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Pompei: il 24 agosto del 79 d. C. la terribile eruzione del Vesuvio che distrusse la città

Solo dopo molti secoli gli scavi hanno restituito le immagini di quegli ultimi terribili istanti di vita e di morte ai piedi del Vesuvio. Ma grazie alla testimonianza di Plinio il Giovane, l’unica diretta, oggi conosciamo l’entità della tragedia che si abbatté su Pompei ed Ercolano quel 24 agosto del 79 d. C.
A cura di Federica D'Alfonso
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Una delle vittime dell'eruzione del 79 d. C. a Pompei.
Una delle vittime dell'eruzione del 79 d. C. a Pompei.

“Furono lanciate pietre che giunsero alle più grandi altezze, poi una grande quantità di fumo e di fuoco in modo che si oscurò l’aria e si occultò il sole come se fosse estinto. Il giorno si invertì in notte e la luce in tenebre…”: questo frammento della Storia Romana di Cassio Dione restituisce solo in parte l’orrore di quel 24 agosto del 79 d. C. quando, in poco meno di due giorni, Pompei viene distrutta e cancellata definitivamente dalla mappa dell’Impero.

Si tratta forse di uno dei disastri naturali più famosi della storia, reso ancora più terribile dai ritrovamenti che molti secoli dopo iniziarono ad affiorare dagli strati ormai cristallizzati di cenere. In poco meno di due giorni, in circa trenta ore, Pompei ma anche Ercolano e alcune zone della vicina Stabia vennero distrutte dalla furia del vulcano. Di quei giorni restano gli ultimi istanti di vita di centinaia di corpi, alcuni colti dalla morte mentre tentavano la fuga, altri immobilizzati nell’ultimo abbraccio d’amore.

Plinio il Giovane: l’unico testimone

"L'ultimo giorno di Pompei" immaginato dal pittore Karl Briullov (1833).
"L'ultimo giorno di Pompei" immaginato dal pittore Karl Briullov (1833).

Ma esiste anche una testimonianza diretta di ciò che accadde a Pompei, l’unica: quella di Plinio il Giovane che, stando ai suoi resoconti epistolari all'amico Tacito, doveva trovarsi a Miseno, a circa 20 chilometri da Pompei, al momento dell’eruzione del Vesuvio. È proprio grazie a lui che oggi conosciamo la data del disastro: in una delle lettere Plinio indica “nonum kal septembres”, nove giorni prima delle Calende di settembre, ovvero il 24 agosto. Alcuni ritrovamenti sembrano smentire la cronologia suggerita dallo scrittore, ma nell'immaginario comune questa data resta ancora simbolica di una calamità senza precedenti.

Calamità a causa della quale perse la vita anche Plinio il Vecchio: è lo stesso nipote a ricostruirne le circostanze, raccontando come suo zio, all’epoca “praefectus” della flotta imperiale stanziata a Miseno, si sia recato sulla costa di Stabia durante l’eruzione rimanendo vittima delle esalazioni vulcaniche. Secondo il Giovane, Plinio voleva avvicinarsi il più possibile ai luoghi del disastro per osservare meglio il fenomeno e tentare, allo stesso tempo, di prestare soccorso ad alcuni amici rimasti bloccati sulla spiaggia.

Le vittime: l’Orto dei Fuggiaschi

L'Orto dei Fuggiaschi a Pompei.
L'Orto dei Fuggiaschi a Pompei.

Nel 1863 l’archeologo Giuseppe Fiorelli scoprì che, versando del gesso nelle cavità apparentemente vuote del terreno, era possibile riportare alla luce le vittime del vulcano in tutta la loro interezza. In questo senso l’Orto dei Fuggiaschi rappresenta una delle zone più suggestive degli scavi di Pompei: in quest’area negli anni Sessanta del Novecento vennero rinvenuti ben 13 corpi di donne e uomini che avevano probabilmente cercato di mettersi in salvo fuggendo verso Porta Nocera. In totale solo Pompei ha restituito più di mille calchi in gesso: vittime inermi della furia del vulcano, come quello del padre che guarda impotente, sollevandosi sulle braccia, l’agonia della figlia e della madre strette nell'ultimo abbraccio.

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