Marco Liorni: “Mi godo L’Eredità e lavoro a una novità. La gaffe più grande? Da inviato a Verissimo, fermai la diretta”

È tornato con L'Eredità da alcune settimane, sarà di nuovo il volto del capodanno di Rai1 ed è, senza ombra di dubbio, uno dei volti di punta della Tv di ogni giorno, la spina dorsale di questo mezzo di comunicazione. Marco Liorni si racconta a Fanpage, in un'intervista che si trasforma a tratti in un bilancio: "Mi spaventano i 60 anni che ho appena fatto, mi è venuta improvvisamente una fretta che non puoi immaginare".
Dedito al lavoro, Liorni rientra tra quei professionisti che alimentano ogni giorno la macchina televisiva, un mezzo che a suo modo di vedere "ha bisogno di crescere, cambiare, attualizzarsi", certamente in crisi ma di cui "proprio adesso abbiamo più bisogno che mai". La Tv, d'altronde, è cambiata davanti ai suoi occhi, visto che 25 anni fa viveva in prima persona la prima edizione del Grande Fratello da inviato: "Abbiamo ancora una chat, la leggo ma scrivo poco". Lo scorso anno l'esperienza del sabato sera: "Ora o mai più riuscito a metà, i giudici che non si lanciavano troppo". Oggi, oltre agli impegni quotidiani, guarda al desiderio di un nuovo programma in prima serata, ma è allergico ai divismi e si dice inadatto a Sanremo: "Da conduttore lo farei, ma la direzione artistica è lontana dal mio percorso". E poi quel momento di imbarazzo da inviato di Verissimo che non dimentica: "Persi quasi un litro di sangue”.
Tutti ti associano inevitabilmente alla messa in onda pomeridiana e anche serale, che fai al mattino fuori dalla Tv?
A parte farmi intervistare da te faccio delle cose di famiglia, colazione con i figli che che vanno a scuola e all'università. Poi porto a spasso il cane e dopo inizia la giornata lavorativa vera e propria, ci parliamo con gli autori, mi mandano le schede dei concorrenti e poi pranzo, poi dopo entriamo al discorso registrazione. Non penso di svelare nulla dicendo che i quiz sono registrati.
L'Eredità sta andando a gonfie vele, l'andamento del programma incide sul tuo umore?
Sicuramente pesa per i primi 10 minuti, alle 10 del mattino, l'orario fatidico in cui arrivano gli ascolti. Li commentiamo un po', ma via chat, qualche volta ci sentiamo con gli autori. La quotidiana non è come il serale, ha un andamento diverso, costante, devi vedere un po' le tendenze, le curve, per capire se c'è qualcosa che si può migliorare giorno per giorno, ma non c'è quella attenzione spasmodica per cui poi devi aspettare una settimana per cambiare, confermare o smentire.
Il programma è storico, una certezza assoluta, ma voi provate a non tenerlo mai fermo.
Sì, già stiamo pensando ad alcune novità anche nel corso dell'anno, come la scorsa stagione in cui è tornata la scossa. Abbiamo questa inquietudine che è una delle cose che mi piace di più, il fatto di non adagiarsi, non andare mai col pilota automatico, avere sempre la voglia di migliorarsi.
Il giudizio quotidiano dei numeri condiziona l'andamento delle tue giornate?
Io sinceramente mi fido molto di più delle delle sensazioni che abbiamo mentre facciamo le cose, se ti diverti, se senti che c'è clima giusto.
Cosa pensi di avere aggiunto a un titolo solido che pareva non avere bisogno di elementi per funzionare?
Ho me stesso. Venivo da esperienze molto diverse e quindi probabilmente c'è qualcosina di quello che avevo maturato, un po' di narrazione in più dei concorrenti, l'elemento empatico che credo mi caratterizzi.
Spezziamo una lancia in favore delle materie umanistiche: incidono sul modo di fare Tv?
Ho fatto studi universitari, mi sono fermato a 4 esami dalla laurea, travolto dal lavoro. Sono studi che aiutano perché la quotidiana ha da una parte una ripetitività, ma dall'altra escono fuori tanti micro racconti, nell'insieme crei un affresco del contemporaneo, nei limiti di quello che si può fare. Arriviamo alle 7 di sera, alla fine di una giornata in cui ognuno ha vissuto la sua vita e quindi tu sei lì per rappresentare un pezzettino di quel motore silenzioso dell'Italia, poco raccontabile in altri contesti proprio perché non fa notizia, che però manda avanti il Paese.
Bisogna sempre stare attenti a non sfociare nella commozione e il pietismo sfrenato.
Non arriviamo mai a un'emozione così profonda, andiamo più sulle energie positive, è una cosa che va fatta chirurgicamente perché lì uno sta per giocare e a casa giocano con noi. Il pathos, diciamo, va sempre tenuto a bada, l'elemento portante resta il gioco.
