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Cinzia Leone: “Quando hai mezzo corpo morto devi ricostruire tutto. Parenti Serpenti ha previsto l’Italia di oggi”

L’attrice di “Parenti Serpenti” e “La TV delle ragazze”, ora in scena con il suo spettacolo teatrale, racconta a Fanpage.it la ricostruzione dell’identità dopo l’aneurisma del 1991: “La parte femminile è la prima che se ne va”. E spiega perché il film di Monicelli ha previsto l’Italia di oggi.
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Nel 1991, a 32 anni, nel pieno del successo, Cinzia Leone perde tutto in un colpo. Non solo mezzo corpo – paralizzato da un aneurisma – ma l'identità stessa. "Quella femminile è la prima parte che viene a mancare", dice senza giri di parole, "quando hai mezzo corpo morto, devi ricostruire tutto". E quando ricostruisci un'identità da zero, capisci le magagne del mondo. Capisci che la cultura che ci forma arriva dalla madre, che il narcisismo sociale è ovunque, che "Parenti Serpenti" di Monicelli aveva previsto l'Italia di oggi trent'anni prima.

In questa intervista con Fanpage.it, l'attrice che ha fatto la storia della TV satirica italiana – da "La TV delle ragazze" ad "Avanzi", dalle imitazioni della Dellera e della Fenech fino al personaggio cult di Gina in "Parenti Serpenti" – parla senza filtri. Del rapporto con la madre (al centro del suo spettacolo "Mamma sei sempre nei miei pensieri, spostati!"), della ricostruzione fisica e mentale dopo la malattia, del suo amore viscerale per Monicelli, del ricordo di Antonello Fassari. E della verità come unico antidoto alla retorica.

Una foto di scena di "Mamma sei sempre nei miei pensieri, spostati!"
Una foto di scena di "Mamma sei sempre nei miei pensieri, spostati!"

"Mamma sei sempre nei miei pensieri, spostati!" è il titolo del tuo spettacolo teatrale che sarà presto – tra gli altri – al Teatro Moderno di Latina e al Teatro Ghione di Roma. Partiamo da qui. 

La mamma è il più grande trasmettitore culturale che esista al mondo. Perché mamma ci alleva. Più di mamma la cultura non l'ha trasmessa nessun altro, e non perché mamma è dispettosa e cattiva, ma perché l'impostazione sociale è sempre stata dalle origini quella di considerare l'istinto materno. Quindi è per questo che si fa tanto fatica a guardarla a volte in chiave critica. "Mamma…" è uno spettacolo estremamente semplice che mira a comunicare almeno questa informazione: pensiamo i pensieri di mamma per tutta la vita e non sappiamo quali sono veramente i nostri pensieri.

È un'esperienza di coazione a ripetere. 

Esatto, io becco ancora dentro di me migliaia di cose che sono sue, e molte scelgo di tenerle perché le condivido. Le paure, che sono l'aspetto più pericoloso di tutto, vanno ben valutate perché molte delle paure che proviamo, spesso ci sono state trasmesse da lei. E siccome lei non le ha mai superate, rischiamo di finire per non superarle neanche noi.

Non è facile fare un esercizio critico su se stessi nel rapporto con la propria madre. Anzi è terribilmente difficile. E questo, immagino, condiziona anche i rapporti con gli altri?

Ma certo. Noi andiamo in giro impostando le relazioni affettive senza saperlo come se fossero tutti mamma e papà. È interessante che la nostra impostazione affettiva, quella che abbiamo ricevuto, sarà esattamente il metro con cui noi valuteremo l'affettività nel mondo – la nostra e quella degli altri. Fa parte della trasmissione dell'evoluzione. Il passaggio di consegna del vissuto. Come fa esattamente l'uccellino che non molla gli uccellini fino a che non hanno imparato a volare. Questo è il processo di crescita che prevede l'acquisizione del bagaglio di chi ti cresce, con tutti i regoli per entrare nel mondo. Ma mano a mano che scopri te stesso negli inevitabili scontri, nelle inevitabili identificazioni, nelle condivisioni, tu in realtà capisci chi sei.

L'aneurisma nel 1991, nel pieno del tuo successo, che ruolo ha avuto in tutto questo processo?

È folle quello che sto per dire, ma ci sono momenti in cui io arrivo al punto di rendermi conto che quello che mi è successo a volte io lo ritengo una fortuna per la forma di conoscenza di cui mi ha dotato. Non solo di me stessa e del mio dolore, ma del dolore degli altri. È la più grande forma di conoscenza di noi stessi e del mondo: toccare un fondo in cui perdi completamente l'identità e doverla completamente ricreare. È un'esperienza incredibile. E cominci a capire anche le magagne del mondo, e cominci a capire anche che forse l'unico modo in cui puoi sciogliere dei nodi è passare l'informazione che hai, che è il senso più profondo del mio lavoro.

