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Nomine Rai tra lottizzazione e polemiche: “Se neanche la società civile premia il merito…”

E’ scontro sulla decisione del Partito Democratico di lasciare che siano quattro associazioni ad indicare i nomi dei consiglieri in “quota democratica” alla RAI. I nomi sono quelli di Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi.
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Nomine-Rai

Giovedì 21 giugno la commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai sarà chiamata ad eleggere i 7 membri del Consiglio di amministrazione. Stando alla consolidata prassi della "spartizione" (non cambia molto se si utilizza il termine "lottizzazione"), secondo i rapporti di forza all'interno della commissione 3 membri spetterebbero a Lega – Popolo della Libertà, 2 al Partito Democratico e uno a testa per Unione di Centro ed Italia dei Valori. Ovviamente da giorni intorno ai nomi si è scatenata la solita "guerra di posizione" all'interno dei partiti, con scelte destinate a far discutere e le solite immancabili polemiche. A partire da Lega Nord ed Italia dei Valori che, sia pure per ragioni diverse, non intendono fornire alcun nome agli esponenti dei gruppi parlamentari che giovedì voteranno i membri del Cda. Di Pietro in tal senso non ha avuto esitazioni, lanciando una sorta di scomunica laica ai partiti: "La logica della spartizione fa a pugni con quella dei curricula che invece punta sulla scelta dei candidati migliori. Bisogna scegliere candidati che abbiano una specifica competenza". Meno problematica la scelta dell'Unione di Centro, che dovrebbe convergere su Rodolfo De Laurentiis, consigliere uscente; così come del resto lo stesso Popolo della Libertà sembra intenzionato a proporre una rosa di nomi, fra cui quelli di Giancarlo Galan ed Antonio Verri, nonché quelli di alcune personalità già figure di spicco della Rai come Guido Paglia e Rubens Esposito.

Più complessa, c'era da aspettarselo, la situazione in casa Partito Democratico. La linea del segretario Bersani, infatti, era quella di lasciare che a scegliere i nomi fossero 4 associazioni esterne ai partiti, proprio nel segno di una discontinuità col vecchio modello di "gestione delle nomine pubbliche" (e per superare uno stallo che rischiava di produrre una figuraccia in stile Agcom – Privacy). Le scelte di "Libera", "Se non ora quando", "Libertà e Giustizia" e "Comitato per la Libertà" hanno però sollevato ugualmente polemiche e critiche (come da copione, insomma…). Da una parte la contestazione è nel merito, perché i due nomi indicati, Benedetta Tobagi (giornalista e scrittrice, figlia di Walter, il giornalista assassinato dalle Brigate Rosse) e Gherardo Colombo (il magistrato di Mani Pulite e non solo), non sembrano davvero avere quell'esperienza manageriale che, almeno teoricamente, sarebbe necessaria a ricoprire tale carica. Ne parla in maniera schietta Gad Lerner sul suo blog:

Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo sono ovviamente persone che stimo […] Se si fosse trattato di designare personalità per un comitato etico di garanti, o se volete per un Comitato dei Saggi che sovrintenda l’attività culturale e editoriale dell’ente radiotelevisivo, non avrei avuto niente da ridire. […] Nessuno dei concorrenti, ma anche nessun’altra azienda televisiva pubblica di altri paesi, farebbe scelte simili. Alla Rai servirebbero amministratori forniti di esperienza manageriale e conoscenza del settore, così come li si cerca in qualsiasi altra azienda.   Altrimenti con la retorica del servizio pubblico si continuerà a coprire la sua lottizzazione surrettizia.

Dall'altra invece la polemica resta sul metodo di "scelta". A fornire una chiave di lettura in tal senso è Giorgio Gori, che su twitter non ha lesinato critiche alla decisione di Bersani di affidarsi ad "associazioni della società civile":

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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