Maria Rosa Petolicchio: “Nel nuovo Collegio allievi meno costruiti. Educazione sessuale vietata a scuola? Impossibile”

Tra i fenomeni che hanno caratterizzato gli ultimi dieci anni di televisione, c'è stato Il Collegio. Un format che in Italia ha avuto un'esplosione inattesa, vivendo una straordinaria fortuna negli anni della pandemia, mostrandoci la scuola quando non ci si poteva andare. Tra le icone del programma, Maria Rosa Petolicchio, che ha incarnato in queste stagioni il paradigma dell'insegnante rigorosa e severa, ma al contempo docile, che tutti noi abbiamo avuto o avremmo meritato di avere. Nelle ultime settimane è arrivata la nona edizione del Collegio, certamente preceduta da meno aspettative rispetto a un tempo, fattore che forse sta facendo bene al programma, come Petolicchio ci racconta in questa intervista.
Prof, com'è questa nuova edizione del Collegio?
Ho percepito un'atmosfera diversa, avevo subito avuto il sentore che i ragazzi fossero un bel gruppo classe collaborativo. Sì, per carità, sono sempre ragazzi, le ragazzate non mancano, ma si faceva lezione in modo sereno e l'impressione è stata quella di avere a che fare con collegiali scolarizzati, che partecipavano al dialogo.
Molto diverso dalle edizioni precedenti?
Secondo me sì. Li ho sentiti autentici, non costruiti, almeno da quello che vedo dal montaggio che è stato fatto, dai pezzi scelti. C'è da dire che quando io non sono in classe, non sono in regia e non seguo quello che succede, per cui tutto ciò che vedo in Tv per me è nuovo.
Quando non fate lezione voi professori uscite dalla macchina del Collegio?
Noi non abbiamo contatti con loro al di là dei momenti didattici. Non viviamo con loro, che fanno la vita di collegio, molta della quale mostrata nelle puntate. Anche perché non mi voglio farmi condizionare e restare quella che sono quando entro nelle mie classi. Fuori dalla classe li vivono principalmente i sorveglianti.
Negli anni scorsi si era parlato di come molti allievi apparissero troppo costruiti, condizionati da una dinamica emulativa da reality show.
Esatto, era una cosa che aveva un po' scocciato, l'idea dei personaggi già costruiti, con l'abitino preparato su misura. Non li sentivo autentici. Sì, poi le maschere nel tempo cadevano, ma quest'anno era come ci fosse maggiore autenticità. Secondo me sono stati scelti proprio bene, ci danno uno spaccato di quello che è veramente il mondo dei giovani.
Inoltre c'è stata un'annata di pausa, che certamente ha fatto respirare il format.
Sì, anche questo ha giovato molto al programma, perché effettivamente l'ha fatto attendere. Ha creato delle aspettative perché poi si era innescato il meccanismo del "che peccato perché non lo fate più". Insomma, nel complesso è stata un'esperienza vissuta in modo più rilassato, come una bella parentesi estiva.
D'altronde nelle edizioni precedenti il successo era stato dilagante e inaspettato. Pensi che questa cosa vi abbia messo pressione?
Beh, la grande esplosione del programma dalla terza stagione in poi, che aveva porta a considerare Il Collegio un gioiellino di rete, aveva portato gli addetti ai lavori oltre le più rosee aspettative. Poi c'è stato un inevitabile momento di flessione.
Tu sei diventata un'icona del programma, un volto fisso, ma poi nella settima stagione è cambiato qualcosa.
Sì, c'è stato il fattaccio, perché a parte il preside, il professore Maggi e i sorveglianti, si è pensato che rinnovare il programma dovesse significare necessariamente far fuori tutti quanti.
La cosa ti ferì al tempo?
La speculazione sul cognome Petolicchio non è che mi avesse fatto questo gran piacere e lì per lì ci sono rimasta malissimo, mai me lo sarei aspettato. L'ho vissuta come una stroncatura, tra l'altro comunicata male perché solo in prossimità delle registrazioni, non tenendo conto della disponibilità che avevo fornito.