Hai condotto anche Reazione a Catena, qual è la differenza sostanziale con L'Eredità?
Reazione a Catena è un gioco che ho nel cuore, lo trovo geniale soprattutto per alcuni momenti come l'intesa vincente, si basa sull'elemento dell'associazione, l'idea che i concorrenti debbano sperimentare questa attitudine dall'inizio alla fine, se pure declinata in vari modi. L'Eredità invece ha diversi giochi, ognuno dei quali stimola un elemento differente. Quello in cui devi ricordare i tuoi vissuti perché devi collocarli nel il tempo, l'altro in cui devi mettere dentro le tue conoscenze, la strategia del montepremi, le associazioni per la ghigliottina. Quest'anno abbiamo aggiunto anche un elemento radiofonico con l'iniziale.
Ovvero?
Siccome molti giocano mentre fanno altro a casa, magari stanno cucinando, il programma lo ascoltano solo senza guardarlo. Allora se tu fai un gioco legato a una lettera specifica con la definizione, consenti anche a chi non legge di poter partecipare. Ci siamo resi conto che funziona molto, sono queste piccole cose che, ripetute, fanno insieme la forza del programma.
Sei definito emblema di pacatezza e equilibrio, quasi a volte quasi come si trattasse di criteri negativi. Perché secondo te oggi in televisione conta di più essere cattivi?
Questo elemento c'è sempre stato, anche se prima era più sfumato e irregimentato in alcuni programmi. Oggi si nota di più perché segnato dall'influenza dei social, dove tutti sono cattivi o fanno i cattivi, sono velenosi o fanno i velenosi. Ma la cattiveria va bene se cerca la verità, se no non ha molto senso.
Essere buoni è meno cool che il contrario.
Sì, fermo restando che anche la la bontà ostentata è insopportabile. Secondo me bisogna sempre cercare il giusto, la verità, avere dei propri valori e metterli là. E se pensi che la gentilezza sia un valore, devi essere gentile, senza stare a ostentarlo. Poi io penso che la cattiveria può anche avere un'utilità se ha uno scopo, come quello di raccontare le persone. Un esempio è Belve, un programma apparentemente cattivo in cui però i toni aspri servono a raccontare come una persona si sia difesa dal mondo, tirando fuori quello che è davvero.
Però non c'è dubbio che il cinismo abbia un suo fascino.
Certo, restando alle interviste adesso c'è questa impressione che ognuno dice tutte le cose più orrende che ha fatto e se non si fa quello sembra che l'intervista non possa avere un senso, che non sia spezzettabile sui social, perché alla fine un frammento di 20 secondi è più distribuibile se dici una cosa feroce. Per questo credo che i social incidano pesantemente sulla TV.
Pare che sul tuo approccio pacato alla vita abbiano pesato molto alcuni problemi di ansia e stress avuti in passato. Come se ti avessero costretto a uno stile di vita diverso.
Si è trattato di problemi di natura psicologica, una paura che mi fermava in molte cose, questioni legate più all'educazione e non propriamente di salute. Il mio approccio è sicuramente cambiato. Succede che quando le persone hanno problemi di salute o situazioni gravi che poi superano, dopo dicano tutte la stessa cosa: essersi resi conto di quanto tempo avevano perso nella vita a rincorrere stupidaggini, discussioni inutili, cattiveria gratuita, perdere tempo su cose che non lo meritavano. Questa botta di saggezza è meglio usarla che disperderla, chiedersi costantemente se il tempo lo stai utilizzando in modo giusto.
È una domanda costante per te?
Adesso non me la pongo più perché piano piano ho trovato un modo di stare al mondo, ma in quel periodo me la sono fatta spesso.
Chi lavora nel mondo dello spettacolo sembra destinato a non potersi lamentare, perché se guadagni bene non puoi avere problemi. È un'impressione vera?
Sì, è così, penso sia molto provinciale questa mentalità. Certo è una fortuna poter fare il lavoro che ti piace, è una fortuna sicuramente che sia ben pagato. Ma a volte viene erroneamente percepito come un mondo dorato in cui non c'è spazio per il quotidiano.
Si parla spesso della televisione come un mezzo destinato a morire. In che stato si trova secondo te?
È un mezzo che ha bisogno di crescere, cambiare, attualizzarsi. Ha ancora una potenza incredibile e lo vedi dai numeri, ma allo stesso tempo è messo fortemente in discussione dagli altri dagli media, dagli altri mezzi, quindi deve interrogarsi in continuazione. Il problema è che allo stesso tempo devi pensare alla quotidianità, tenere in equilibrio diversi fattori.
