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Marco Carrara: “La chiamata di Maurizio Costanzo che non dimentico, mi propose un programma con lui”

Marco Carrara, conduttore di Timeline e volto di Agorà, si racconta in un’intervista a Fanpage.it, tra il ricordo della preziosa conoscenza con Costanzo e le prospettive di carriera. Il suo obiettivo in televisione è mettere in connessione diversi linguaggi: “In Tv si deve saper parlare dei social, altrimenti i giovani scappano”.
A cura di Andrea Parrella
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Lo vediamo tutte le mattine ad Agorà, poi nel weekend con Timeline. Marco Carrara è, di fatto, uno dei volti più presenti sulle reti Rai, nonostante la sua età lo incaselli in quella condizione di giovane che in televisione è quasi una specie protetta, più che una semplice condizione anagrafica. Racconta i social, o meglio l'attualità attraverso le piattaforme, con l'aspirazione di sincronizzare due linguaggi apparentemente disgiunti, sempre più vicendevolmente indispensabili. Tra ricordi, incontri con colonne della storia della televisione e prospettive, Carrara si è raccontato a Fanpage.it alla vigilia della nuova stagione televisiva ai blocchi di partenza.

La tua carriera in Rai ha già superato i dieci anni. Sono in pochi alla tua età ad avere già un curriculum televisivo così folto. Quando è iniziato tutto?

Nel 2011, avevo 19 anni. Feci un casting come analista per TvTalk, che è stata la mia università, nonostante la laurea l'abbia effettivamente presa. Lì ho imparato a stare in video, scrivere un testo, fare una riunione con degli adulti. Soprattutto TvTalk è un gruppo in cui il merito viene premiato. Io ho iniziato da analista, poi sono diventato redattore, quindi inviato.

Dai più peso alla passione per la Tv, o a quella per il giornalismo?

Io ho sempre voluto fare televisione, quando mi chiedevano a 6 anni cosa volessi fare da grande, rispondevo senza mezzi termini "il conduttore televisivo". Questa cosa mi è servita, ho sempre avuto le idee chiare e questo mi ha aiutato anche a bruciare qualche tappa. Crescendo, la mia aspirazione da conduttore è diventata quella di fare il giornalista. A casa ho le VHS con le edizioni straordinarie dei Tg.

Una passione atipica per la tua generazione, schiacciata tra il culto della televisione e quegli anni nei quali montava una certa ostilità verso questo mezzo.

È vero, ma gli ultimi anni hanno dato una nuova centralità alla Tv. Dal Covid alla guerra, le crisi di governo, la Tv ha visto anche crescere gli ascolti iin quanto fonte autorevole. Soprattutto per i grandi eventi, la Tv si dimostra un grande catalizzatore di attenzione e questo mi affascina molto.

Fai Tv in un contesto, quello generalista, dove c'è la consapevolezza di doversi sporcare le mani. C'è un pregiudizio?

Certo che c'è, io sperimento il pregiudizio in una doppia chiave, anche per quel che riguarda i social che provo a raccontare con Timeline. Dovessi farmi rovesciare dal pregiudizio, finirei per dire che sui social ci siano solo odio, nullafacenza e fake news, così come si dice che in Tv non ci sia altro che trash. In realtà non è tutto così ed è l'idea di combattere la narrazione che mi spinge ogni giorno a fare questo lavoro. Le generalizzazioni non servono a nulla, per la Tv come per i social.

Ambiti tra cui provi a creare un ponte, Tv e social hanno vissuto per anni un rapporto di amore-odio, mentre da qualche tempo sono in luna di miele. Chi dei due ci perde?

Non so se effettivamente uno dei due ci perda, ma i rischi esistono. Ognuno di noi cerca di generare traffico sui social, ma essere virali ti si può ritorcere contro ogni tanto. Può capitare. Quello che provo a fare a Timeline è far dialogare questi due mondi, provo a portare i social in Tv raccontandolo a tutti, chi capisce e chi non mastica la materia. Se racconto la rivolta in Iran attraverso il modo in cui è partita dai social per arrivare in Tv, sto provando a creare un percorso integrato che includa qualsiasi tipo di spettatore.

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A proposito dei social, si parla molto di disintossicazione. Come ti rapporti alla cosa?

Io sono praticamente dipendente dallo smartphone, costantemente online. Anche per il tipo di lavoro che faccio sono sempre operativo. Il tema della disintossicazione dai social vale per tutti, adulti e giovani, è una cosa che ha a che fare non solo con quanto li utilizziamo, ma anche come ci stiamo.

La ripartenza di Agorà e Timeline riserverà sorprese?

Ad Agorà non mi occuperò più del moviolone, ma mi concentrerò proprio sul racconto social, tracciando un percorso del racconto dell'attualità attraverso questi schermi. Più degli altri anni, osserveremo cosa accade su Tik Tok, è quello lo strumento da tenere d'occhio e mi aspetto che la nuova edizione di Timeline si dedicherà con grande attenzione a questa piattaforma, che rispetto alle altre vive una fase in cui le gerarchie non sono ancora definite. È il mezzo in maggiore evoluzione.

Agorà quest'anno avrà una nuova guida, esce Monica Giandotti, arriva Roberto Inciocchi. Cambia qualcosa?

