Marco Berry: “Mollai Le Iene perché non c’era più il clima degli inizi. Pif deve il suo nome a me”

Illusionista, autore, inviato, conduttore. Impossibile definirlo e catalogarlo, come lui stesso ammette. “Faccio tremila cose ed è difficile incasellarmi da qualche parte”, confessa Marco Berry a Fanpage. “Molti sostengono che sia un male, ma io amo paragonarmi ad una scatola di matite colorate. Ho tante sfumature e, soprattutto, sono molto curioso”.
Classe 1963, Berry – al secolo Marco Marchisio – acquisì il cognome della madre in occasione dell’iscrizione ad un concorso europeo di magia. “Avevo 15 anni e il segretario del circolo mi comunicò che bisognava compilare la scheda di presentazione. A quel punto mi chiese che nome d’arte volessi utilizzare. Mi propose Mago Marco e Magic Marco. Rifiutai e, dopo averci pensato mezzo secondo, tirai fuori la soluzione: Marco Berry. Ero molto legato ai miei nonni materni e mi sentii orgoglioso di quella scelta”.
L’amore per l’illusionismo era tuttavia nato molto prima, già ad otto anni: “Cominciai grazie ai manuali di Paperinik e, soprattutto, alla scatola dei giochi di Silvan. Ero pazzo di lui e nel 1973 ebbi l’onore di fare la comparsa in ‘Sim Salabim’, spettacolo della Rai che veniva trasmesso da Torino”.
Qualche tempo dopo arrivò la folgorazione per Harry Houdini, complice la visione del film con Tony Curtis: “Fu lì che mi imbattei per la prima volta nell’escapologia. Iniziai a leggere tutti i libri a lui dedicati, senza immaginare che un giorno ne avrei fatto una professione”.
La prima esibizione in tal senso quando avvenne?
Avevo vent’anni e in un locale stavo facendo manipolazione con le carte e le colombe. Una volta terminato, mi chiesero di ripetere il numero. Declinai e optai per qualcosa di inedito. In giro per il mondo in quel periodo non c’era nessuno che facesse escapologia. La prima volta che assistettero a questo tipo di show impazzirono.
Ci prese gusto.
Il successo di quella serata mi fece comprendere che avrei potuto avere un futuro. Nel 1984 mi recai in Questura e sfidai il capo della Mobile Piero Sassi. Lo invitai ad ammanettarmi di fronte ai giornalisti e riuscii a liberarmi in meno di dieci secondi. Successivamente, alla festa di San Giovanni mi feci incatenare dentro una cassa che venne lanciata nel fiume Po. Ed ancora, nel 1990, ai festeggiamenti allo stadio Comunale per il ritorno in Serie A del Torino, venni appeso per le caviglie ad un elicottero a 50 metri dal campo con addosso una camicia di forza. Per non parlare di quando al Delle Alpi tentai l’evasione dalla pagoda della morte.

A metà anni ottanta approdò a “Bim Bum Bam”.
Feci 4-5 puntate complessive, ovviamente nei panni di un mago. Niente di che, ma fu la prima volta che misi davvero il naso dentro la televisione.
Durante uno spettacolo a Venezia, incrociò nientemeno che Silvio Berlusconi.
Assistette ad una mia performance e volle incontrarmi. ‘E’ fortissimo, a lei ci penso io’, e giù altri complimenti. Passarono due settimane e mi contattò realmente la direzione artistica della Fininvest. Conobbi Vittorio Giovannelli e l’incontro fu fruttuoso. Tuttavia, proprio in quel periodo Pippo Baudo passò a Canale 5, sostituendo Giovannelli alla direzione artistica. Nessuno mi cercò più e non se ne fece niente.
A dir poco sfortunato.
Invece no, fu un colpo di fortuna. Non ero pronto, ero troppo giovane e impulsivo. Ragionavo come un ragazzino e questo mestiere è difficile, non ci si può improvvisare. Rischi di arrivare al successo e di bruciarti perché nessuno ti ha dato i giusti insegnamenti. In ogni caso, il progetto sulle evasioni lo realizzai nel 2007 con ‘Danger’. Lo feci con più attenzione, consapevolezza e maturità.
Nel 1995 arrivò a “La sai l’ultima?”.
