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Michelle Causo, Carol Maltesi e le altre. La Casa delle Donne: “No slogan ma centri antiviolenza”

Casi di violenza contro le donne – femminicidi, stalking, molestie o commenti sessisti – occupano le prime pagine dei giornali praticamente tutti i giorni. Il commento di Antonella Petricone, vicepresidente della Casa Internazionale delle Donne di Roma: “È un fenomeno sistematico, un cambiamento culturale è necessario e urgente”.
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Il femminicidio annunciato di Mariella Marino in provincia di Enna e la brutale uccisione della giovane Michelle Causo a Primavalle, la riduzione della pena per l’omicidio di Carol Maltesi e la polemica del bidello assolto "per una molestia troppo breve", passando per il caso di La Russa jr difeso da un padre autorevole che scredita la ragazza che denuncia.

Sono solo alcuni dei casi più eclatanti di violenza contro le donne avvenuti negli ultimi giorni. Il primo, istintivo pensiero che viene alla mente è di trovarsi di fronte a un’emergenza: che queste due settimane dalle temperature roventi abbiano provocato un inaudito aumento della violenza di genere, in ogni sua forma? La risposta è assolutamente no. "Non si tratta né di emergenza, né di singoli episodi. Quello della violenza contro le donne è un fenomeno complesso, endemico e sistematico", spiega Antonella Petricone, vicepresidente della Casa Internazionale delle Donne di Roma.

Tre piani d'azione: centri antiviolenza, istituzioni e scuola

"Sembrerà banale, ma un presidio fondamentale per la lotta contro la violenza di genere sono i centri antiviolenza", spiega Petricone. "Le operatrici sono formate e sono le uniche a conoscere realmente certi fenomeni nella loro complessità". Ovviamente devono essere supportati da un buon sistema legislativo e da finanziamenti economici adeguati, ma il rapporto che intessono, ad esempio, con il mondo della politica dovrebbe essere definito: sono le istituzioni a dover prendere appunti e a farsi insegnare le pratiche femministe messe in atto negli sportelli antiviolenza. "Il fondamentale compito delle istituzioni è quello di garantire il funzionamento dei centri potenziando i finanziamenti e di adeguare le leggi in materia".

Il terzo elemento che entra in gioco se si parla di prevenzione e lotta alla violenza è l’ampio lavoro necessario sul piano culturale: "Serve partire dalle scuole e in particolare dagli insegnanti: la formazione deve essere obbligatoria. Intanto, per poter insegnare ai giovani cosa è la violenza, come evitarla e combatterla, poi per far sì che anche gli educatori siano in grado di riconoscerla se ci si trovano davanti, per poter svolgere un ruolo di collegamento tra territorio e istituzioni".

Fondamentali anche le campagne di sensibilizzazione, molto migliorate negli anni ma non abbastanza. Se prima, infatti, si tendeva a colpevolizzare la donna maltrattata anche mentre le si tendeva la mano, con slogan come “Se ti picchia non è amore: lascialo”, è sempre più frequente con il passare degli anni imbattersi in discorsi che mettano l’accento sulla dimensione culturale e collettiva della violenza. Ma, come dimostrano i più recenti avvenimenti come la riduzione di pena per l’assassino di Carol Maltesi perché "lei era troppo disinibita" o le campagne in atto per screditare le donne che denunciano uno stupro perché "le ragazze di oggi prima fanno sesso e poi se ne pentono", non basta.

Le leggi non sono sufficienti: serve una rivoluzione culturale

"Per quanto riguarda la Regione Lazio, negli ultimi anni ha compiuto diversi passi in avanti: ha cominciato nel 2014 raddoppiando i fondi per il contrasto alla violenza maschile, ha promosso l’apertura su tutto il territorio di nuovi centri antiviolenza e case rifugio e di uno sportello all’interno dell’Università La Sapienza. Dall’ascesa del centrodestra, però, è ancora troppo presto per giudicare l’operato". Se questo discorso però vale per fare il punto sui finanziamenti dei centri, è chiaro che è già avvenuto un importante cambio di paradigma sul piano ideologico. Basti pensare al problema che la destra italiana ha con il fantomatico "gender" o al caso del figlio di La Russa e alle parole del padre, Presidente del Senato, che di fatto screditano dall’alto del sua posizione di potere una ragazza che sporge denuncia. Oppure ancora, uscendo dalla sfera prettamente politica, allo scetticismo dei giudici che hanno assolto un assistente scolastico perché la molestia era solo "di una durata tra i 5 e i 10 secondi".

Di certo non sarà una questione legata esclusivamente all’appartenenza partitica, ma di sicuro evidenzia che siamo ancora molto indietro sul piano culturale. "Le leggi nel campo della lotta alla violenza contro le donne in Italia sono valide, come la recente riforma del 2019 denominata ‘Codice rosso': il problema è il prima, si deve ancora fare molto lavoro sull’immaginario delle persone, donne e uomini".

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