Vincenzo Schettini: “Ai giovani serve una disintossicazione digitale, ma a casa e non a scuola”

Professore, divulgatore, autore, ma soprattutto una voce ascoltata da milioni di studenti (e genitori). Vincenzo Schettini, creatore del canale La Fisica che ci piace, è ormai ben oltre il fenomeno social: riempie teatri, compare in TV, pubblica libri, e continua – due giorni alla settimana – a insegnare in classe. Parliamo con lui nel corso di questa torrida estate per affrontare temi come l'educazione digitale, scuola, i divieti e quel ruolo della televisione che in Italia sembra ancora troppo timido. Il risultato è un’intervista lucida, appassionata, a tratti scomoda. Come le verità che fanno bene.
Se il professore va in vacanza, si può dire lo stesso del content creator?
Niente affatto, direi che il content creator rischia di non andarci mai in ferie. Ho fatto la vita dell’insegnante a tempo pieno per anni, e adesso sono insegnante part-time. Continuo comunque a insegnare, il lunedì e il martedì sono a scuola, ma poi inizia tutto il resto. E la creazione di contenuti è un lavoro che ti assorbe: devi ascoltare, osservare, adattarti ai cambiamenti nella percezione del pubblico, capire cosa funziona, aggiornarti. Dietro un minuto di video c'è tanto lavoro, tante riscritture, problemi tecnici, rifacimenti… e anche tanta stanchezza.
E riuscirai a staccare del tutto?
Nella settimana in cui lo farò, proverò sul serio a spegnere il telefono. Ma si sa che questo telefono è sempre acceso. Ed è il problema di tutti. È diventata una schiavitù.
Anche quando provi a staccare, alla fine ti senti in colpa, no?
Sì, esatto. Perché tutto quello che succede online ti coinvolge, ti completa. Quando sei immerso nella pubblicazione di contenuti, questa sensazione si amplifica. Però ormai fa parte della nostra vita. Il problema vero sono i bambini: crescere con lo smartphone in mano è devastante. È una dipendenza da videogiochi, da connessione continua.
E in effetti il tema degli smartphone a scuola è tornato caldo di recente, dopo la circolare del ministro che li vieta.
Sì, e resta sempre divisivo. Ma il problema è che nessuno identifica mai con precisione l’età giusta per iniziare ad avvicinare i ragazzi agli strumenti digitali in modo consapevole. Il ministro Valditara ha detto che da settembre saranno vietati anche alle superiori. Ma io, da insegnante, mi chiedo: “Non è che li avevate già vietati prima?” Perché ogni anno torna questa cosa…
E nel frattempo, i ragazzi trovano soluzioni creative…
Esatto. Nelle classi con il “tascone”, quella cosa orrenda dove si mettono i cellulari numerati, e i ragazzi che spesso portano due telefoni: uno finto nel tascone, l’altro lo tengono addosso. Capita che lo usino di nascosto, sotto il banco, quando noi siamo girati alla lavagna. È una vera "dose" digitale quella che si fanno.
La responsabilità del controllo viene scaricata sempre sugli insegnanti.
Sì, ed è profondamente sbagliato. Noi professori non siamo cani da guardia: dobbiamo spiegare, insegnare, interagire. Non possiamo fare da sorveglianti 24 ore su 24. Non puoi chiedere agli insegnanti di vegliare costantemente. Sui telefoni io da ministro avrei parlato ai genitori, da genitore o da zio, prima che da politico. Avrei detto: “Guardiamoci in faccia. Questi ragazzi sono prima di tutto figli. In che mondo li stiamo facendo crescere?” La scuola deve essere uno spazio sacro, anche nel suo modo noioso. La lezione non può durare 5 minuti perché online funziona così. La scuola analogica è necessaria. A casa puoi usare internet per studiare, ma a scuola devi ossigenare il cervello.
E se un ragazzo ti dice “ma ho il biglietto dell’autobus sul telefono”?
