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Renzi colpisce Bersani nell’orgoglio. E lo affonda

Renzi colpisce dove fa più male: nell’orgoglio dei democratici, nel loro senso di appartenenza, nel loro sentirsi “diversi” e sempre e comunque portatori di buona politica. E affonda Bersani: inconcepibile farsi umiliare dai grillini.
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L'intervista di Renzi al Corsera è destinata in ogni caso a segnare un "momentum" di questa fase di transizione politica. Paradossalmente più per il suo risvolto "umano, emozionale" che per la proposta politica di cui pure si fa carico il Sindaco di Firenze. Partiamo da quest'ultima. Renzi per una volta abbandona tatticismi e consegne del silenzio, per esprimere tutto il suo disappunto rispetto alle scelte effettuate o semplicemente avallate dal gruppo dirigente del Partito Democratico. Dai rapporti col Popolo della Libertà: "Il Pd deve decidere: o Berlusconi è il capo degli impresentabili, e allora chiediamo di andare a votare subito; oppure Berlusconi è un interlocutore perché ha preso dieci milioni di voti"; passando per la battaglia sul nuovo Capo dello stato: "Qui invece si punta a prendere tempo e a eleggere un capo dello Stato che ci dia più facilmente l'incarico di fare il nuovo governo […] L'importante è che sia una personalità autorevole, scelta pensando ai prossimi 7 anni, non alle prossime 7 settimane"; proponendo un bivio: "Il Pd deve smettere di fare melina. Non parto dall'accordo con Berlusconi. Parto dal fatto che si devono avere idee chiare. O si va a votare, e la cosa non mi spaventa; anche se, ad andare in Parlamento, non trovi un deputato convinto in cuor suo che si debbano sciogliere le Camere, per quanto nessuno abbia il coraggio di dirlo fuori. Altrimenti si fa un patto costituente da cui nasce la Terza Repubblica"; per chiudere con una valutazione caustica dell'esperimento dei 10 saggi: "Cosa ci possono dire di nuovo Violante e Quagliariello? Non sono certo la soluzione, al più possono essere concausa della crisi".

Insomma, Renzi rompe gli indugi, ritorna in campo e lancia messaggi piuttosto chiari su ciò che ha in mente. Se si votasse subito (anche se resta praticamente impossbile il voto a giugno), nuove primarie ("non posso essere legittimato dal gruppo dirigente che intendo cambiare"), programma di grande impatto ("abolizione finanziamento pubblico ai partiti per cominciare") e sfida a tutto campo a Berlusconi e Grillo. Se invece si aprisse una grande stagione delle riforme, pancia a terra per sostenere "il sussulto d'orgoglio del Pd: via il Senato, via le province, legge elettorale dei sindaci. Una gigantesca operazione di deburocratizzazione, con una grande scommessa sull'online. E un piano per il lavoro, che dia risposte al dolore delle famiglie e alle sofferenze delle imprese".

Un'entrata a gamba tesa, forse addirittura ai limiti del regolamento. Anche considerando il particolare momento politico – istituzionale, come ricorda sommessamente Civati: "Non so se si conosce il senso dell’espressione «semestre bianco». Non so se la demagogia ci travolge al punto da non capire che si è stabilito di arrivare fino a metà di aprile. Perché quelli che hanno fretta ed erano sicuri che il tentativo di Bersani sarebbe andato male, non hanno chiesto le dimissioni di Napolitano il giorno dopo le elezioni?". Così come è evidente che la sola suggestione del governissimo lascia ben più che perplessi. Ma, quello che brucia in casa democratica, è, per continuare la metafora calcistica, la quasi totale assenza di fair play del Sindaco di Firenze. Che colpisce dove fa più male: nell'orgoglio dei democratici, nel loro senso di appartenenza, nel loro sentirsi "diversi" e sempre e comunque portatori di buona politica. Sentimenti affievolitisi nel tempo, fino a sparire quasi del tutto di fronte alla carica ed all'entusiasmo dei grillini e certamente non risvegliati dalla condotta del segretario nei giorni del disperato tentativo di ottenere un via libera per la formazione del nuovo governo. Con un dialogo con i 5 Stelle sul quale Renzi non usa giri di parole: "Mi veniva da dire: "Pierluigi, sei il leader del Pd, non farti umiliare così!". Ho pensato a cosa doveva provare una volontaria che va a fare i tortellini alla festa dell'Unità: credo ci sia rimasta male nel vedere il suo leader trattato così, alla ricerca di un accordicchio politico […] E noi passiamo le giornate a farci spiegare dalla Lombardi, con un'arroganza che non si vedeva dai tempi della Prima Repubblica, cosa siamo e cosa non siamo? Rivendico il diritto alla dignità della politica, che è una cosa seria. Noi non dobbiamo inseguire Grillo".

È chiaro che si tratta di un modo per riaprire la contesa (nel partito e nel Paese), tuttavia sbaglieremmo se leggessimo la mossa di Renzi in chiave esclusivamente "strategica". Perché se a pesare è certamente la subalternità con la quale Renzi è costretto a digerire le scelte dei dirigenti bersaniani, allo stesso tempo non si può non notare il fatto che il Sindaco di Firenze rappresenti istanze condivise, non solo tra i militanti democratici. Quelle di una politica che abbandoni tatticismi ed alchimie e torni a confrontarsi con gli italiani, con i loro problemi e con la loro volontà di partecipazione. Certo, ma questo Renzi evita di dirlo con chiarezza, non si capisce come un nuovo compromesso (come quello sulle larghe intese) possa essere in grado di darle queste risposte….

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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