Dopo alcune settimane arrivò la proposta "consolatoria" di Pechino Express.
Sì, la stessa casa di produzione me lo propose, fui chiamata proprio mentre loro giravano il Collegio 7.

Ma la pausa fu breve, un anno dopo ti chiesero di rientrare al Collegio.
Sì, è arrivata la proposta di farlo insieme a mia sorella. Ho accettato con piacere, sottolineando tuttavia che me lo avevano chiesto con un anno di ritardo. Anche perché la settima stagione, da quel che mi risulta, non è stata proprio delle migliori. Poi quest'anno si è chiuso il cerchio perché sono rientrati tutti, da Raina a Carnevale. La cosa mi ha resa contenta.
Quest'anno si introduce nel programma l'educazione sessuale, tematica tornata al centro del dibattito.
Ho avuto veramente piacere a che si aprisse a determinati ragionamenti e argomenti perché noi lì abbiamo ragazzi dai 14 ai 17 anni. Certe cose bisogna che le conoscano e anche bene, in modo scientifico e non perché l'amico ti ha detto che devi fare.
Eppure nel ddl Valditara c'è un emendamento della Lega che vieta l'educazione sessuale fino alle medie. La categoria dei docenti su questo come pensi si posizioni?
Parliamoci chiaro, viviamo in un tempo storico in cui certe cose rispetto al passato avvengono molto prima. I ragazzi sono tanto più svegli, anche se ovviamente non possiamo mai generalizzare, però a certe esperienze si arriva anche con una sorta anche di superficialità, con poca maturità, scarsa età anagrafica. Secondo me trattare la materia come un tabù non porta a nulla. Bisogna parlarne, chiaramente adeguando il linguaggio alla platea, ma anche in una scuola primaria le domande le fanno e noi dobbiamo essere in grado di rispondere. Io insegno matematica e scienze nella realtà, spiegami come posso affrontare la genetica senza parlare di apparati riproduttivi maschili e femminili. Io nelle mie terze devo parlare di riproduzione, di trasmissione. Sennò è impossibile. Che faccio? Parlo del cavolo e della cicogna?
Il ministro stabilisce però che anche dopo le medie l'insegnamento di educazione sessuale va sottoposto a una scelta delle famiglie. Come la leggi?
Io faccio un discorso di educazione a 360 gradi, entro in una classe perché la sento come cosa che mi appartiene, non per portare uno stipendio a casa. E l'educatore deve essere pronto con il suo esempio, non solo con le sue parole, ad affrontare tutti i temi, tutti, nessuno escluso, perché nella vita e nella pratica quotidiana delle nostre classi ti posso garantire che c'è bisogno di parlare di affettività. È inutile che etichettiamo le educazioni. È inutile che vogliamo dire esista l'ora di educazione civica, quella di educazione all'affettività, io vado anche oltre l'ora stabilita da destinare a certe materie. Noi quando entriamo nelle classi siamo educatori e con il nostro modo di fare e con il nostro modo di vivere insieme a loro, educhiamo. Ci serve poterne parlare tutte le volte che ce n'è necessità.
Ma se la famiglia di una studentessa o uno studente decide di sottrarre l'allieva/o a quelle materie?
Secondo me, tutto sta nella sinergia e nel rapporto che ognuno di noi riesce a stabilire con le famiglie e dalla capacità di intuire chi hai davanti e come parlare di certe cose. Ma voglio anche aggiungere che, per quel che mi riguarda, certe tematiche sono organiche ai programmi. Se tu vai a leggere un curriculum di scienze, della scuola secondaria di primo grado, tu troverai gli argomenti di cui ti ho parlato.
Quindi dici che è quasi un non tema, un dibattito solo politico di chi nelle scuole di fatto non ci sta.
Secondo me qualcuno dovrebbe venire più spesso nelle scuole a vedere cosa accade, che cosa viviamo, quali sono le domande a cui veniamo chiamati a rispondere. Per me si deve parlare di tutto. La cosa importante è saperlo fare, col massimo rispetto e con la massima civiltà da ambo le parti.
