
Quella che si sta scrivendo in questi giorni è sicuramente una delle pagine più nere della legislatura attuale. Con l’approvazione del decreto sicurezza, per giunta con l’apposizione del voto di fiducia, la maggioranza che sostiene il governo Meloni dimostra non solo di considerare il Parlamento poco più di un impiccio, ma anche di avere definitivamente piegato alla logica del consenso prassi istituzionali consolidate. Se a ciò aggiungiamo le specificità, nonché la particolare rilevanza, della materia oggetto del provvedimento, abbiamo un quadro decisamente preoccupante, che nelle scorse settimane ha determinato una serie di momenti e manifestazioni di protesta, animati non soltanto dalle forze di opposizione, ma anche da associazioni, sindacati, movimenti antagonisti e operatori di settore. Nella puntata odierna della nostra Evening Review (la newsletter dedicata a chi ha scelto di sostenere Fanpage.it), provo ad analizzare alcuni contributi del dibattito in corso sui mezzi di informazione.
Vi abbiamo raccontato nel dettaglio la travagliata genesi del testo che a brevissimo diventerà legge, dal varo del disegno di legge alla discussione in Parlamento e alle perplessità del Quirinale che sembravano poter portare a qualche retromarcia di buonsenso su punti molto controversi. Tutto è cambiato quando il governo ha scelto di trasferire il ddl in un decreto legge, creando una situazione oggettivamente problematica. In effetti, introdurre per decreto delle nuove fattispecie penali, modificare pene e sanzioni, è un’anomalia difficile da spiegare.
Tant’è che una delle bocciature più eclatanti viene dall’Unione delle Camere Penali, la cui Giunta ha diramato un comunicato che vale la pena di rileggere nei punti salienti:
Preso atto della volontà del Governo di emanare un Decreto Legge all’interno del quale recepire i contenuti del Disegno di legge denominato “pacchetto sicurezza”, già all’attenzione del Parlamento, non possiamo non denunciare ancora una volta l’abuso della decretazione d’urgenza nella materia penale. Tale modalità di intervento legislativo risulta tanto più inadeguata in quanto non solo adottata in mancanza di ogni profilo di necessità e di urgenza che possa giustificare una simile iniziativa, ma in quanto la stessa viene attuata con riferimento ad una serie di norme, già da più parti sottoposte a severe critiche, mentre è in corso un’ampia e approfondita discussione davanti al Senato […]
Restano di fatto tutte le criticità del “pacchetto sicurezza” relative alla inutile introduzione di nuove ipotesi di reato, ai molteplici sproporzionati e ingiustificati aumenti di pena, alla introduzione di aggravanti prive di alcun fondamento razionale, alla criminalizzazione della marginalità e del dissenso, ed alla introduzione di nuove ostatività per l’applicazione di misure alternative alla detenzione. L’entrata in vigore di tali discusse norme, violative dei principi costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza, offensività e tassatività, non farà altro che aumentare la popolazione carceraria, con ulteriore aggravio del fenomeno del sovraffollamento.
Inoltre, ci sono pochi dubbi sul fatto che l'approccio del provvedimento sia inutilmente punitivo nei confronti di soggetti più deboli ed esposti, oltre che pericoloso per la libera espressione del dissenso.
È interessante leggere la sintesi pubblicata sul Fattoquotidiano da Roberta Calvano, Professoressa ordinaria di Diritto costituzionale all’università UnitelmaSapienza, che ripercorre l’appello promosso da più di 250 giuspubblicisti. Oltre ai già ricordati rilievi sulla scelta di decreto e fiducia, molto centrata è la riflessione su due aspetti specifici, che vi riporto:
Perché in molte altre disposizioni si prevede la criminalizzazione di condotte, o l’inasprimento di sanzioni, senza tener conto dei prevedibili effetti sul sovraffollamento carcerario, rispetto al quale non si pone rimedio, oltre che sui carichi di lavoro e la lentezza degli uffici giudiziari?
Cosa ha determinato il Governo a decidere la criminalizzazione di condotte di poca o nulla pericolosità, che si possono sintetizzare come espressione di dissenso, di marginalità, quando non di disperazione, come nel caso della protesta passiva in carcere rispetto ad ordini impartiti?
Giuseppe Allegri, sul Manifesto, fotografa in modo netto la situazione: “Il dl sicurezza sacrifica infatti qualsiasi dialogo e mediazione per introdurre una dozzina di nuovi reati, con l’aggravamento di fattispecie già previste verso soggetti che rischiano di delinquere in (seguito al trovarsi in) condizioni di vulnerabilità o fragilità sociale, colpendo l’accattonaggio dei mendicanti, la condizione di migranti e senza fissa dimora, quindi aumentando misure cautelari e detentive per «donne incinte o madri di prole di età inferiore a un anno o a tre anni» che delinquono”.
E che il governo voglia utilizzare la leva del presunto contrasto a reati che definiremmo di grande impatto emozionale, come scippi e rapine, per operare una svolta securitaria in chiave pop, è testimoniato anche dalla comunicazione scelta dai leader e, in particolare, dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La quale, nel pieno del dibattito sulla fiducia (con il tentativo dell’opposizione di rallentare il lavoro del Parlamento su un provvedimento ormai in scadenza), ha ritenuto bene di pubblicare un messaggio sui social in cui rivendica la bontà delle scelte dell’esecutivo, facendo appunto leva su una questione piuttosto sentita da una certa parte dell’elettorato, quella dell’occupazione abusiva delle case e delle note difficoltà nell’ottenere sfratti in tempi celeri.
Tema che, guarda un po’ la casualità, era stato anticipato in mattinata dai giornali della destra. Il Tempo scriveva infatti di “ladri di case fuori in 24 ore”, dando spazio al sottosegretario leghista Molteni “con buona pace della sinistra” (la citazione è dal pezzo), che spiegava come non ci fosse nulla di cui preoccuparsi: “Loro lo definiscono criminogeno, criminale, illiberale, incostituzionale, disumano, ma è un potentissimo strumento che garantisce sicurezza e, soprattutto, protezione delle categorie più deboli. Quando restituisco un immobile a un anziano a cui era stato occupato, facciamo protezione sociale”.
E Il Giornale soffiava ancora sul fuoco della propaganda, rinominando il dl come “decreto pro agenti”. Il riferimento qui è ad alcuni passaggi molto controversi, in particolare per quel che concerne il diritto alla manifestazione del dissenso. Secondo il quotidiano diretto da Sallusti “l’ondata di mobilitazioni ha trasformato le forze dell’ordine in bersagli senza protezione”, dunque è necessario dare agli agenti “più tutele” e strumenti più efficaci.
Come ciò si concili con l’inasprimento delle pene per chi manifesta pacificamente il dissenso o per chi mette in atto forme di protesta non violenta, non è dato sapere e non pare essere una preoccupazione dei giornali che spalleggiano il governo, andando spesso oltre le aspettative della stessa maggioranza. Eppure il quadro dovrebbe preoccuparci, come ricorda sempre Il Manifesto:
Siamo quindi dinanzi a un decreto che sembra coniugare una mentalità da giustizieri law and order con una sorta di «diritto penale della paura», in un quadro di populismo securitario più orientato a una fuorviante campagna comunicativa permanente che alla promozione di una reale incolumità e sicurezza pubblica in favore dell’intera cittadinanza.
Continua a seguire la nostra Evening Review, la newsletter per chi ha scelto di sostenere Fanpage.it, di cui questo pezzo è un estratto. Ci si iscrive qui.
