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Perché nella sfida di Meloni contro Francia e Germania c’è in gioco il futuro dell’Europa

Stati Uniti d’Europa contro Europa delle Nazioni: dietro la polemica della cena all’Eliseo tra Francia e Germania con Zelensky, a cui l’Italia non è stata invitata, si nasconde la battaglia sul futuro dell’Unione. Un futuro che rischia di essere sempre meno europeista e sempre più a destra.
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No, non era solo una cena, quella organizzata dal presidente francese Emmanuel Macron all’Eliseo, con ospite d’onore il suo collega ucraino Volodimyr Zelensky, con commensale il cancelliere tedesco Olaf Scholz e grande assente la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni. E no, non è nemmeno una semplice polemica per un posto a tavola che si è deciso di non aggiungere, o l’attestazione che esista un asse franco tedesco che fa il bello e il cattivo tempo al di sopra di ogni accordo a 27 che si prende a Bruxelles o a Strasburgo.

È tutta un’altra cosa, la dialettica che vede Berlino e Parigi contrapposte a Roma, Praga e Varsavia: è la contrapposizione tra due diverse idee di Europa, che mai come oggi si trova a un bivio tra gli Stati Uniti d’Europa e l’Europa delle Nazioni. E che alle elezioni europee del prossimo anno arriverà probabilmente alla resa dei conti.

L’asse franco tedesco, non da ieri, va nella direzione di un’Europa sempre più unita, di istituzioni europee sempre più forti, di un diritto europeo sempre più prevalente rispetto a quelli nazionali. È la visione non solo e non tanto di due Paesi, ma di due leadership politiche come quella di Emmanuel Macron, il presidente che si presentò ai francesi sulle note dell’Inno alla Gioia e che da sempre lavora per la costruzione di un super Stato europeo, e quella di Olaf Scholz, espressione della famiglia socialdemocratica tedesca, la più europeista di tutte.

L’asse tra i Paesi guidati dalle destre conservatrici, per ora rappresentato da Italia, Polonia e Repubblica Ceca va invece nella direzione opposta: quella di chi preferisce un’Europa debole e leggera, in cui ogni nazione decide per se stessa, con pochissime regole comuni e con pochi grandi temi di cui occuparsi congiuntamente, primo fra tutti la difesa dei confini continentali.

Centro di gravità permanente, tra queste due opposte visioni, è il Partito Popolare Europeo, quello che pesa di più in Europa, ma che per uno strano caso del destino, allo stato attuale non è alla guida di nessun grande Paese europeo. Un partito che sinora, complice la fortissima leadership di Angela Merkel, ha sempre visto prevalere il suo profilo europeista. Non a caso, è espressione di questo partito la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, a sua volta sostenuta da una grande coalizione che si regge sull’asse tra popolari e social democratici.

Questo equilibrio è oggi più precario che mai, per mille motivi. Perché la guerra in Ucraina ha spostato l’asse dell’Europa a est, rendendo centrali e strategici – anche e soprattutto agli occhi dell’alleato americano – Paesi come la Polonia che fino a ieri erano ai margini. Perché i partiti della destra conservatrice europea sono sempre più al governo e sempre meno all’opposizione. Perché anche dove non governano, come ad esempio in Francia, sono comunque il partito di maggioranza relativa. Perché parlare di un asse tra centrodestra ed estrema destra non è più eresia in molti Paesi. Primo fra tutti la Spagna, che andrà al voto nel 2023 e dove l’esito più accreditato è quello di un governo a guida popolare con il sostegno del movimento post franchista di Vox, altro alleato di ferro di Fratelli d’Italia.

Dovesse accadere, si aggiungerebbe un posto a tavola tra Italia, Polonia e Repubblica Ceca, mentre Francia e Germania rimarrebbero sempre più isolate. Non solo: Italia e Spagna potrebbero rappresentare il laboratorio politico di quella coalizione tra popolari e destre conservatrici che potrebbe prendersi la maggioranza parlamentare e la guida della Commissione Europea dopo le elezioni del 2024. Qualcuno già si azzarda a incoronare Roberta Metsola, popolare di destra, attuale presidente del parlamento europeo, come la leader perfetta per governare questa alleanza.

Dovesse accadere tutto questo, la prossima cena all’Eliseo finirebbe per diventare un rito triste e vuoto tra due potenze in declino e tra due leader perdenti. E il sogno degli Stati Uniti d’Europa, o comunque di un’Europa sempre più unita, una prospettiva ancora più lontana di quanto già non lo sia ora. Sacrificata sull'altare del ritorno delle nazioni e dei suoi leader nazionalisti. La partita è cominciata, staremo a vedere.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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