VAS, il film che racconta gli hikikomori. Demetra Bellina: “Mi fa paura quanto si può essere invisibili per gli altri”

Demetra Bellina è la protagonista di VAS, il primo film del regista napoletano Gianmaria Fiorillo al cinema dal 20 novembre, che ha scelto volto principale maschile di questa storia quello di Eduardo Scarpetta. Vas è un film in cui si affronta in maniera inusuale e a tratti disturbante un fenomeno che si sta ampliando anche in Italia, di cui si parla anche se non abbastanza, quello degli hikikomori. Il termine in giapponese significa "stare da parte" ed è quello che accade a chi pian piano prende le distanze dall'esterno, chiudendosi nella bolla della propria camera.
La necessità di isolarsi dal mondo, di costruirsene uno parallelo, di instaurare relazioni che non ci mettano mai davvero in contatto gli uni con gli altri è qualcosa che ritorna, in maniera prepotente, nella nostra società, quasi proiettata alla disumanizzazione. L'attrice, classe 1995, originaria di Udine ma ormai da anni a Roma, volto di diverse fiction Rai (Di padre in figlia, La vita promessa ndr) ma comparsa anche al cinema (Comedians, Youtopia), racconta come sia riuscita senza troppa fatica a vestire i panni del suo personaggio, svelando una certa preoccupazione per quel "mondo fuori" che fa da eco al film, e parlando di come la recitazione, spesso, sia stata per lei un modo per conoscersi a fondo.
Cosa speri arrivi di questo film al pubblico?
Spero che si senta quanto ci è piaciuto farlo, sarà scontato, ma è uno dei primissimi ruoli da protagonista in un film, per cui è questa è una cosa molto importante per me. Poi, ovviamente, spero che arrivi il messaggio del film, che ci si possa interessare alla tematica di cui parliamo.
E qual è il messaggio di VAS?
Provare a vedere quello che da fuori non si vede, capire che spesso ci sono mondi interiori che non conosciamo e vanno trattati con cura.
Cosa fa scattare in Camilla l'esigenza di chiudersi e costruirsi un mondo parallelo?
Costruendo il personaggio ho studiato l'agorafobia e cosa può portare alle persone avvertire la paura di stare tra la folla. Spesso, il desiderio di chiudersi, deriva dalla paura del giudizio, di non essere accettati all'interno di un gruppo, della società, un qualcosa che Camilla sente abbastanza, tanto è vero che ciò che pubblica online è diverso da quello che è realmente. Poi un altro aspetto sul quale ho lavorato molto, è la rabbia repressa, può portare anche ad un isolamento volontario.

Il tuo personaggio apre una tematica importante, ovvero il condizionamento dei social. Più capisce di avere like, più compie gesti estremi. Quanto è presente questo fattore nelle interazioni di oggi?
Sì, vede che il suo romanzo non ha grandi interazioni e quindi compie questi gesti. Ma una certa insoddisfazione è una cosa che viviamo un po' tutti quando pubblichiamo qualcosa. Mi è capitato di postare un reel in cui suono e ci metto l'anima, ma magari ha meno visualizzazioni di quello in cui faccio una cosa stupida. Il riconoscimento è bello per tutti.
Qual è stato l'aspetto più difficile da portare in scena?
Ci sono delle scene in cui mi spoglio, espongo il mio corpo e magari compio qualche azione più forte, sono state difficili perché non le avevo mai fatte prima. Sono abbastanza timida. Mentre il fatto di aver girato quasi sempre sola, in una stanza, mi ha aiutato tantissimo ed entrare nella dinamica della solitudine, avere a che fare solo con me stessa.
Conoscevi già il fenomeno degli hikikomori prima di lavorare al film?
Sì, avevo visto un servizio in TV, almeno tre anni fa. Un mio amico, poi, ne aveva fatto un cortometraggio e avevamo iniziato a parlarne.
Prima di girare avete incontrato una ragazza ex hikikomori, cosa ti ha colpito di più dei suoi racconti?
Non ha parlato molto di quella parte della sua vita, ma di quella successiva, era piena di voglia di fare, interagire, parlava moltissimo, molto velocemente. Mi ha colpito molto proprio questo aspetto, l'opposizione tra una modalità di vita e l'altra.
Ti sei mai sentita disorientata al punto di desiderare un momento di detox dal mondo fuori?
Sempre. Ma sto benissimo da sola, sto bene a casa, per certi versi Camilla l'ho capita. Mi sono trasferita da Udine a Roma, una città gigante, come Camilla che si trasferisce dal suo paesino a Milano. È uno shock. Il fatto di trovarsi circondata da cose, persone, ambienti nuovi è bello, ma potresti non avere gli strumenti per gestire tutto e sentirti sovrastata.

