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“Se volevi mangiare dovevi farti sodomizzare con una scopa”: inchiesta choc del Guardian

Stupri commessi sugli uomini per annientarne la volontà. Nelle carceri libiche durante la rivoluzione del 2011, sia le tribù fedeli a Gheddafi sia i miliziani ribelli si sono macchiati di violenze sessuali, veri e propri crimini contro l’umanità. Grazie alle testimonianze e ai video delle violenze filmate dagli stessi carcerieri, le prove raccolte potranno essere finalmente usate davanti alla Corte penale internazionale per individuare i responsabili degli abusi.
A cura di Mirko Bellis
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Un soldato leale a Gheddafi detenuto a Bengasi nel 2011 (Gettyimages)
Un soldato leale a Gheddafi detenuto a Bengasi nel 2011 (Gettyimages)

Prendevano una scopa e la fissavano sul muro. Se volevi mangiare, dovevi toglierti pantaloni, avvicinarti al manico e non muoverti finché i carcerieri non vedevano scorrere il sangue. Nessuno poteva scappare”. E’ la terribile esperienza vissuta da Ahmed, un prigioniero nelle carceri libiche durante la guerra civile. La sua testimonianza, assieme a quella di altri detenuti, è stata raccolta in un’inchiesta realizzata da Cécile Allegra e pubblicata sul quotidiano inglese The Guardian. Storie di tremende violenze sessuali sugli uomini accadute durante la rivoluzione che nel 2011 ha spodestato Gheddafi. Stupri come arma di guerra, atrocità commesse per annientare la volontà del nemico o, come confessa Ahmed, per “soggiogarli”. I racconti di chi ha subito gli abusi sono raccapriccianti e rivelano, ancora una volta, come le guerre non vengano combattute solo con le armi tradizionali, ma anche con metodi molto più crudeli.

Ahmed è stato detenuto per quattro anni nella prigione a Tomina, alla periferia di Misurata. Oltre a lui c’erano altri 450 uomini, costretti a loro volta a diventare carnefici. Molti testimoni, infatti, hanno raccontano che le vittime venivano gettate in una stanza con altri prigionieri, a cui veniva ordinato di stuprare i “nuovi arrivati”. Se non lo facevano, rischiavano di venire uccisi. “C’era un uomo nero, un migrante – prosegue il racconto dell’uomo – una sera, lo hanno gettato in una delle nostre celle: ʽViolentatelo, o siete morti’”. La scoperta delle violenze sessuali maschili avvenute durante la rivoluzione libica sono il frutto di anni di lavoro di Cécile Allegra e di un gruppo di investigazione con sede a Tunisi. La giornalista francese ha potuto avere accesso anche ai filmati girati dagli stessi carcerieri in cui le vittime venivano violentati con vari oggetti, tra cui razzi e manici di scopa.

Per secoli, la violenza sessuale in situazioni di conflitto è stata tacitamente accettata in quanto inevitabile. Un rapporto del 1998 delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale e sul conflitto armato rileva che, storicamente, i militari consideravano lo stupro un legittimo bottino di guerra. A subire gli abusi sono state sempre le donne, come in Bosnia o Ruanda, mentre adesso si scopre che anche gli uomini sono stati violentati seguendo un preciso obiettivo militare.