In seguito mi capitò di rivedermi e mi feci cagare. Mancava totalmente la preparazione e facevo né più, né meno quello che facevano tutti i maghi del mondo. Non c’era niente di originale. Nonostante tutti fossero contenti, a me quella roba non piaceva. Mollai e decisi di trasformarmi, azzerandomi i capelli. Volevo rompere con l’immagine passata, non avrei più indossato lo smoking. La gente in una prima fase mi guardò male, anche perché eravamo nel pieno periodo degli Skinhead. Poi pure Vialli si rasò i capelli e sdoganò quella moda.
Come avvenne il salto a “Scherzi a parte”?
Scoprii che un autore collaborava anche con ‘Scherzi a parte’ e mi feci avanti. Si trattava di Davide Parenti. Ci vedemmo a cena e gli elencai una serie di idee, molte legate a giochi di prestigio. Mostrò interesse, ma mi avvertì che pagavano poco. Non mi importava.
Beffò un sacco di calciatori.
Ricordo Altobelli, Roberto Carlos e Ravanelli, a cui rubai l’auto. Ma mi divertii anche con gli scherzi a Marcella Bella e Ignazio La Russa.
Parenti fu il collegamento tra lei e “Le Iene”.
Mi confessò che se ne sarebbe andato da ‘Scherzi a parte’ e che stava costruendo una nuova trasmissione. Me la descrisse e mi lasciai convincere. Partimmo che eravamo un gruppo di matti (ride, ndr).
I primi mesi furono traumatici.
Andavamo in onda tutti i giorni al pomeriggio, dopo i cartoni. Un grande errore. Ma il direttore di Italia 1 Giorgio Gori credette nel progetto. Con lo spostamento in seconda serata ci fu il boom. In quindici anni ho fatto servizi d’inchiesta, stupidi, leggeri, divertenti. Tutto avveniva a seconda del mio umore. Ho messo in gioco il mio istinto e un giorno capitò di occuparmi delle persone che vivevano in strada. ‘Invisibili’ nacque, di fatto, come una costola de ‘Le Iene’.
Un suo scherzo fece infuriare Catherine Spaak.
Mettevo in scena la gag della tazzina di caffè versata addosso. In realtà la tazzina era vuota, ma lei si spaventò e si versò il bicchiere sui vestiti. Mi scusai in tutti i modi e purtroppo non servì a nulla, non mi lasciò praticamente parlare. Ero veramente mortificato, tutto avrei voluto tranne che crearle una condizione di disagio. Fui sfigato perché si impaurì proprio mentre stava portando il bicchiere alla bocca e si bagnò tutta.

Non tutti sanno che Pif deve il suo nome d’arte a lei.
Pierfrancesco mi venne affidato da Parenti prima di un viaggio a Casablanca. Avevo scritto un pezzo e Davide mi fornì un nuovo operatore. Aveva un nome troppo lungo e, dopo nemmeno due ore, lo avvisai che gliel’avrei accorciato, rendendolo un codice fiscale. Risultato? Quando rientrammo a Milano Pierfrancesco Diliberto non esisteva più. Era diventato per tutti Pif.
Nel 2011 mollò il programma. Come mai?
Lo spirito degli albori non c’era più. Partimmo con un gruppo che non concepiva il concetto di gelosia. Ognuno di noi non lavorava per sé, ma per la squadra. C’era spirito di appartenenza e ci si telefonava per complimentarsi a vicenda. Non era importante chi firmasse un servizio, contava il contenuto. Dopo quindici anni tutto questo si era dissolto. Probabilmente è stata un’evoluzione naturale favorita dai nuovi arrivati che sgomitavano per andare in onda. Non mi ci trovavo più. Detto questo, ‘Le Iene’ resterà per sempre la mia famiglia e quando ripenso a quell’esperienza ho solo reazioni positive.
Alessandro Sortino è rientrato dopo tanti anni. Potrebbe accadere anche a lei?
Affermare che qualcosa si è chiuso per sempre è da stupidi. Mai dire mai. Qualche anno fa mi balenò questo pensiero, ma non si sono palesate né le idee giuste, né gli stimoli.
Poco fa citava “Invisibili”. Dichiarò che la vera sofferenza scattava quando rientrava a casa, a puntata terminata.
