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Sprechi, finanziamenti insufficienti e carenza di personale: l’analisi di Gimbe sulla sanità pubblica

Un continuo definanziamento, sprechi, divari strutturali tra le Regioni e carenza di personale: è la fotografia scattata dalla fondazione Gimbe nel 45esimo anniversario del Servizio sanitario nazionale.
A cura di Annalisa Girardi
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Il Servizio sanitario nazionale compie 45 anni. Un compleanno "amaro", per usare le parole della fondazione Gimbe che, in questo anniversario fa una fotografia sulla sanità pubblica. "Un modello ispirato da principi di equità e universalismo, finanziato dalla fiscalità generale, che ha permesso di ottenere eccellenti risultati di salute e che tutto il mondo continua a invidiarci. Purtroppo i princìpi fondanti sono stati ormai ampiamente traditi. Perché la vita quotidiana delle persone, in particolare quelle meno abbienti, è sempre più condizionata dalla mancata esigibilità di un diritto fondamentale, quello alla tutela della salute", commenta Nino Cartabellotta, presidente della fondazione, citando "interminabili tempi di attesa per una prestazione sanitaria o una visita specialistica, necessità di ricorrere alla spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, pronto soccorso affollatissimi, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, enormi diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria".

L'anniversario si festeggerà il 23 dicembre. Quel giorno, nel 1948, a larghissima maggioranza è stata approvata la legge per istituire il Servizio sanitario nazionale, in attuazione del diritto 32 della Costituzione, quello alla Salute.

Dopo la pandemia di coronavirus – che ha messo in ginocchio la rete della sanità pubblica, costringendola a prove durissime – il necessario rilancio del Ssn non c'è stato. "Negli ultimi 15 anni tutti i governi, di ogni colore politico, hanno tagliato risorse o non finanziato adeguatamente il SSN sino a portare il nostro Paese ad essere in Europa “primo tra i paesi poveri” in termini di spesa sanitaria pubblica pro-capite", ha precisato Cartabellotta. Il divario con la media dei Paesi europei non ha fatto che aumentare progressivamente.

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Questo definanziamento è pagato in prima persona dal personale sanitario. Cartabellotta ha commentato:

La persistenza del tetto di spesa riferito al lontano 2004 ha prima ridotto la quantità di medici e soprattutto di infermieri, poi li ha progressivamente demotivati tanto che oggi si moltiplicano pensionamenti anticipati, licenziamenti volontari, fughe verso il privato o all’estero. Il capitale umano che crede nel SSN oggi è costretto ad alzare la voce con ripetuti scioperi, per chiedere disperatamente di rilanciare le politiche del personale sanitario. Anche perché si sta facendo largo la scarsa attitudine dei giovani a intraprendere professioni (es. infermiere) e specialità (es. medico d’urgenza) poco attrattive, che a fronte di una bassa remunerazione presentano limitate prospettive di carriera, condizioni di lavoro inaccettabili, o addirittura rischio di aggressioni: uno scenario che, in assenza di decisi interventi da parte della politica, finirà per legittimare cooperative di servizi e gettonisti.

Il presidente della fondazione Gimbe ha quindi sottolineato le profonde diseguaglianze regionali, una vera e propria "frattura strutturale tra Nord e Sud". A chi abita nelle Regioni del Mezzogiorno non sono spesso nemmeno garantiti i livelli essenziali di assistenza. "E su questa frattura pende la mannaia dell'autonomia differenziata che senza definire e finanziare i Livelli Essenziali delle Prestazioni, non potrà che amplificare le diseguaglianze, legittimando normativamente il divario Nord-Sud e violando il principio di uguaglianza nel diritto alla tutela della salute e assestando il colpo di grazia al Ssn".

Questa situazione non fa che spingere molte persone alla migrazione sanitaria, cioè a doversi recare in un'altra Regione per ricevere le cure.

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Se la sanità pubblica è in sofferenza, dall'altro lato l'offerta del privato aumenta. "Pur nella consapevolezza della qualità di numerose strutture private accreditate e della differente “densità” nelle varie Regioni  è evidente che per soddisfare i bisogni di salute della popolazione diminuiscono le tutele pubbliche e aumenta l’offerta privata. Che dovrebbe essere invece una libera scelta e non una necessità obbligata dall’indebolimento del pubblico", ha concluso Cartabellotta.

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