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La trappola di Israele e la fine della tregua: ancora bombe su Gaza

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Che potesse essere una trappola, era fin troppo evidente. Eppure i proclami e le annunciazioni in pompa magna, con auto-candidature al Premio Nobel per la Pace, facevano sperare che questo cessate il fuoco potesse durare quanto meno un po' di più. Invece, l'interruzione è arrivata puntuale, innescata, a detta di Tel Aviv, da un'accusa di fuoco di Hamas contro un mezzo israeliano a Rafah. L'accaduto è avvenuto proprio nel momento in cui la controparte palestinese aveva consegnato gli ostaggi, sia vivi che i resti mortali, fino ad arrivare ai pezzi di corpi per il riconoscimento del DNA. Una volta esaurito il "bottino" negoziale, il premier Netanyahu ha trovato il pretesto per riprendere la via militare.

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Da giorni, gli aiuti umanitari sono bloccati, rendendo di fatto Israele il primo a violare l'accordo. L'operazione militare israeliana è, di fatto, tornata pienamente operativa, con bombardamenti aerei e terrestri che hanno già ucciso diversi civili. Ciò avviene nonostante gran parte della popolazione sfollata sia tornata nel nord della Striscia per la seconda volta nel giro di meno di dieci mesi. Le minacce si sono fatte subito esplicite: Trump ha avvertito che, in caso di mancato rispetto del cessate il fuoco, la reazione sarà "dura", mentre Netanyahu ha ribadito la necessità dell'utilizzo della forza.

Che fosse una tregua difficile da rispettare e un accordo complicato da portare avanti era lampante. Anche la mossa di indicare Hamas come forza di polizia interna era risultata strana e infatti nell'opinione pubblica dopo il regolamento di conti con le bande criminali sostenute da Israele, i palestinesi avevano smesso di essere tutti miliziani di Hamas per essere considerati, in questo caso si, civili inermi che venivano uccisi dai cattivi islamisti con le preoccupazioni degli stessi che avevano consentito queste rappresaglie e che avevano negato il genocidio fino al giorno precedente.

Molti analisti avevano parlato di una "Fase 1" completata e di una successiva "Fase 2" che, esattamente come pochi mesi fa, non sarebbe stata rispettata da Israele. Invece, tutto è finito molto prima: aiuti umanitari bloccati da giorni e bombardamenti immediatamente ripresi.

A incombere, ora, è la minaccia rappresentata dai coloni che premono lungo il confine con la Striscia di Gaza, pronti a rientrare per colonizzare l'enclave, come accadeva fino al 2005 prima del ritiro unilaterale delle colonie voluto da Ariel Sharon. Questa è un'occasione troppo ghiotta per quella destra religiosa e suprematista che fa parte del governo e che aveva dichiarato sin da subito l'opposizione all'accordo e alla pace.

Sicuramente la liberazione di quasi 2000 prigionieri palestinesi, detenuti per lo più in via illegale da parte di Israele, è stato un fattore positivo. Al tempo stesso, però, quanto sta avvenendo in Cisgiordania conferma che Tel Aviv non intende terminare l'occupazione – tema, del resto, totalmente assente dai negoziati – e che lo Stato palestinese rimane un miraggio, oggi come mesi o anni fa.

L'arresto e l'uccisione di bambini, come l'undicenne colpito mentre giocava a calcio, i rastrellamenti continui e le provocazioni dei coloni a danno dei palestinesi che vivono sulla loro terra, indicano una sola, drammatica, direzione: l'annessione della Cisgiordania e l'occupazione totale della Striscia di Gaza.

Tutto ciò avviene con il tacito, o esplicito, benestare degli Stati Uniti di Donald Trump, che hanno più volte dichiarato di essere al fianco di Israele, estromettendo di fatto il popolo palestinese da ogni processo decisionale, non essendosi mai parlato di elezioni o di uno Stato durante questo cessate il fuoco.

Cosa farà adesso quella comunità internazionale tronfia, presente in massa solo per la photo opportunity o per ingenua convinzione, nel momento in cui Israele riprende con forza i bombardamenti e l'operazione militare? Penso anche al nostro governo, a Giorgia Meloni e Antonio Tajani, che accusavano i manifestanti di non volere la pace, mentre il loro silenzio, ovvero l'appoggio incondizionato a Trump e Netanyahu, ha contribuito unicamente a salire sul "carro del vincitore". Hanno firmato accordi per il gas e la ricostruzione, hanno festeggiato con le aziende pubbliche e private che faranno affari ma quel carro ha già perso una ruota, ne resta un'altra trainata da cavalli in estrema difficoltà.

L'altra ruota, quella dell'occupazione militare, sta per cedere. Ieri, il 53% dell'area concordata della Striscia di Gaza era già sotto il controllo israeliano. Domani potrà essere di più. A quel punto si tornerà a due settimane fa, a prima dell'accordo e, soprattutto, al genocidio senza sosta nella Striscia.

Come abbiamo sempre sostenuto, questo accordo non poneva fine a nulla. Finché non cesserà l'occupazione e finché non ci sarà un vero Stato di Palestina, tutto questo non potrà interrompersi. Purtroppo, e fa male dirlo, avevamo ragione.

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Il podcast daily di Valerio Nicolosi per Fanpage.it: ogni mattina alle 7, una finestra sul mondo per capire cosa davvero sta accadendo. Politica estera, conflitti internazionali, migrazioni, politica interna e tematiche sociali raccontate dal giornalista con chiarezza e approfondimento. Con la voce di esperti e reportage direttamente dal campo - Palestina, Ucraina, Mediterraneo, Africa, Stati Uniti, America Latina e molto altro - SCANNER porta le storie dove accadono, per offrirti ogni giorno un’informazione completa, immediata e dal vivo.

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