Alle famiglie, invece, cosa diresti?
Che ci si deve fidare degli insegnanti, perché se anziché voler affrontare l'eventuale problema di un figlio si tende a nascondersi dietro le proprie convinzioni o ad accontentare i ragazzi, non si sta facendo il loro bene. I primi a mettersi in discussione dovremmo essere sempre noi adulti. Non è vero che i ragazzi non vogliono le regole e i paletti, vogliono però persone coerenti che poi quei paletti non li spostano a seconda dell'occasione.

La sensazione è che la professione di chi insegna viva un momento di crisi come tutti i lavori che richiedono una vocazione. Non ha più il valore sociale di una volta. Sei d'accordo?
Hai detto benissimo, è proprio così, ma anche qui dipende dall'approccio. Io quando entro in classe provo sempre a ricordarmi di non avere davanti dei numeri, ma delle persone, bisognose di attenzione. Sta sempre a noi adulti dare le giuste risposte. Io tendo sempre a mettermi molto in discussione sotto questo profilo e ribadisco che molto dipende dal rapporto che instauri con ragazzi e famiglie.
Nel 2019, al tempo della nostra prima intervista, ragionavamo dell'esplosione del Collegio, allora difficilmente spiegabile. Che effetto ha avuto su di te la fama?
Sulla mia vita e sul mio quotidiano assolutamente nulla, nessun cambiamento. Ancora oggi mi chiedo "Ma davvero è successo tutto questo proprio a me?". Mi ha fatto piacere essere definita icona, anche da molti tra voi giornalisti, ma per il resto io non faccio niente di speciale, la vivo con molta tranquillità. Forse era una cosa che mi doveva capitare, ricordo ancora che la mail della Rai l'avevo inizialmente cestinata.
Quindi non ti tocca l'idea che questa finestra di celebrità possa a un certo punto chiudersi?
Sicuramente come tutte le parentesi di vita, è destinata a chiudersi. Io mi sono sempre bocciata un po' da sola, nel senso che non mi sentivo mai abbastanza. Riuscivo, ma non ero mai chissà che cosa. Quindi nell'autostima queste esperienze mi hanno fatto sicuramente del bene. Di sicuro mi piacerebbe andare in pensione al Collegio così come prima o poi succederà nella vita normale.
Nessun divismo, insomma.
È proprio dal divismo che mi tengo molto lontana. Tanto è vero che quando poi qualche tuo collega scrive di me in un trafiletto che io sogno tanto Ballando con le stelle, la cosa mi fa girare un po' le scatole.
Perché non ci andresti?
Ma voglio dire, cioè, io non ho niente contro nessun programma e niente contro nessuno, però una vita mia ce l'ho. Certo, è chiaro che quando si aprono delle parentesi, mi diverto anche e se mi fai la domanda ti dico che sarei molto contenta. Da qui a far passare l'idea che io spingerei per farlo, mi sembra esagerato. Non mi sono mai andata a cercare niente.
Non hai agenti che ti seguono?
No, sono lontana da queste realtà.
In questi quasi 10 anni al Collegio avete allevato generazioni di studenti, se vogliamo anche di influencer. Sai qualcosa delle vite dei ragazzi passati da lì?
Su questo fronte mi puoi mettere un'insufficienza grave, perché io non non seguo più di tanto i percorsi dei ragazzi. Sono una persona che vive coi piedi per terra e che di tante chimere non si interessa. Per me c'è un bel confine netto tra l'essere e l'apparire e ho visto tanta costruzione, mi è capitato di sapere che alcune storie sono andate diversamente da come mi sarei aspettata. Per questo preferisco non seguire i collegiali e non essere in contatto, o comunque non andarlo a cercare. Certo, se mi scrivono rispondo cortesemente, gentilmente, ma capita di rado.
Aspirazioni per il futuro?
Sogno veramente una vita serena per le mie figlie. Cose normali, non Ballando con le stelle.