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Mare Fuori 4

Mare Fuori 3, Carmine Recano: “Nella serie raccontiamo il fallimento degli adulti”

Carmine Recano interpreta Massimo, ovvero il Comandante di Mare Fuori. Nella redazione di Fanpage.it l’attore ha raccontato come ha costruito il suo personaggio, mettendo in luce la complessità di un prodotto come quello della serie più vista del momento.
A cura di Ilaria Costabile
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Nella serie dei record, perché è così che Mare Fuori può essere definita, arrivata ormai alla sua terza stagione, è Massimo Esposito, meglio conosciuto per il suo ruolo, quello del "Comandante", un uomo prima ancora che un agente penitenziario, che rischia la vita per salvare quella dei suoi ragazzi, mettendo in discussione anche le regole, se è necessario. A dare voce e corpo a questa figura, così emblematica, è Carmine Recano.

Se volessimo elencare i titoli di fiction e film ai quali ha preso parte nel corso della sua carriera, potrebbe volerci del tempo, dal momento che ha iniziato ad appena 19 anni, per caso, accompagnando un amico ad un provino: "Può sembrare la solita storia, ma è andata proprio così".  Dagli inizi cinematografici con Ferzan Ozpetek, attraversando l'evoluzione della fiction italiana, sempre più indirizzata a premiare prodotti audaci e fuori dai soliti schemi narrativi, Carmine Recano è riuscito a portare sullo schermo le sfaccettature di svariati personaggi a cui ha dato vita, tenendo alta l'attenzione di chi ha imparato ad apprezzarlo nel tempo.

Napoli, la sua città, è ancora una volta sfondo di un racconto corale, che mira a sottolineare quanto dietro agli errori degli adulti si nascondano le insidie per i più giovani: "È un modo per porsi domande, chiedersi dove abbiamo sbagliato" racconta a Fanpage.it l'attore che esalta il successo della serie parlando di un grande lavoro di squadra. Sul futuro della serie, non si sbilancia, ma l'importante è "non perdere l'intento iniziale" con cui è nato il progetto, e non si può che essere d'accordo.

La terza stagione di Mare Fuori conferma il successo di un progetto ambizioso e fuori dagli schemi. Inizialmente, però, non eri convinto di voler accettare il ruolo del Comandante. Cos’è che ti ha fatto cambiare idea?

In realtà questo è un viaggio che parte tre anni fa, attraverso una telefonata del papà di questa serie, Carmine Elia, che mi chiama e mi dice di tenermi libero perché sarebbe venuto a Napoli a girare una serie in un carcere minorile. Gli ho chiesto se fosse sicuro di questa scelta perché il mercato era già pieno di prodotti incentrati su questi argomenti, sollevando i miei dubbi. Lui mi disse "Ti mando da leggere e cambierai idea", così è stato.

Cosa c’è di diverso nella tua versione di Massimo rispetto a come era stato concepito il personaggio?

Avevo bisogno di una chiave di accesso per entrare nel mondo di Massimo, per attraversare le sue emozioni e costruire il rapporto con i ragazzi, soprattutto quello con Carmine (Massimiliano Caiazzo). Insieme abbiamo lavorato molto sul senso paterno di Massimo, perché bisognava essere autoritario quando era necessario e molto comprensivo per accorciare le distanze che c'erano tra il mondo degli adulti e quello degli adolescenti.

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Nell’arco di queste tre stagioni, Massimo ha instaurato dei rapporti quasi paterni con ognuno dei giovani detenuti. Penso al legame con Carmine, alla scena in cui salvi Edoardo, come si è tradotto questo rapporto dentro e fuori dal set?

Tutto nasce da questa esperienza condivisa che è il carcere, dove i legami assumo un significato e un valore molto più profondo, perché i personaggi vivono e si riconoscono nello stesso dramma. Abbiamo puntato su questo, perché è quello il modo che ha il pubblico di empatizzare e riconoscere quei legami.

Alla serie viene contestata la veridicità del racconto in merito alla gestione di un IPM nella realtà. Tu che interpreti il ruolo di un educatore, hai avuto moto di rapportarti con chi svolge quotidianamente questo lavoro nelle carceri?

Ovviamente il confine tra la realtà e la finzione è un elemento quasi naturale della realtà televisiva, è per forza di cose romanzata, ha questo carattere. Per quanto mi riguarda, ho bisogno di calarmi in quella realtà, mi sono confrontato con degli educatori e ho cercato di dare a Massimo quelle qualità che ho avvertito da queste figure professionali, qualità umane, protettive, di comprensione.

Carmine Recano, Carolina Crescentini e Vincenzo Ferrera
Carmine Recano, Carolina Crescentini e Vincenzo Ferrera

"Non sono i luoghi che condizionano le esistenze” hai dichiarato in un’intervista riferendoti al fatto che sei cresciuto in quartiere notoriamente difficile come Secondigliano. 

Ho vissuto fino ai miei primi dodici anni a Secondigliano. Però, in realtà, quello che abbiamo provato a raccontare in questa serie è il fallimento di noi adulti, perché questi ragazzi non sono nient'altro che il risultato del nostro cattivo esempio.