Cosa ti ha impedito di non chiuderti?
Per necessità dovevo uscire per andare a lavorare, mi sono forzata molto, facendo anche grandi violenze verso me stessa. È stato faticoso perché si sono stati momenti in cui assolutamente non volevo uscire.
C'è stato anche per te un amico come Adriano (Gabriel Lynk ndr.) che vediamo nel film?
In realtà no, ma in compenso io e Gabriel siamo diventati molto amici (ride ndr.)
Come è arrivata la recitazione nella tua vita?
Quando ero piccola ho deciso che volevo fare l'attrice. Alle elementari mi sono iscritta ai corsi di teatro, nessuno nella mia famiglia ha mai fatto niente di legato né al cinema né al teatro, è stata proprio una cosa mia.
Cosa ti piace del recitare?
A me piace tantissimo lo studio dei personaggi, delle personalità, delle emozioni, scoprire perché una persona agisce in un certo modo rispetto a un'altra. Mi piace scoprirlo anche attraverso me stessa, chiedendomi cosa farei in quella situazione, mi permette di scoprire anche nuove cose di me. Recitare mi fa stare bene, perché c'è un copione già scritto, io non devo dire qualcosa, devo solo interpretare.
E qual è la scoperta più sorprendente che hai fatto finora su di te?
Ho scoperto di avere una grandissima energia che non sapevo di avere.
Reciti, suoni e canti. Cosa ti dà la musica che invece la recitazione non ti dà?
Con la musica scrivo le mie cose, ed è quello l'aspetto più bello. Fare le mie canzoni, la mia musica, perché da attore sei sempre uno strumento a servizio della storia. La musica è totalmente personale.
Le relazioni di oggi sono sempre più virtuali, di fatto anche il film lo dimostra. Presto con ChatGPT si potranno intrattenere relazioni amorose con dei chatbot. Questa cosa ti spaventa?
Un pochino sì, ChatGPT per come l'ho cominciato a usare io, ti dà sempre ragione, ti dà quello che vuoi sentire, quindi avere a disposizione una cosa del genere renderà ancora più difficile entrare in connessione con gli altri, avere un'empatia perché penseremo sempre di essere nel giusto, ed è pericolosissimo.

Come possiamo preservare un po' di umanità, non farci fagocitare?
Bisognerebbe incoraggiare il pensiero critico, perché ognuno possa avere gli strumenti per formarsi una sua idea. Ora sui social qualsiasi cosa si può spargere a macchia d'olio, finché è qualcosa di bello va anche bene, ma magari ci sono cose che sfuggono al controllo e diventerà facile influenzare le persone se non riusciranno a pensare autonomamente.
Il sottotitolo del film è "quanto fa male il mondo fuori", c'è qualcosa di quel mondo che ti fa paura?
Tantissime. Guardandomi intorno, ovviamente oltre alle grandi cose che stanno succedendo nel mondo e sono terrificanti, ma ci sono violenze di ogni genere, c'è gente sempre più povera, dove abito io ci sono sempre più persone che chiedono la carità che non c'erano fino a 5 anni fa. C'è un grandissimo divario, sembrano tutti invisibili gli uni per gli altri, non non ci si vede più. Questo è quello che mi fa più male.
Ma, poi, come è arrivato il ruolo di Camilla?
È stato un caso, anche molto divertente, perché ho incontrato il produttore di Vas mentre ero in un mercato a Berlino. Lì facevo finta di essere una produttrice, perché cercavo un sales internazionale per un altro film di cui ero protagonista. Lui mi ha guardato un secondo e mi ha detto "Non sei una produttrice, sei un'attrice", mi ha sgamato subito. In quel momento mi ha detto che stava cercando un'attrice per il suo film, ed eccomi qui.
Girando questo film, hai pensato a come si possa superare il timore di ammettere di avere un problema e quindi di aver bisogno di aiuto?
Ci sono reazioni diverse per ogni difficoltà, ci sono approcci diversi. Spesso si tende a dire "Non ho nulla", un po' come accade con le dipendenze. In questo caso magari si dice "No, io non ho veramente un problema, lo state ingigantendo, è solo che preferisco stare a casa", ma poi è difficile che anche chi ti sta attorno non si rende conto che un problema ci sia. C'è in ballo anche la depressione, si perde motivazione, non è neanche importante che le persone vogliano starti vicino, non è più niente importante. È come se uno si stesse spegnendo lentamente.
All'inizio di questa intervista abbiamo parlato del giudizio, hai scelto un mestiere in cui essere giudicati è all'ordine del giorno, come lo vivi?
Anni fa male, ci rimanevo male per qualsiasi commento negativo. Adesso magari mi può dare fastidio, ma poi non me ne frega più niente. È giusto, perché ognuno ha la sua soggettività, solo il modo fa la differenza, ovviamente i maleducati non mi piacciono. Ma ho scoperto una cosa molto importante, cioè se piace a me, non me ne frega assolutamente nulla del giudizio degli altri.