Se passi due giorni al freddo con una persona e crei con lui un rapporto, poi non è facile tornare nella tua abitazione con tutti i comfort possibili, dal letto alla doccia calda, dal frigo pieno ai vestiti a disposizione. Si innesca un inevitabile senso di colpa con cui devi convivere.
Come avveniva la selezione dei protagonisti?
Io li incontravo solo in puntata. C’era una ricerca a monte effettuata da alcune persone che andavano in giro a raccogliere informazioni e a farsi raccontare le singole storie. Si presentavano e spiegavano che avrebbero voluto portare le loro testimonianze in tv.
Venivano pagati?
Alla domanda ‘quanto mi date?’, rispondevamo ‘nemmeno una lira’. Se gli dicevi che avrebbero preso dei soldi, c’era il pericolo che venissero a raccontarsi solo per quel motivo. Non solo: se in giro si fosse venuto a sapere di compensi dati ad alcuni clochard, questi avrebbero rischiato di essere aggrediti e derubati di notte. E’ rischioso dare denaro a gente che dorme in strada. Senza contare che avrebbero potuto sperperare tutto in alcol, nel giro di tre giorni. In tal senso, ci facemmo consigliare da psicologi e sociologi, che ci suggerirono questa via. Poi, in un secondo momento, li abbiamo aiutati concretamente, facendo per loro l’impossibile.
Immagino che per lei fu come entrare in un universo parallelo.
Un sociologo mi rivelò un dato: meno del 3% di quelli che raccontano di aver scelto quella vita l’ha scelta veramente. Praticamente nessuno. E quando finisci per strada involontariamente, succede che ti ricostruisci automaticamente un’esistenza il più simile a quella di prima, con una routine e dei ritmi precisissimi.
Dopo “Invisibili” fu il turno di “Invincibili”. La prima apparizione in tv di Bebe Vio avvenne grazie a lei.
Bebe aveva 14 anni e la malattia l’aveva colpita appena sei mesi prima. Era una potenza, una forza della natura capace di farti sentire piccolissimo. Trovò dentro di sé una forza di reazione che nessuno di noi avrebbe avuto al suo posto. Come ogni essere umano ha sicuramente dei momenti down, ma in lei non emergono mai pubblicamente. In quell’incontro trasmise solo gioia e passione. Un simbolo che ci insegna a reagire, a rimboccarci le maniche e a non piangerci addosso. E’ la dimostrazione vivente che ce la si può fare.
Si definisce “laico”, eppure per sei stagioni è stato inviato per “Mistero”. Come ci è riuscito?
Per laico si intende che non punto il dito contro qualcuno se non la pensa come me. Mi piace cercare di capire cosa succede, mi lascio stupire e meravigliare. Quello che accade lo raccolgo e non lo giudico. Rimango nel mezzo. Mi capitò di recarmi in un hotel dove si radunavano persone che affermavano di essere state rapite dagli alieni. Non ci credevo, ma ero affascinato. Se raccontano certe cose, ci sarà un perché. A me interessa scoprirlo. Così come quando entrai in una chiesa sconsacrata che mostrava il cosiddetto ‘spartito del diavolo’, uno spartito palindromo che se lo esegui al contrario causerebbe l’apparizione di Mefisto. Secondo te cosa ho fatto?
L’avrà suonato…
Certo! Ma nonostante questo non sono uno che dà del buffone o dello stupido a chi diffonde certe teorie.
A “Lucignolo” l’avventura fu fugace.
Più che altro fu un’occasione persa. ‘Lucignolo’ era un grandissimo brand che hanno letteralmente bruciato. Capii fin dalla partenza che non sarebbe andata bene. Volevano andare in onda senza che ci fosse una minima preparazione. Un peccato.
Un peccato anche la sua partecipazione a “Pechino Express”.
Ti dico soltanto che io e mia figlia non abbiamo mai litigato in vita nostra. Venne montato un nostro diverbio, che tra l’altro nasceva da alcune valutazioni sul programma. Avrei voluto chiedere l’intero girato di quella scena. Lasciamo stare, non mi va di commentare ulteriormente.
Escapologo e paracadutista. Alla morte ci pensa mai?