Negli anni della pandemia c'era stata un'improvvisa ripresa, ora pare vivere una nuova fase depressiva.
Esatto e proprio per questo credo ci sia un disperato bisogno di televisione, in questa realtà così frammentata, così complessa e problematica abbiamo bisogno di un posto, un luogo di confronto che possa parlare alle persone con vari registri, affrontando quei temi problematici, di cui si parla poco.
Per esempio?
A breve andrà in onda questa fiction con Cesare Bocci che racconta le dinamiche dell'ispettorato del lavoro. Ecco, io penso che in questo tempo in cui ci sono ancora centinaia di morti sul lavoro ogni anno sia inevitabile parlare di un tema del genere. E chi deve farlo se non la Tv, che può ancora aggregare milioni di persone in contemporanea e che sia capace di fare massa critica? Ma soprattutto quanti temi così ci sono? Allungare uno sguardo su chi è diverso da te, chi vive una condizione differente. Questa non è più la società di 20 anni fa, bisogna confrontarsi con culture e modi di vedere differenti. Abbiamo paura, vorremmo semplificare tutto, ma la strada non è quella e la TV può essere uno strumento essenziale per rendere leggibile questa complessità.
Mi pare di capire che quello che tu chiederesti al sistema televisivo sia quello di avere una visione di insieme.
Più che mai, sì. Una visione d'insieme che passi attraverso linguaggi differenti. Io penso a Fabrizio Frizzi, la sua scomparsa ha commosso tutti, eppure lui ha sempre fatto programmi di intrattenimento. Certamente la morte prematura ha pesato, ma se lo immaginassimo ancora vivo potremmo dire che lui ha dato un'impronta molto forte, ha fatto passare un messaggio di gentilezza, di attenzione, di garbo. Aveva tracciato un solco e non dobbiamo dimenticarci quanto la televisione incida su milioni di persone.

Due anni fa avevi raccontato che prima di iniziare a fare L'Eredità ti spaventava e avevi quasi pensato di dire di no. Se è vero che le cose che spaventano sono anche un po' quelle che in fondo desideriamo, cosa ti fa paura oggi?
Mi spaventano i 60 anni che ho fatto. Mi è venuta improvvisamente una fretta che non puoi immaginare. Dall'altra però c'è una specie di volontà di calma e di lentezza, rilassarsi pensando alle piccole cose.
Come li hai festeggiati questi 60 anni?
Sono stato con degli amici a fare un paio di giorni insieme, senza guardare l'orologio. Proprio l'altro ieri ci siamo condivisi le foto di questo weekend con una certa commozione, cosa di cui prima ci saremmo vergognati. Con l'età ti lasci andare a delle manifestazioni che prima non avresti immaginato.
In carriera hai fatto fondamentalmente quasi tutto quello che si potrebbe fare, eppure sei quasi considerato un giovane. Tu ragioni in prospettiva rispetto al lavoro, o ti accontenti del presente?
Si ragiona sempre in prospettiva, naturalmente non in una lunga prospettiva. C'è sicuramente la voglia di fare dei progetti un pochino più pensati, ma anche godersi una puntata de L'Eredità dopo l'altra. In questa dicotomia tra fretta e volontà di lentezza, cerco programmi che segnino un piccolo passo in avanti verso la la contemporaneità. Ecco, un programma l'ho trovato in quel senso, adesso bisogna vedere se ce lo fanno fare.
È un progetto già in piedi?
Il programma esiste, non esiste ancora l'adattamento italiano. Secondo me è molto bello e andrebbe nella direzione del people show
Solo un'idea, o qualcosa di più concreto?
Posso dire che la Rai lo sa, il programma è piaciuto e quindi potrebbero esserci degli sviluppi.
Si tratterebbe di un quotidiano?
No, l'idea sarebbe una prima serata. Per il quotidiano mi piacerebbe tornare con Italia Sì nella sua idea originaria.
La prima serata è un po' il desiderio a tendere di chi fa Tv, però è anche vero che stiamo scoprendo quest'anno più che mai di un preserale e un access che cubano molti più telespettatori. Forse l'orizzonte non deve essere necessariamente quello.
Assolutamente sì, certi numeri sono legati solo a programmi quotidiani, ma in questo caso si tratta di un formato non adattabile alla dimensione del giorno per giorno. È uno spettacolo che richiede un allestimento, investimenti, preparazione che non sono quotidiani. Non ho mai ragionato in base alla pretesa di fare prime serate, crescere così non mi interessa. Ho sempre pensato solo agli stimoli che un programma può dare. Una delle creature che più amo, Italia Sì, era stata concepita proprio come una quotidiana.
Lo scorso anno hai fatto il sabato sera, cosa ti resta di quell'esperienza a Ora o mai più?