Ho affiancato tutti gli ultimi conduttori e conduttrici di Agorà. Continuerò semplicemente a portare il mio entusiasmo, che è la mia cifra. È un po' quello che mi disse Maurizio Costanzo quando andai ospite da lui nel 2021: "Ho il sospetto che lei crescerà in questo lavoro, la sua passione così vera è molto entusiasmante in chi la ascolta". Una cosa che considerai come un regalo enorme e che mi fa sperare di non perdere mai questo entusiasmo, senza annoiarmi.

Definisci quello uno dei momenti topici della tua carriera?

Ho avuto tanti momenti bellissimi, ma ti racconto una cosa che non ho mai detto in una intervista. Dopo l'ospitata fatta da Costanzo lui mi fece chiamare dicendo di voler fare un programma con me. "Ho anche il titolo", disse, e io gli chiesi quale fosse. "MC", la risposta. Avevamo le stesse iniziali, c'eravamo già messi al lavoro sviluppando un format, poi per vari problemi nel corso della gestazione e non siamo riusciti a farlo. Se mi chiedi quale sia stato il momento più significativo della mia carriera, direi che quella telefonata è il regalo più grande che potessi ricevere. Una cosa che ho realizzato ancora di più dopo la sua scomparsa.

Carrara con Maurizio Costanzo a "S'è fatta notte".
Carrara con Maurizio Costanzo a "S'è fatta notte".

Il consiglio migliore che ti ha dato?

Non tradire mai il pubblico, mi diceva. Non di compiacerlo a tutti i costi, anche fare scelte impopolari, ma senza mai perdere la tua coerenza.

L'inclinazione del giornalismo si è manifestata subito, ma sono molte colleghe e colleghi che poi abbracciano anche l'intrattenimento. La cosa ti stuzzica?

Ho 31 anni, è impossibile e credo che sarebbe poco maturo escludere tappe lavorative future a questa età. Penso si possa fare di tutto nella vita, l'importante è come lo si faccia. Il 19 settembre sarò ospite di Pour Parler di Nuzzo, Di Biase e De Carlo, dove mi sono divertito da morire mettendomi in gioco al 100%. Loro hanno riso di me e non vedo perché non dovrei farlo. L'importante è mantenere la propria credibilità e immagine.

La narrazione del più giovane in Rai. Ti inizia a stare un po' stretta questa cosa?

Essere giovani non credo sia un merito, come la bellezza. È uno stato transitorio che passa. Penso i miei meriti siano altri, se ce ne sono. Spero di avere talento, di saper fare questo lavoro.

In ambito Tv la giovane età viene sempre trattata con un pizzico di paternalismo. Vengono definiti giovani quelli che giovani non sono.

La giovinezza e la freschezza sono carte che puoi giocarti in più. Importante è non rimanere l'eterno giovane, che non sia un'etichetta. Mi auguro che crescendo possa fare dei nuovi step.

Da "meno attempato" tu provi ad agganciare quelle generazioni che la Tv fa più difficoltà ad agganciare. Si va verso un tempo nel quale la Tv potrebbe iniziare a non avere più lo stesso pubblico.

Molti ragazzi mi dicono di seguirmi su RaiPlay o sui social, è in questo senso che cambia la fruizione e io credo che RaiPlay sia un portale di altissimo livello anche dal punto di vista tecnico. L'azienda stessa è consapevole della necessità di un'offerta adeguata. Io sono contento che c'è chi ti recupera successivamente. Ognuno si fa il suo palinsesto.

Credi ci siano delle questioni che la Tv in generale fatica a interpretare rispetto al rapporto con le nuove generazioni?

Io credo ci sia necessità di saper parlare dei social media. Il popolo del web, il video più cliccato, alcune espressioni tengono lontani i ragazzi, sono espressioni che ho bandito dal mio programma perché va compreso il tipo di linguaggio da utilizzare. Sono questioni che chi fa questo lavoro deve porsi: come farlo?

Il nuovo corso Rai, che ha subito enormi cambiamenti. Si parla molto di quanto le produzioni possano essere influenzate dal nuovo vento politico. 

Io sono. in Rai da 12 anni esatti, ho attraversato diverse fasi dell'azienda, tanti cambi di direttori, capistruttura. Per la mia esperienza posso dire di non aver mai ricevuto pressioni, richieste, sono sempre stato estremamente libero. La nuova governance che si è insediata non mi ha fatto alcun tipo di pressione, quindi sono pronto a ripartire.

Quali tra colleghe e colleghi coetanei ritieni particolarmente caparbi?

Nel giornalismo mi piace molto Veronica Fernandes, ha un tipo di racconto molto contemporaneo e Ilario Piagnarelli. Nell'intrattenimento mi vengono in mente i nomi di Ema Stokholma e Gabriele Vagnato.

Sei ambizioso?

Ambizioso sì, ma non competitivo. Quando una persona conduce un programma più bello del mio e più grande del mio, sono felice.

Allora la tua ambizione verso quale sogno ti porta?

Direi il concertone del Primo Maggio, è una di quelle patenti da conduttore che mi piacerebbe conquistare, ma anche da autore. Devo ammettere che sono molto affascinato dall’aspetto autoriale, la Tv mi piace pensarla, crearla.

Nasci professionalmente in Rai, ma sei sul mercato. L'idea di altri lidi ti stuzzica

Quest'estate si sono presentate un paio di occasioni, però diciamo che io mi sento figlio di mamma Rai, che continua a vincere.

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