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La Bosnia come la Turchia: i soldi dell’Ue per tenere i migranti fuori dai confini europei

Dopo l’incendio al campo profughi di Lipa, si è iniziato a parlare delle condizioni dei migranti bloccati in Bosnia. E mentre l’Unione europea continua a condannare a parole la catastrofe umanitaria che si sta consumando nel Paese, dall’altro lato continua a mettere soldi nelle casse di Sarajevo affinché si occupi della loro accoglienza. “Aiuti umanitari”: così vengono definiti questi fondi. Che però non sono altro che il pagamento per tenere i migranti al di fuori dei confini comunitari. Come accaduto nel 2016 con la Turchia.
A cura di Annalisa Girardi
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Hanno camminato anche per mesi per arrivare in Europa. Arrivano per lo più da Afghanistan, Pakistan e Bangladesh. Sono i migranti bloccati in Bosnia, un Paese ai confini dell'Unione europea che continua a ricevere soldi da Bruxelles per occuparsi della loro accoglienza. O meglio, in altre parole, per tenerli sul proprio territorio e impedire che possano entrare in territorio comunitario. L'Ue ha versato decine di milioni nelle casse di Sarajevo negli ultimi anni per finanziare centri e strutture di accoglienza, che però spesso rimangono vuote. Perché nemmeno le comunità locali bosniache vogliono convivere con i migrantiche attraversano la rotta balcanica. Al pari dei Paesi Ue.

E chi è riuscito ad attraversare il confine racconta di essere stato fermato dalla polizia di frontiera prima ancora di poter presentare una domanda di asilo, messo in un furgone, picchiato e rispedito in Bosnia. Dove non hanno cibo, acqua o elettricità. Spesso nemmeno un riparo sopra la testa. E dove continua a nevicare da settimane.

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La Bosnia come la Turchia

L'Unione europea da anni prova a fermare il flusso di migranti che percorre la rotta balcanica. Il 18 marzo 2016 Bruxelles ha stretto un accordo con Ankara per fermare i migranti che attraversano la Turchia cercando di raggiungere l'Europa e trattenerli di fatto nel Paese. Un patto costato all'Ue 6 miliardi di euro, oltre alla promessa di velocizzare l'istanza di integrazione europea della Turchia. L'intesa per alcuni anni è sembrata funzionare: se l'obiettivo era quello di diminuire, poco importa come, i flussi migratori provenienti dall'Oriente, questo è stato raggiunto. Specialmente per quanto riguarda i profughi dalla Siria: moltissimi sono rimasti bloccati in Turchia, impossibilitati a raggiungere l'Europa.

Ma l'anno scorso, tra 3 miliardi di euro ancora da versare, le pressioni dei migranti al confine per raggiungere la Grecia e le promesse mancate da entrambe le parti (da quella dell'Ue, di trasferire sul suo territorio delle quote di migranti, a quella della Turchia, di riammettere sul suo suolo i migranti approdati sulle isole greche e accolti in centri sull'orlo del collasso), l'accordo ha rischiato di saltare. E il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha più volte minacciato di riaprire le frontiere.

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Ma la Turchia non è l'unico Paese finanziato dall'Unione europea per tenere i migranti sul proprio territorio. Perché di questo si tratta: anche se mascherati da fondi per l'accoglienza, questi soldi non sono che il pagamento necessario per trattenere fuori dai confini comunitari un problema di cui Bruxelles non si vuole occupare. Un accordo di questo tipo chiaramente era problematico, sia dal punto di vista giuridico che da quello dei diritti umani, nel 2016 come lo è oggi.

Dal 2018 l'Ue ha versato circa 88 milioni nelle casse di Sarajevo

Negli ultimi due anni l'Ue ha versato circa 88 milioni nelle casse di Sarajevo affinché gestisca i campi profughi allestiti sul suolo bosniaco. A gennaio, dopo che l'incendio nel campo di Lipa ha acceso i riflettori sulle condizioni dei migranti in Bosnia, la Commissione europea ha annunciato lo "stanziamento di altri 3,5 milioni di euro di aiuti umanitari per aiutare i rifugiati e i migranti che si trovano in condizioni di vulnerabilità in Bosnia-Erzegovina a far fronte alla catastrofe umanitaria che stanno vivendo".

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L'Alto rappresentante per gli Affari esteri dell'Unione, Josep Borrell, in quell'occasione aveva dichiarato: "Le autorità locali devono mettere a disposizione le strutture esistenti e trovare una soluzione temporanea fino a quando il campo di Lipa non sarà ricostruito per diventare una struttura permanente. L'assistenza umanitaria dell'UE fornirà alle persone in difficoltà l'accesso immediato ai generi di prima necessità, in modo da alleviare la difficile situazione in cui si trovano". Il commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, invece aveva detto: "Questa catastrofe umanitaria potrebbe essere evitata se le autorità creassero nel Paese una sufficiente capacità di accoglienza a prova di intemperie, anche utilizzando le strutture esistenti disponibili. (…) L'assistenza umanitaria (da parte dell'Ue, ndr) in Bosnia-Erzegovina non sarebbe necessaria se il Paese attuasse un'adeguata gestione della migrazione, come richiesto dall'Ue per molti anni".

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L'Ue, di fatto, ha rimbalzato a Sarajevo la responsabilità per quello che sta avvenendo in Bosnia ed Erzegovina. Il riferimento è, per la precisione, ad alcune strutture di accoglienza, come ad esempio quella di Bira, costruite con fondi europei, ma rimaste vuote a causa del rifiuto delle comunità locali di vivere al fianco dei migranti.

I respingimenti alla frontiera dell'Ue

Ma mentre Bruxelles è impegnata a puntare il dito contro le autorità bosniache, ignora (o fa finta di non vedere) quanto accade alla frontiera dell'Unione. Dove i migranti che riescono ad arrivare al confine vengono fermati, spesso picchiati, e poi rimandati indietro. Ieri il Tribunale di Roma, sul caso di un richiedente asilo pakistano, riammesso lo scorso luglio dall'Italia alla Slovenia, poi da lì alla Croazia e infine alla Bosnia, ha emesso un'importante sentenza. Esprimendosi sulla vicenda, il Tribunale ha infatti affermato che le riammissioni (cosiddette a catena) del Viminale a danno dei migranti, avrebbero esposto queste persone a "trattamenti inumani e degradanti", nonché a "torture" per mano della polizia croata.

Si tratta in piena regola di respingimenti, azioni illegittime che violano il diritto internazionale e costituzionale e il principio di non-refoulement. La lista è ancora lunga: queste pratiche calpestano anche la Convenzione dei diritti dell'uomo e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Quello che sta accadendo è chiaro: si impedisce ai migranti di esercitare il diritto di presentare richiesta di asilo in un Paese Ue e si preferisce versare milioni (se non miliardi) a un Paese terzo lungo la rotta balcanica affinché questo costituisca una sorta di diga ai flussi migratori provenienti dall'Oriente. Poco importa se in questi Paesi il rispetto dei diritti umani non viene riconosciuto o se i migranti vengano lasciati in condizioni disumane: l'importante è che sia un problema di qualcun'altro.

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A Fanpage.it sono vice capoarea della sezione Politica. Mi appassiona scrivere di battaglie di genere e lotta alle diseguaglianze. Dalla redazione romana, provo a raccontare la quotidianità politica di sempre con parole nuove.
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