Per me è stato sabato sera, ma poteva essere in qualsiasi altro giorno. Ora o mai più è riuscito in alcuni aspetti, meno in altri. Ha avuto delle difficoltà di cast proprio perché è cambiato il mondo, perché quegli artisti venivano da una stagione diversa della musica. Hanno avuto un'altra occasione, c'è chi ha dimostrato di avere ancora qualcosa da dire, chi di essere un bravo interprete senza quella marcia in più che serve quando devi proporti di nuovo. Dall'altra parte i giudici che non si lanciavano troppo, un po' contratti. C'è stato chi ha fatto il giudice dicendo di non voler essere giudicato.

Un esperimento che ritieni riuscito a metà, insomma.
L'obiettivo di fare uno spettacolo di intrattenimento è andato in porto, mentre quello di tirare fuori più verità, di andare più dentro le questioni, è riuscito. in parte. C'è anche chi ha minacciato di andarsene, ma qui mi taccio.
Hai spesso raccontato che la maternità di Cristina Parodi fu cruciale per la tua carriera, lasciandoti spazio a Verissimo. Nel 2011 approdi a La vita in diretta per l'assenza improvvisa di Lamberto Sposini. Le occasioni importanti possono anche essere amare.
Non ho mai fatto particolari riflessioni su questo. Un po' tutti i programmi in onda dipendono da scelte professionali o di vita altrui, ci sarà sempre un motivo per cui non lo fai più, è nell'ordine delle cose e non vedo nulla di particolare nei bivi, a meno che non si vogliano romanzare o enfatizzare. Diciamo che le cose possono arrivare oppure no, ma tocca farsi trovare pronti. Mi sono capitate tante occasioni, ma anche cose che non sono andate in porto.
Dimmene una
A inizio anni Duemila feci un numero zero di un quiz in Scozia, l'unico posto dove andava ancora in onda. Tutto era andato bene, ma poi per altre ragioni non si fece più nulla.
Prima hai parlato dei 60 anni, Ne avevi 35 al primo Grande Fratello. Che effetto esercita su di te questa consapevolezza?
Un effetto molto bello. Purtroppo non ho potuto partecipare al documentario, ma rispetto a quell'esperienza c'è tanta nostalgia. Il primo fu un anno d'oro, poi un po' meno perché dopo le Torri Gemelle cambiò tutto.
Li senti i protagonisti?
Abbiamo una chat con i concorrenti della prima edizione, si chiama "Il GF 1". Io leggo, anche se scrivo poco.
Una scuola di quel tipo non tutti possono dire di averla vissuta.
Fu incredibile da tutti i punti di vista, un'esperienza irripetibile. Ci ho lavorato per 7 anni, con alcune persone ci sono cresciuto. Poi io ricordo questa cosa che andavo nelle famiglie, entravo nelle case dei concorrenti dove pioveva questa questa popolarità improvvisa su gente che mai lo avrebbe immaginato. Scoprivi dei mondi. Nel documentario avrei raccontato questo, gli ex fidanzati fuori dalla casa, un roba che 25 anni fa era distante anni luce da come lo sarebbe oggi.
L'Eredità e L'anno che verrà, una doppietta da cui gli ultimi conduttori di Sanremo sono passati. Tempo fa avevi detto di non sentirti pronto al Festival: è ancora così?
Continuo a fare una distinzione tra conduzione e direzione artistica. Nel primo caso non lo escluderei, sono un professionista e condurre è il mio lavoro, ma per quel che riguarda direzione artistica, la scelta delle canzoni, l'impronta da dare a un evento del genere, si tratta di cose un po' estranee al mio percorso.
La Tv è soprattutto meme. Mi dici la gaffe più grande della tua carriera o il più grande momento di imbarazzo?
Mi viene in mente una cosa che è successa quando stavo a Verissimo, parliamo del '97 o inizio '98, è una cosa che fa anche un po' senso perché poi ho scoperto che c'era un motivo. Eravamo in diretta, era l'ultimo quarto d'ora e a un certo punto mi sono soffiato il naso e ha iniziato a uscire sangue. Sarà stata forse l'emozione del momento che ha fatto aumentare la pressione sanguigna, fatto sta che non si riusciva ad arrestare questa cosa. Solo dopo, tramite una visita, ho scoperto che avevo due angiomi.
E quindi questa cosa poi come si è risolta in diretta?
Io dicevo "andiamo, andiamo, andiamo", ma più lo dicevo e più non si fermava. È chiaro. Alla fine in quei 7-8 minuti hanno mandato i servizi tutti attaccati e sono stato salvato, non tornando mai in onda. Il giorno dopo Gregorio Paolini, la mente di quel programma, mi disse scherzando: "Ci hai fatto perdere un punto ieri". E io risposi: "Meno male, io ci ho perso un litro di sangue".