesi limitrofi (vedi l'Iran) e, inevitabilmente, interessa il mondo occidentale, questa intervista rappresenta un documento di grande importanza, da guardare con attenzione per tracciare il ritratto ideologico di colui che sarebbe diventato il futuro primo ministro d'Israele, nonché responsabile di una guerra che non è certamente iniziata il 7 ottobre 2023 dopo l'attacco di Hamas, ma che oggi è arrivata forse al suo punto più inumano.

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