Nella fortezza senza acqua né luce da cui Claudio Campiti ha organizzato la guerra al consorzio
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Circa un’ora di macchina: questo il tempo che ci ha messo domenica Claudio Campiti per andare a Fidene dal consorzio Valleverde, dove abitava. Un comprensorio di villette cui si arriva tramite una serie di tornanti e curve a gomito a ridosso del meraviglioso lago del Turano. ‘Strada privata’, vietato l’’ingresso agli estranei, recita un cartello all’ingresso. Una stradina porta alle varie abitazioni, la maggior parte delle quali è abitata solo il fine settimana. Da lunedì a venerdì il consorzio è praticamente deserto: l’unico bar del posto, oggi era chiuso.
Per arrivare alla casa di Claudio Campiti si deve percorrere una strada non asfaltata. E se non fosse per la Lancia Thesis parcheggiata lì davanti, a nessuno verrebbe mai in mente che quello scheletro in costruzione possa essere abitato da qualcuno.
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Tra un pilastro e l’altro Campiti aveva appeso uno striscione rosso: ‘Consorzio Raus’, recita la scritta, con sotto in piccolo il link al suo blog, un sito pieno di frasi deliranti e minacce contro chi aveva costruito quel comprensorio di villette. Per legare lo striscione, Campiti ha usato due corde che ha avvolto intorno a due giubbotti: a un occhio distratto, in un primo momento potrebbe sembrare di vedere due persone legate in vita, quasi fossero appese sullo scheletro di quella casa.
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L’uomo ‘viveva’ al primo piano di quel casermone di cemento, l’unico a essere stato completato. Una sala completamente ricoperta di scatole di cartone dei biscotti piene di fogli: non c’è un solo angolo che non sia ricoperto di scartoffie, contenenti chissà quali documenti che Campiti leggeva e rileggeva ogni giorno. Il letto ricoperto di scatole, i piatti di ceramica impilati all’esterno della villa, fuori la finestra. Dietro la macchina, una busta aperta di croccantini per gatti, piena fino all’orlo; una ciotola piena di latte e quattro filoni di pane. Forse lasciati lì per sfamare gli animali in previsione del fatto che lui, in quell’abitazione, non ci sarebbe mai più tornato.
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Claudio Campiti andava spesso a mangiare in un ristorante ai piedi del consorzio, noto nella zona del Turano. I proprietari lo conoscono bene, e mai si sarebbero aspettati quando successo domenica mattina. “Un uomo gentile, educato e riservato, veniva a mangiare da noi insieme agli amici o da solo – ci raccontano i gestori – Non ci aveva mai dato l'impressione di avere problemi mentali, né aveva mai parlato male del consorzio. Quello che è accaduto ci ha sconvolti, mai ci saremmo aspettati una cosa del genere da lui".
Omicidio volontario pluriaggravato dalla premeditazione, triplice tentato omicidio, pericolo di fuga e futili motivi: queste le accuse per Claudio Campitiformulate dal pubblico ministero, a cui si potrebbe aggiungere anche appropriazione indebita di arma da fuoco. Il 57enne ha sottratto la pistola con la quale ha ucciso tre persone dal poligono di tiro a Tor di Quinto, adesso sotto sequestro. Nel 2018 gli avevano negato il porto d'armi perché mentalmente instabile. L'interrogatorio di garanzia di Campiti si terrà tra mercoledì e giovedì.