Come viene accolto lo spettacolo?

Beh, lo spettacolo viene accolto con entusiasmo. Ovviamente è uno spettacolo profondamente comico. È assolutamente giocato, c'è un inserimento continuo di mia madre in video, che interpreto sempre io. "Pronto Cinzia, sò mamma". Mi interrompe di continuo per inserire durante il mio spettacolo le sue problematiche personali, dalla gastrite a qualsiasi altra cosa. È tutto giocato sull'assurdità di questo personaggio che svolge il ruolo materno nel posto sbagliato, entrando violentemente nella mia vita.

Ogni epoca ha avuto i suoi problemi con la cultura. Oggi è difficile portare la gente al cinema, anche il teatro sembra avere i suoi problemi fatta eccezione per i personaggi "esterni". 

Ma io ringrazio, per esempio, gli psicologi che finalmente hanno capito che dovevano andare nei teatri a parlare con la gente. Perché finalmente è ufficiale che oltre a un fuori c'è un dentro, che è molto più potente del fuori. E questa cosa che sembra ideologica non lo è.

Sei la prima attrice che non guarda con sospetto chi non è attore e va a teatro riempendo le sale.

Ma Galimberti che va in giro a parlare… ma grazie a Dio! Io erano anni che mi chiedevo perché non lo facessero. Perché andare in giro a spiegare il rapporto coi figli, il rapporto con noi stessi è fondamentale per poi essere capaci di vivere anche nel sociale, che è un luogo in cui si scontrano mille narcisismi.

Parliamo di Selvaggi (1995). Quello è un film che ha detto molto degli italiani di quel tempo. 

Sono d'accordissimo con te. Io lo trovo delizioso quel film. La storia di questo gruppo di poveracci che precipitano su un'isola e, in una situazione drammaticissima, per sopravvivere riescono a litigare politicamente come se fossero a Piazza Irnerio, alle cinque del pomeriggio. È meravigliosa la loro ingenuità. Il film racconta il bisogno umano di appartenere all'identificazione con un gruppo, a sentirsi parte di qualcosa. E proprio il personaggio della coppia – Nardone e la moglie con le feste dell'Unità – erano bellissimi rispetto a tutto il resto. Io sono contenta che tu abbia citato quel film, perché io l'ho amato moltissimo. Ed è stato uno dei film insieme a "Le finte bionde" che è la testimonianza di quegli anni. Perché nessuno ha raccontato quegli anni. Quello è un cinema, quello dei Vanzina quando fanno questo tipo di operazioni, che è ancora molto legato alla commedia popolare italiana che è stata il più grande specchio dell'informazione, la fotografia storica di quello che siamo stati. È un cinema bellissimo dove non si indugia sui primi piani, su un albero, su una fontana, ma sullo spirito di un paese attraverso i suoi personaggi che interagiscono. Anche quella è cultura.

Il cast di Selvaggi (1995): Cinzia Leone è la prima a sinistra.
Il cast di Selvaggi (1995): Cinzia Leone è la prima a sinistra.

"Selvaggi" e "Le finte bionde", c'è Antonello Fassari. Che ricordo hai di lui?

Antonello è un pezzo fondamentale della mia vita. Pochi mesi prima di stare male, gli ho chiesto di farmi un pezzo sul significato commerciale di ‘mamma', all'interno dello spettacolo. È uno spot dei pannolini. E così io, Antonello, ce l'ho con me, in ogni spettacolo tutte le sere. La gente, come lo vede apparire, comincia a ridere. Ed è bellissimo. Sentire questo brusio appena lo vedono, appena lo riconoscono, è bellissimo. Lui mi ha fatto questo regalo immenso di non lasciarmi sola.

Con "La TV delle ragazze" parte tutto. Tu resti nell'immaginario per una serie di parodie di donne al centro del dibattito culturale e sociale. Che anni sono stati?

Sono stati anni meravigliosi, di libertà. Abbiamo voluto raccontare le donne viste da dentro, non da fuori. Le nostre parodie non avevano il problema di quanto eravamo simili fisicamente. Era il contenuto di quello che dicevamo che era innovativo. Era il pensiero interiore del personaggio che ci interessava.

Cinzia Leone con Sabrina Dandini ne "La TV delle ragazze" (1990).
Cinzia Leone con Sabrina Dandini ne "La TV delle ragazze" (1990).

Per esempio?

