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Dopo gli eventi del 7 ottobre, una narrazione si è imposta sui principali giornali italiani: quella di Gaza come un incontrastato "feudo di Hamas", un luogo in cui il consenso popolare per l'organizzazione islamica palestinese era ai massimi storici dopo quasi due decenni di chiusura.
Tuttavia, chi ha conosciuto la Striscia di Gaza a più riprese nutre forti dubbi su questa interpretazione monolitica. La realtà sul campo era ben più sfaccettata, segnata da un forte dissenso e, soprattutto, da una gestione del potere profondamente divisa. Io l’ho potuta toccare con mano in diversi viaggi tra il 2014 e il 2020, soprattutto attraverso l’attività di docente nelle università, che mi consentiva un accesso privilegiato a pezzi di società palestinese.
L'Amministrazione Bifronte di Hamas
Il controllo di Hamas si è sempre articolato su due piani distinti: il primo è quello dell’ala politica: quella che in passato ha gestito l'amministrazione civile e, recentemente, ha condotto trattative che hanno portato alla firma dei 20 punti del piano di Trump.
Il secondo è l'ala militare, le Brigate Al-Qassam, ovvero il braccio armato che non solo esercita il controllo capillare e la repressione interna, ma che in questi giorni sta portando avanti una vera e propria resa dei conti nei confronti dei clan rivali e delle organizzazioni che hanno prosperato grazie al mercato nero e ai traffici illeciti.
In questi due anni, alcune di queste fazioni hanno apertamente gestito il mercato nero, gli aiuti umanitari e, in alcuni casi, hanno agito in chiave anti-Hamas, sostenendo direttamente Israele.
L'Economia dell'Assedio e il Mercato Nero
L'assedio imposto a Gaza per anni ha messo in ginocchio l'economia legale. Terre che un tempo davano da vivere a numerose persone, come quelle coltivate a fragole a Beit Lahya nel nord della Striscia—passata da 250 nel 2006 a soli 52 ettari nel 2014—sono quasi scomparse. La popolazione si è trovata costretta a vivere di pesca e agricoltura di sussistenza, ma soprattutto di aiuti umanitari e del mercato nero.
I Tunnel di Rafah: La Linfa Vitale e Illecita
Cruciale in questo sistema è stato il traffico attraverso i tunnel che collegavano Gaza con l'Egitto, in particolare nella zona di Rafah. Sebbene distrutti in passato—un'azione che ha portato allo sfollamento e alla demolizione di intere case sul lato egiziano—questi cunicoli sono stati per anni un vitale mercato alternativo agli aiuti ufficiali.
Proprio in questi giorni si è tornati a parlare di personaggi legati a questi traffici, come gli uomini di Abu Shabab, un criminale che era detenuto a Gaza e che, secondo le cronache, sarebbe stato liberato da Israele durante l'invasione della Striscia. Legato in passato anche all'ISIS, Abu Shabab era parte di una nota organizzazione criminale che gestiva il traffico di sigarette e droga attraverso i tunnel di Rafah. In questi giorni anche un’altra milizia si è formata, quella di Hossam Al Astal, legata a una storica famiglia di Khan Younis e che sta reclutando persone attraverso le foto di cibo e armi, tutto proveniente da Israele. Questa nuova milizia agisce nel Sud, proprio a est di Khan Younis dove c’è acqua e elettricità. Nella stessa zona, non distante da questo nuovo insediamento, ha trovato spazio la milizia di Abu Shabab, protetta dall’IDF.
Aiuti e Repressione: La Duplice Tattica del Consenso
Gli aiuti umanitari sono stati uno degli strumenti attraverso cui Hamas ha mantenuto una base di consenso importante, soprattutto nei campi profughi storici, divenuti ormai vere e proprie cittadine, dove la povertà è maggiore. Shejaiya, Jabalya, al-Shati e altri luoghi dove Hamas aveva un forte seguito ma anche un radicamento attraverso il welfare che gestiva direttamente. La distribuzione selettiva degli aiuti fungeva da leva per l'ala politica.
Il rovescio della medaglia è la repressione esercitata dalle Brigate Al-Qassam, un controllo capillare contro giornalisti, fazioni politiche rivali e, cruciale, i clan criminali. L'ideologia, in questo contesto, contava meno del commercio e dei traffici illegali.
La Resa dei Conti Interna
Oggi, mentre la Striscia si lecca ancora le ferite e Israele annuncia che da oggi entreranno meno aiuti umanitari del concordato perché non sono stati restituiti i corpi degli ostaggi morti, si consuma una resa dei conti interna. L'ala militare e quello che era il corpo di polizia di Hamas stanno reprimendo duramente i clan che, in questi ultimi due anni, hanno gestito il mercato nero e sostenuto Israele in chiave anti-Hamas. Dal loro punto di vista, è giunto il momento di pagare.
Il genocidio, dunque, raccontato come una guerra senza confine ad Hamas, oltre al drammatico bilancio di vittime civili e alla catastrofe umanitaria, sta paradossalmente rafforzando non solo l'estrema destra israeliana (pur isolando Israele a livello internazionale), ma anche l'ala più dura di Hamas.
La domanda resta: a cosa è servito tutto questo, se non a rafforzare, per assurdo, le ali più radicali di entrambi gli schieramenti?