Sì, ne ho ricevuti tanti di messaggi così. Ma dico: noi come facevamo? Quante volte ho chiamato mia madre da scuola? Zero. C’erano regole. Ecco, io ho sempre detto ai genitori: le regole sono fondamentali. Mio padre non mi vietava il cellulare perché non esisteva. Ma aveva altre regole, e io le ricordo tutte. Le regole vanno sintonizzate con il tempo storico.
E questo non si può fare solo a scuola…
Esatto. Non puoi disintossicare 30 ragazzi in classe se sono abituati a usare il cellulare 6 ore al giorno. Questo lavoro va fatto a casa, con l’educazione. Io non voglio dire ai genitori cosa devono fare, ma possiamo almeno aprire una riflessione. Serve la stessa consapevolezza che hai quando compri un motorino a tuo figlio.
Gli smartphone si legano anche a un altro tema anticipato prima, l'educazione sessuale e il tema della pornografia dilagante, che quasi si sostituisce all'educazione sessuale stessa.
Sì. Ai tempi nostri era un fumetto rubato al padre. Ora è un video esplicito a portata di dito. Ragazzi di 14 anni che vivono già un vuoto nei rapporti sessuali. E con scarsa educazione sessuale a scuola – che viene lasciata alla decisione delle famiglie – il porno che diventa il modello.
Si è parlato tanto del caso dei maturandi che si sono rifiutati di sostenere l'esame orale nelle scorse settimane. Ne hai già parlato pubblicamente ma ti chiedo: il disagio generazionale va compreso o contrastato?
Di disagi ce ne sono tanti nella scuola. Io ragazzi li capisco, li ho sempre appoggiati, la mia voce è stata sempre dalla parte loro, però attenzione che accarezzare la testa in questo caso significa dire ragazzi "rinunciate a affrontare una prova". L'esame di maturità è una delle grandi rogne della vita e i ragazzi si devono per abituare anche alle rogne. Tu che non sei d'accordo con questo sistema devi capire che ti troverai davanti a tanti sistemi di merda nella vita. Bisogna avere a che fare anche con le cose che non ti piacciono. Quindi io dico di comprendere ma non assecondare sempre.
Dopo due stagioni la Rai ha fermato il tuo programma, La Fisica dell'amore. Come mai?
Sono state tagliate molte seconde serate, quindi il mio contenitore al momento è fermo, ma il rapporto con Rai è ottimo. I palinsesti si aggiornano ogni sei mesi. E poi la rete mi dà una libertà editoriale enorme. La TV italiana sta cambiando, ma ancora non osa abbastanza. L’edutainment esiste da anni all’estero. In Italia mi piacerebbe essere la figura che può rappresentarlo, perché credo ci sia uno spazio per ricollegare sapere e sentimenti, colmare il vuoto tra lo studente e l’istituzione.
Hai avuto anche altre proposte dopo le incertezze della Rai?
Sono corteggiato ma vorrei rimanere legato al servizio pubblico, proprio perché sono un docente.
Resti una figura ibrida dal punto di vista comunicativo, tra social, Tv e teatro.
Sì, non sono un divulgatore “classico”. Non sono un presentatore, non sono un attore, non sono un cantante. Sono un professore. E questa figura va dosata. In teatro abbiamo fatto 85 date, 80.000 presenze, anche bambini sotto i 10 anni che urlano le risposte. Questo è straordinario.
Ultima domanda: il rischio del “divismo” non ti preoccupa?
Sono un essere umano. Ma ho raggiunto questo successo a 45 anni, in un’età in cui c’è una certa pace dei sensi. E questo mi ha salvato. Quando una madre mi ferma e mi ringrazia per il figlio, io mi sciolgo. Questo è il mio antidoto. Ho avuto anche crisi di panico: sentivo la responsabilità sulle spalle. Ma ho attorno persone sagge, come mio padre e Francesco. E questo mi aiuta a tenere i piedi per terra.