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Opinioni

Pino Insegno, la vera vittima di TeleMeloni

Il banale caso degli ascolti “truccati” di Reazione a Catena solleva ancora critiche intorno a Pino Insegno, un conduttore che è ormai ostaggio di un’etichetta che prima ha cercato e da cui, oggi, pare impossibile liberarsi.
A cura di Andrea Parrella
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Il ritorno di Pino Insegno alla guida di Reazione a Catena per la seconda stagione consecutiva ha determinato, inevitabilmente, l'inizio della stagione estiva della Tv. Lo scorso anno il conduttore è tornato a presentare il quiz del pomeriggio di Rai1 dopo alcune stagioni di pausa, accompagnato, sarebbe disonesto negarlo, da un mare di pesanti polemiche politiche, data la sua vicinanza alla premier Giorgia Meloni e all'universo dell'attuale esecutivo mai negata.

In occasione della puntata del 18 giugno è accaduto un fatto singolare, legato alla comunicazione degli ascolti da parte della Rai il giorno dopo. L'ufficio stampa dell'azienda, nel comunicare gli ascolti della trasmissione, ha infatti attribuito al programma un dato estremamente positivo, 3 milioni e 189 mila spettatori e il 24.7 % di share, dato decisamente alto per gli standard del programma.

Quei numeri sono veri? Sì. Sono finti? Anche. Le due cose, apparentemente, non stanno insieme, ma nell'universo degli ascolti televisivi è un effetto possibile. Nello specifico, infatti, la Rai ha comunicato il dato di ascolti di Reazione a Catena legato all'ultima parte di trasmissione, scorporata dal resto del programma, che ha registrato un risultato più alto sia per la durata più breve del segmento, ma anche perché coincidente con il culmine della puntata, la parte finale prossima al Tg.

Il caso degli ascolti "truccati"

Vuol dire che, in sostanza, quei numeri il programma di Insegno li ha fatti davvero, ma non su tutta la durata della trasmissione, bensì solo per quel che riguarda una frazione. La media della puntata, come sottolinea giustamente il collega Ruben Trasatti è del 21.2% di share. Un trucchetto da ascolti, quello degli scorpori tattici, che non è una novità e che, quotidianamente, rappresenta una tentazione per gli uffici stampa chiamati a un lavoro che, più che manipolatorio, è di semplice maquillage. Sta a chi legge osservare tutto da una diversa prospettiva, capire il make up, contestualizzarlo.

La parabola della carriera di Insegno nella Rai targata Meloni

Per molti altri programmi la cosa avrebbe fatto certamente meno rumore, ma se il nome è quello di Pino Insegno, il risultato è ben diverso. Non si tratta di ingiustizia, questa vicenda apparentemente irrilevante è semmai la dimostrazione plastica che la percezione conta più della realtà. La parabola di Insegno negli ultimi anni è quella di un conduttore tornato al centro dei giochi in Rai sì, ma a caro prezzo, con una reputazione segnata forse in modo irreversibile. Il conduttore rischia di diventare l'emblema di ciò che è imposto e che è destinato, di conseguenza, a non funzionare mai, proprio perché. Un meccanismo innescato da un insieme di indiscutibili uscite infelici di Insegno stesso, così come da un'azione dei vertici attuali dell'azienda che ha costruito su di lui la figura del volto di punta della Rai meloniana, rendendolo di questa era televisiva e politica una sorta di parafulmine, complice o meno la sua volontà. Verrebbe da dire che più che il simbolo, della famosa Rai trasformata in TeleMeloni lui è una vittima. Non senza benefici, naturalmente.

Che Insegno non riesca a scaldare i cuori, a fare breccia nel pubblico generalista, pare evidente perché sono i numeri stessi a provarlo. Al contempo non si può negare che non gliene vada bene una e che anche la comunicazione di un dato secondario, ma non fasullo, sia assist perfetto per una critica accesa al suo operato da conduttore. È lui la prova di quanto pesi il pregiudizio, che amplifica le proprie dimensioni in modo esponenziale quando trova conferma.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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