Il rapporto tra gli sport ad alto rischio e la morte è precisissimo. Sono paracadutista e anche istruttore di subacquea. Non ho mai avuto un incidente, se non una volta per responsabilità altrui. La mia preparazione è finalizzata ad azzerare questo rischio. Pure in Formula 1 è elevato il pericolo di morte, ma negli anni si è fatto di tutto per ridurre gli incidenti al minimo.
So già cosa mi sta per dire: “E’ più facile morire per colpa di un vaso caduto in testa che per colpa di uno sport estremo”.
Ed è proprio così. E’ più alta la probabilità di decesso nel primo caso. Lo stesso Felix Baumgartner secondo me è morto perché ha avuto un malore, non per problemi al parapendio.
Qualcuno però potrebbe ribattere che “se uno non se le va a cercare, è meglio”.
Sostengo da sempre che il paracadutismo è uno sport da pensionati! Te lo garantisco, rischiare la vita col paracadute è difficile. La minaccia si presenta quando pensi di essere più furbo. Allora esageri e ti spingi all’estremo. Quando ti lanci da 4 mila metri, l’unica vera sensazione è quella del volo. Poi a 1500 metri apri il paracadute e da lì comincia il secondo volo. Hai una serie di comandi che possono velocizzare o rallentare la discesa. Se freni troppo tardi si verifica lo scontro. Ecco, a tuo avviso è più facile che la frenata in ritardo avvenga con un principiante o con un esperto?
Con un esperto.
Esatto, perché è sicuro di sé e tende ad esagerare. Al contrario, l’inesperto inizia a decelerare molto prima. Io ho all’attivo più di mille salti, grazie al cielo non ho mai avuto incidenti.
Nel 2021 ha ideato lo “Space Festival”, la prima manifestazione dedicata alla divulgazione spaziale in Italia.
Mescolo gioco, scienza e fantascienza. L’obiettivo è quello di raccontare lo spazio con un linguaggio comprensibile a tutti. Quest’anno è andata in scena dal 21 al 25 maggio. Quattro giornate gratuite e otto location sparse per Torino. Tra gli ospiti abbiamo avuto Paolo Nespoli, Maurizio Cheli e Luca Parmitano.
Contemporaneamente porta avanti la sua Onlus.
La ‘Marco Berry Magic for Children’ si occupa di bambini in difficoltà. La missione è portare sorriso ai più piccoli. Seguo l’insegnamento di mio nonno, che mi ripeteva: ‘Marco, se sei fortunato, un pezzo di questa fortuna devi restituirla’. L’associazione porta il mio nome, anche se non avrei voluto. Tutti pensano sia mia, ma siamo in tanti a lavorarci. Per statuto non posso avere né rimborso spese, né emolumenti.
Quali progetti portate avanti?
’Iron Mind’ è il progetto madre, che punta ad avvicinare allo sport ragazzini con disabilità fisiche ed intellettive. Le famiglie spesso non sanno che lo sport può fare la differenza. Ci rechiamo in varie città, affittiamo la location e raccogliamo 20-25 ragazzini che in una giornata provano sei sport differenti. Arrivano alla sera con la convinzione che non c’è sport che non si possa praticare. Bisogna solo lasciarsi incuriosire. A settembre saremo a Bergamo e Brescia.
La tv è un capitolo chiuso?
Per tre stagioni ho curato su DMax il programma ‘Questo strano mondo’. Non chiudo mai le porte a nessuno, però siamo di fronte ad un netto cambiamento della televisione generalista. Qualche tempo fa ho sottoposto ad Italia 1 due idee differenti per ipotetiche trasmissioni. La prima era di interviste e probabilmente la svilupperò sui social. La seconda invece si intitola ‘Mind Shock’ e vuole analizzare tutti i meccanismi che adottano le multinazionali per condizionare le scelte dei clienti o per far previsioni su ognuno di noi”.
Al netto di “Pechino Express”, l’hanno mai cercata per qualche reality?
Li ho sempre rifiutati, non mi interessano. Accettai ‘Pechino Express’ perché quel tipo di esperienza mi si cuciva perfettamente addosso. Pensavo di poter fare di più e purtroppo andò diversamente. Per il resto, avrei fatto volentieri ‘Ballando’.