La Fenech. Questa donna che era felice di non essere più inquadrata nei film degli anni '70 sexy, ma finalmente poteva correre libera per rispondere al telefono a "Domenica In". Ed era diventata la signora della domenica che rispondeva "pronto" ovunque. Anche nel bagno dove non c'era il telefono: "Pronto?". E lei rispondeva: "Pronto? Come ti chiami? Ciao tesoro! Ma che carino!!!!" (con la voce di Edwige Fenech, ndr). E così andava avanti con la telefonata.

La Dellera?

L'imitazione della Dellera rivelava la paura dell'inadeguatezza rispetto al personaggio che le avevano costruito intorno. Se lei avesse capito quanto in realtà ci sentivamo inadeguate anche noi, ognuna nel proprio ambito. L'abbraccerei se la incontrassi oggi. Lei non vuole più che si faccia nessun riferimento a lei perché è uscita completamente da questo mondo. Però, la bellezza di quel personaggio era la costruzione di una diva che in fondo era una forma di piccola violenza, in cui lei inciampava continuamente: "Ecco, appunto, infatti, di base…io penso d'esse una barista…no, una tennista…neanche, una fisioterapista! Oddio, chi sono io? Ma che ne so". Forse signora Dellera voleva dire "professionista"? "Brava, non mi veniva la parola" (con la voce di Francesca Dellera, ndr). Perché lei cominciava con questa ricerca della definizione e poi diceva la parola sbagliata. E quindi c'era uno sgretolamento della figura celebrata per eccellenza del divismo. Era un inciampo nella costruzione divistica che non sempre corrisponde alla realtà. Sbagliare è normale. Questa è una società ossessionata dalla paura di sbagliare.

Dico solo: "Parenti Serpenti".  

È un film che le persone tengono come sottofondo per tutto il Natale. La cosa interessante è che nonostante queste persone siano dei mostri che uccidono i genitori, le cose che vivono le vivono veramente. È questa la schizofrenia di questo film. Nella prima parte, ami quella famiglia. Perché è vera l'energia del Natale, è vera la ricerca della loro nostalgia. Altrimenti la gente non sarebbe attaccata a questo film a questo modo. Perfino quando è sottolineata, da Mario Monicelli, l'ipocrisia c'è un fondo di verità.

Com'era il tuo rapporto con Mario Monicelli?

Io amo quel film e amo Mario Monicelli. Facendomi fare quel personaggio mi ha dimostrato grandissima fiducia. E mi sono sentita compresa perché non avrei mai supposto di poter fare qualcosa di così diverso da me. Capisco che gli attori più li fai andare lontano da se stessi e più danno il meglio. Facciamo gli attori per cercare di essere altro da noi. Sai, quando hai fatto "Parenti Serpenti", hai fatto tutto. Che altro vuoi fare nella vita? Sai che io parlo con Mario Monicelli tutti i giorni. Parlo per aria, ovviamente…

Cinzia Leone in "Parenti Serpenti" (1992)
Cinzia Leone in "Parenti Serpenti" (1992)

Credi in Dio? O in qualcosa?

Guarda, al di là che io possa parlare con Mario – ma se fosse vero salterei di gioia – vuoi che ti dico quello che penso? Il motivo per cui stanno cercando l'algoritmo di Dio è perché vogliono capire come ha fatto. Il rodimento di culo è: se c'è riuscito Dio, lo posso fare pure io. Siamo tutti dei nuovi Prometeo, stiamo cercando di rubare il fuoco agli dei, soprattutto quelli che lo cercano attraverso la risposta tecnologica. Sai perché ci siamo consolati con la tecnologia? Perché la risposta filosofica su che cos'è la vita e che senso abbia, nessuno l'ha ancora trovata.

Un'ultimissima: sulla tua vita privata non si sa proprio nulla.

C'è stato un livello di sofferenza privata che è giusto che rimanga solo mio. Perché è stata la grande offesa alla mia femminilità, questa storia. Non mi va di parlare di una cosa così personale e dolorosa pubblicamente. Perché dovrei?

Ma hai avuto dei tentativi di relazione?

Ma certo. Non ero assolutamente in grado di starci dentro. Quando non hai un'identità sei come un bambino: hai delle pulsioni, ma non sei in grado di avere un desiderio. Di niente. Quella è la parte più intima, più difficile. Ma come si fa a condividere una cosa così personale, così ferente, in mezzo a un mondo fatto di tette e culi per aria, messi artificialmente sotto le facce dei personaggi famosi. Certo che non si sa nulla sulla mia vita privata. Perché dovrei tediare gli altri facendogli sapere che culo mi sono dovuta fare per ricostruire quello che non c'era più? Che senso avrebbe tediarli con questo? Io posso tornare agli altri tenendo fra le mani il mio lavoro, nient'altro.

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