Durante la guerra civile libiche erano state numerose le denunce di stupri dei miliziani leali al regime di Gheddafi, anche se fino a oggi non c'erano ancora prove definitive. “I gheddafiani usavano la violenza sessuale durante la rivoluzione – ha detto “Ramadan”, un libico in esilio a Tunisi – una volta sconfitti, hanno subito la stessa violenza”. Proprio Ramadan, assieme al suo principale collaboratore, Imed, ha passato gli ultimi tre anni a cercare di documentare gli stupri avvenuti in Libia nel 2011. In un video mostrato alla giornalista autrice dell'inchiesta, un giovane è seduto nella sabbia con la testa bassa, terrorizzato. Un uomo in uniforme militare lo solleva, gli abbassa i pantaloni, poi le mutande, e gli mette un lanciagranate vicino ai glutei. Dal filmato – si legge nell'articolo– non è possibile identificare il gruppo militare a cui appartengono gli autori degli abusi. Imed ha viaggiato in Libia con Cécile Allegra per un anno, allo scopo di raccogliere testimonianze. Nel sud di Tripoli ha incontrato Mouna, un altro investigatore che ha documentato altre decine di casi. In un caso, un ex soldato fedele a Gheddafi ha detto di essere stato violentato ripetutamente. “Con un manico di scopa fissato a un muro?”, chiede Imed. La conferma di Mouna non si fa attendere: “Tutti sono stati violentati così”.

Un altro gruppo di lavoro in un piccolo edificio vicino a Tripoli ha raccolto ulteriori evidenze dei crimini commessi: a Imed sono stati consegnati 650 file organizzati in ordine alfabetico. I principali responsabili degli stupri sarebbero legati alla tribù dei Tawergha, un clan sostenitore del deposto dittatore. La vendetta dei vincitori della guerra civile libica, però, non si è fatta attendere. La città dei Tawergha, a circa 40 chilometri da Misurata, è stata rasa al suolo e i suoi abitanti trasferiti in diversi campi per sfollati a Bengasi e Tripoli. Ed è proprio a sud della capitale libica che un uomo chiamato Ali ha raccontato la sua esperienza. “Alcuni di noi sono stati bloccati in una stanza, nudi, per una notte intera, con alcuni gruppi di migranti”, ha rivelato  l'uomo. “Le guardie non rilasciavano nessuno finché non si violentavano a vicenda. Per fortuna non ho dovuto passare per questo – la traumatica esperienza di Ali – ho solo subito il manico e la ʽruota’”. Uno strumento di tortura, quest’ultimo, nel quale i detenuti venivano piegati nudi su uno pneumatico sospeso al soffitto per rendere più facile ai torturatori penetrare la vittima con un’arma. Le conseguenza degli abusi sono ancora visibili e Ali da allora è costretto a camminare con un bastone perché, nonostante abbia solo 39 anni, ne dimostra almeno 65.

In Libia, durante la guerra civile, gli stupri non hanno risparmiato neppure le donne. In un altro campo nel sud di Tripoli, Fathia ha raccontato di come tutta la sua famiglia sia stata violentata da una milizia di Misurata. “Mi hanno trascinato in strada, davanti a tutti, dicendo: ʽAvete stuprato le nostre ragazze. Faremo lo stesso con voi’.  La cosa peggiore che mi hanno fatto è stata quella di abusare di me davanti al mio figlio maggiore. Da allora, ha smesso di parlarmi”, ha confessato la donna.  Il fatto che anche ai detenuti maschi fossero riservate le stesse violenze è stato confermato anche da Fathia: “Sentivo le voci degli uomini. Gridavano giorno e notte”.

Per arrivare ad individuare i responsabili delle atrocità commesse durante la rivoluzione libica, la procuratore capo della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ha chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite maggiori fondi per rafforzare e ampliare le indagini. Il 15 agosto, la Corte penale dell'Aia ha emesso un mandato di arresto internazionale per Mahmoud Al-Werfalli, generale accusato di crimini di guerra, alleato di Khalifa Haftar, l’uomo forte che da anni controlla la Libia orientale. Le dispute tra i giudici libici e quelli internazionali, di fatto, hanno portato alla paralisi dei processi contro gli autori dei crimini ma adesso, per la prima volta, la Corte penale internazionale ha ammesso come prova valida i video pubblicati su Internet che mostrano esecuzioni sommarie e altre atrocità, tra cui le violenze e gli abusi sessuali. Un elemento, questo, che infonde coraggio agli investigatori che sperano che altre vittime denuncino gli stupri avvenuti nel 2011.

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