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Gabriele Muccino: “Impensabile oggi che un bianco diriga un attore nero. I registi improvvisati allontanano il pubblico”

Gabriele Muccino si racconta in un’intervista in cui parla della sua volontà di fare cinema e di come negli anni gli sia stata affibbiata un’etichetta. Parla delle differenze con l’America, del conformismo e di come fare film lo abbia aiutato a mettere ordine nel caos.
A cura di Ilaria Costabile
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Gabriele Muccino è uno di quei registi di cui si è parlato e si continua a parlare ancora. Il suo modo di fare cinema è stato divisivo, ma fin da quando era 18enne aveva ben chiaro che fosse proprio la macchina da presa il suo mondo, la strada per farsi conoscere. I suoi film sono stati amati e odiati, sono stati osannati e criticati, ma sono il risultato di studio, ambizione e voglia di riscatto, come racconta sulle pagine del Messaggero.

La scoperta di voler fare cinema

Inizialmente avrebbe voluto fare il veterinario, la passione per la natura e gli animali è nata da bambino, ma poi a circa 18 anni l'epifania che gli cambiò la vita, la consapevolezza di voler fare il regista, per capire chi fosse e farlo capire agli altri, anche perché introdursi nel mondo non era stato poi così semplice. "Mi sono reso conto che avevo dei limiti e che essere balbuziente rappresentava una barriera enorme: mi faceva sentire inadatto, non considerato e soprattutto non ascoltato" racconta il regista. Una volta compreso che il cinema sarebbe stata la sua strada non si è mai fermato, sebbene gli Anni 80 fossero anni tremendi:

Si decise a tavolino che il cinema non dovesse essere più l’arte popolare che ci aveva fatto conoscere ovunque, ma un gioco da camera, polveroso e asfittico in cui gli intellettuali parlavano tra loro e lasciavano il pubblico fuori dall’uscio. Tanto che, oggi come allora, quando sento demonizzare la cultura popolare non capisco: quello che non è popolare non esiste.

Di film, popolari, ne ha fatti tanti e dopo 14 titoli e una serie televisiva, ciò che più fa dannare Muccino è l'improvvisazione, la poca affezione nei confronti del mezzo e anche del contenuto cinematografico. Il regista quasi sbotta: "Quelli che si improvvisano registi, a iniziare dagli attori che in 29 casi su 30, quando tentano il salto, si rivelano delle pippe, mi fanno tenerezza e rabbia: tenerezza perché fanno dei film brutti, rabbia perché hanno contribuito enormemente ad allontanare il cinema italiano dal pubblico". Film che non sono andati come avrebbe voluto ce ne sono stati, eppure, nella sua carriera è stato letto in maniera differente di come lui stesso abbia imparato a fare:

Ancora oggi non mi prendo sul serio e faccio cinema per perché mi riempie la vita che senza il mio lavoro sarebbe depressa e squallida. Quando mi sono trovato in un momento di cupezza in cui mi pareva di non riuscire a sciogliere le matasse nelle quali mi ero aggrovigliato, il cinema mi ha consentito di trasformare tutto quel nero in un film, a trovare l’ordine nel caos, a salvarmi.

L’ultimo bacio, il cast con Gabriele Muccino
L’ultimo bacio, il cast con Gabriele Muccino

"Mi affibbiarono un'etichetta" e poi il periodo americano

Dopo L'ultimo bacio, che ebbe un incredibile successo, non sapevano come incasellarlo e quando Ricordati di me ebbe 10 candidature ai David di Donatello, quasi agli addetti ai lavori sembrò strano, tanto che gli affibbiarono un'etichetta: "Non sapendo esattamente quale darmi mi chiamavano il regista dei Parioli. Io ai Parioli non ho mai vissuto". Il successo del film fu divisivo: chi amava e chi odiava Muccino "la polarizzazione fu la principale ragione degli incassi, dall’altro contribuì a diffondere una vulgata cattiva che mi investì". Poi il periodo americano:

Film drammatici come Sette anime oggi sarebbero impensabili come è impensabile che un regista bianco caucasico diriga un attore di colore. Siamo a dei livelli di conformismo incredibili e mi fa veramente molta tristezza, la stessa tristezza che ho respirato in quegli anni americani. Verso la fine proprio non ne potevo più. Avevo sviluppato una sorta di insofferenza verso questo loro modo sterile, arido, bugiardo e cinico di vivere che all'inizio mi ero illuso di poter gestire.

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