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Premio Napoli: vincono Giorgio Falco, Francesco Merlo e Guido Mazzoni

Giorgio Falco per la narrativa, Francesco Merlo per la saggistica e Guido Mazzoni per la poesia. Sono i tre vincitori del Premio Napoli giunto alla sua 64esima edizione. La premiazione dei vincitori si è tenuta al teatro Mercadante di Napoli, insieme alla consegna dei premi speciali a De Giovanni, Carpentieri e Jhumpa Lahiri.
A cura di Redazione Cultura
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Il Premio Napoli arriva al suo gran finale e nella serata di ieri 18 dicembre al Teatro Mercadante del capoluogo partenopeo premia in vincitori della 64esima edizione dello storico premio dedicato alla letteratura italiana. Giorgio Falco per la narrativa, Francesco Merlo per la saggistica e Guido Mazzoni per la poesia. La proclamazione dei vincitori è arrivata a scandire i momenti della lunga serata, costellata di altri riconoscimenti, da quelli speciali al ricordo di tutte le attività di quest'anno del premio. Così il presidente della Fondazione Premio Napoli, Domenico Ciruzzi, ha consegnato i premi per le tre categorie principali, votate da più di 1300 giudici lettori.

Per la sezione “Narrativa” il premio è stato assegnato a Giorgio Falco con “Ipotesi di una sconfitta” (Einaudi). Nella stessa categoria erano candidati Michele Mari con “Leggenda privata” (Einaudi) e Davide Orecchio con “Mio padre la rivoluzione” (Minimum Fax). Per la “Saggistica” il più votato dai giudici lettori è stato Francesco Merlo con “Sillabario dei malintesi” (Marsilio). In nomination figuravano Donatella Di Cesare con “Stranieri residenti” (Bollati Boringhieri) e Matteo Vegetti con “L’invenzione del globo” (Einaudi). Per la “Poesia” ha vinto Guido Mazzoni con “La pura superficie” (Donzelli). Gli altri due finalisti nella stessa sezione erano Mariano Baino con “Prova d’inchiostro e altri sonetti” (Aragno) ed Elio Pecora con “Rifrazioni” (Mondadori). Ecco le motivazioni della giuria tecnica:

Giorgio Falco vince il Premio Napoli per la narrativa

Giorgio Falco racconta la storia di un cambiamento umano ed esistenziale. Il suo romanzo presenta le forme di un processo, che ha cancellato il mondo dei padri e ha trascinato i figli in una realtà caotica e squilibrata. Il mondo dei padri coincide con la realtà italiana degli anni sessanta. Prevede il decoro di un lavoro e l'orgoglio di appartenere a una comunità dignitosa e utile. Nel suo spazio la vita individuale trova riconoscimento e acquista valore. Il mondo dei figli ha smarrito qualunque sicurezza. La sconfitta, di cui parla il titolo, designa la discesa nel caos di lavori improvvisati e provvisori, ognuno dei quali costituisce il passaggio verso un'alienazione più grande e artificiale. Inserendosi nel filone della letteratura del lavoro, che vanta modelli alti come Volponi e Ottieri, Falco restituisce la storia di una generazione senza sicurezza. Il romanzo ritrova con lui la grande vocazione al racconto, che unisce, in un solo nesso, la storia dei singoli e le dinamiche della società.

Il sillabario di Merlo vince per la saggistica

L’epoca in cui viviamo ha reso perlopiù opache, talvolta inutili, perfino equivoche o rabbiose le parole del nostro mondo. Come se la capacità di comunicare – complice la violenta accelerazione tecnologica – si sia spinta in una terra frastornata dove è arduo ricostruire una lingua condivisa. È su questo sfondo che si staglia Sillabario dei sentimenti di Francesco Merlo. Un libro che esamina lemmi, frasi, tic linguistici che hanno imperversato nella società italiana: quella alta e quella bassa; quella politica e quella liturgica; l’Italia corrotta e l’Italia per bene. Con l’abituale precisione e bravura letteraria Merlo ci consegna la personalissima visione di un paesaggio civile sconvolto e reso quasi irriconoscibile dagli eventi più recenti. Ne scaturisce un racconto che alterna il ricordo privato (la Sicilia, con la famiglia, i nonni, la madre e il padre) a un presente che ha smarrito ogni forma di memoria storica. Scrivere è per Merlo un esercizio di lenta purificazione, una bussola per uscire dal garbuglio dell’attuale demenza quotidiana e dal protagonismo che l’avvolge. La sua lingua indiziaria documenta e affascina. Come se le parole scelgano chi scrive. Tanto esse sono incise nel cuore e nella mente dell’autore. A noi lettori, tormentati dal sospetto che niente sarà più come prima, la resa ci sembrerà meno vicina e avvilente perché da un’altra lingua, da un altro lessico, da un altro libro è pur sempre possibile veder rinascere la speranza.

Guido Mazzoni per Donzelli primeggia nella poesia

Questo libro, che alterna i versi alla prosa, la prima persona alla terza, dichiara le ascendenze kafkiane già dalle insegne che porta in epigrafe; e pare accompagnarle, tali insegne, nel cuore di una contemporaneità che ci tocca di vivere come un intrico di nervi scoperti. Le figurazioni del perturbante vengono individuate e raccontate crudamente – ma non senza pietà – sui due fronti, parimenti enigmatici e imperscrutabili, del confronto con l’interiorità e col mondo esteriore, tra i quali incessantemente si muove l’occhio del poeta: paesaggi entrambi insostenibili. Tra queste narrazioni desolate campeggiano, a contraltare e salutare interludio, le riscritture e i rifacimenti di poesie di Wallace Stevens, posti ad esempio della praticabilità dell’umano discorso e dell’atteggiamento dialogico con il mondo ai quali soltanto la veritiera oltranza della poesia, che è cocciuta fatica di risignificazione della “pura superficie” del reale, può attingere.

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