La serie non mira a salvare la vita dei giovani che la guardano, ma racconta che esiste qualcosa di diverso dal mondo criminale. Credi che un prodotto di intrattenimento, possa assolvere questo ruolo, possa smuovere delle coscienze?

Credo che sia un'opportunità per farsi delle domande: dove abbiamo sbagliato e perché accadono queste cose. Poi, se lo spettatore riesce a trovare anche delle risposte, noi siamo felici.

Che ruolo ha lo Stato? C'è lo specchio degli adulti sui ragazzi, ma si avverte anche una grande mancanza.

C'è quel vuoto. Soprattutto nella prima serie abbiamo raccontato un carcere molto oppressivo, per far capire allo spettatore che il carcere è stata l'unica risposta che abbiamo saputo dare rispetto al disagio giovanile.

In parallelo con le storie dei ragazzi ci sono quelle degli adulti. Il Comandante vive un rapporto particolare con la Direttrice (Carolina Crescentini ndr.). Che contributo ha dato alla serie, secondo te, la storia d’amore tra loro?

Non saprei, però abbiamo raccontato nella prima serie un rapporto conflittuale, fatto di continue tensioni emotive, incomprensioni, fino a quando non sono venuti fuori quelli che sono gli aspetti umani dei due personaggi. Si sono avvicinati, si sono amati, ma è un tipo di rapporto che non ha trovato la giusta strada per diventare altro.

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A breve inizieranno le riprese di Mare Fuori 4. Cosa c'è da aspettarsi?

Sono sincero, non conosco ancora gli sviluppi della quarta stagione.

Si è parlato di una quinta e una sesta stagione di Mare Fuori, non pensi che si possa spolpare un prodotto che ha avuto così tanto successo, con il rischio che possa diventare ripetitivo?

I don't know. Davvero. Credo che sia fondamentale non tradire l'idea iniziale, restare credibili rispetto all'idea originale della serie, credo sia questa la chiave che ti permette di andare oltre.

Sei stato in tournée con Mine Vaganti, trasposizione teatrale di uno dei film che ti ha dato maggior successo, stavolta però interpreti il ruolo che al cinema è stato di Alessandro Preziosi. Com’è stato affrontare questo switch?

In realtà sono due personaggi che hanno qualcosa in comune, il fatto di vivere questo amore non dichiarato. Anche Marco, in modo diverso, vive la stessa situazione. Il ruolo di Antonio è sicuramente più centrale, però quando si lavora con i grandi registi è un percorso che avviene in modo naturale, quindi non si fa fatica ad entrare in sintonia con i personaggi.

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Che rapporto è nato con Ferzan Özpetek dopo anni di lavoro insieme?

È un rapporto che nasce vent'anni fa con il primo film "Le fate ignoranti", è un rapporto di rispetto e fiducia reciproca. Per me è un grande punto di riferimento, posso dirti? È uno dei regali più belli che la vita mi ha fatto, una persona di grande umanità.

Un posto al sole a Don Matteo 2, passando per Un medico in famiglia 4, Capri, Provaci ancora prof!, La Porta Rossa, Sopravvissuti. Sono solo un quarto delle fiction alle quali hai preso parte nella tua carriera. Hai attraversato le varie fasi della fiction italiana, da interprete ti chiedo, in che direzione stiamo andando?

Credo che sia una grandissima realtà, per me è sempre una questione di forma e contenuto. Ovviamente la serie televisiva presenta una scrittura diversa, molto più conservativa, perché sviluppata in più episodi, il cinema, uno spettacolo, raccontano le storie in 90 minuti. Ma sono forme di spettacolo che si completano.

Carmine Recano e Lino Guanciale in "La Porta Rossa"
Carmine Recano e Lino Guanciale in "La Porta Rossa"

C'è qualcosa che vorresti ancora fare nella tua carriera?

Non lo dico. Perché poi non si avverano, me lo tengo per me (ride ndr.)

Qualcosa di cui ti sei pentito?

No, nulla.

Il ricordo più bello che hai dei progetti a cui hai preso parte tra cinema, tv, teatro?

L'esperienza di Mare Fuori è particolare, soprattutto a livello umano, mi ha dato l'opportunità di condividere questo viaggio con un gruppo di ragazzi straordinari, abbiamo vissuto in simbiosi per tutto il periodo delle riprese, si è creato realmente un legame forte e questo penso che arrivi al pubblico.

Carmine Recano, Antonio D'Aquino e Domenico Cuomo, fonte Instagram
Carmine Recano, Antonio D'Aquino e Domenico Cuomo, fonte Instagram

Quindi sei d'accordo con chi dice che il successo di Mare Fuori sta anche nel collettivo?

Soprattutto. Credo che il successo sia nel lavoro di tante persone, dal cast tecnico, alla produzione, al cast artistico, agli sceneggiatori, a Rai Fiction che ha supportato questo progetto e che ci ha creduto.

Il paradosso è che nonostante sia una fiction presente in Rai dal 2020, il vero boom l'ha avuto su Netflix.

In realtà i dati, anche quelli della piattaforma, sono sempre stati positivi sin dalla prima serie, c'erano dei buoni segnali. Credo che le interazioni sui social e il passaparola abbiano fatto la differenza.

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