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Il mondo di Trump: il diritto internazionale e gli accordi ad personam

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La giornata di ieri rimarrà alla storia come un momento cruciale, fondamentale, nel nuovo panorama geopolitico globale. Il viaggio di Donald Trump in Israele, contestuale alla liberazione degli ostaggi israeliani e la scarcerazione di circa 2000 prigionieri palestinesi, detenuti perlopiù illegalmente, è stato senza dubbio un evento carico di emotività e significato. Le immagini degli abbracci tra gli ex ostaggi e le loro famiglie, il ritorno a casa, sono state veicolate come simboli di un successo diplomatico, una "nuova alba" per il Medio Oriente, come l'ha definita lo stesso ex Presidente USA alla Knesset.

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Tuttavia, sotto la patina delle celebrazioni e degli abbracci tra i potenti che decidono sulla vita e la morte delle persone, la realtà di questo scambio mette in luce le profonde e asimmetrie del conflitto. La liberazione dei quasi 2000 prigionieri palestinesi, sebbene un momento di sollievo per le loro famiglie, solleva interrogativi amari sul futuro. Quanti di questi posti nelle carceri israeliane saranno presto riempiti? La storia recente, come i rastrellamenti con centinaia di nuovi arresti in Cisgiordania durante precedenti scambi, suggerisce un ciclo di detenzione senza fine. In un territorio sotto occupazione militare, dove vige la legge militare, l'assenza di un'accusa formale e il ricorso alla detenzione amministrativa prorogabile arbitrariamente, rendono la libertà dei palestinesi un bene precario, sempre subordinato agli interessi di sicurezza israeliani. Nelle ore precedenti alla liberazione dei palestinesi l’IDF ha distribuito dei volantini dove si vietavano feste per la scarcerazione, minacciando ritorsioni.

Ma la vera rilevanza della giornata di ieri va oltre lo scambio di prigionieri, segnando un pilastro fondamentale del nuovo ordine mondiale che Donald Trump intende plasmare a sua immagine e somiglianza. Un ordine non più ancorato al diritto internazionale e alle leggi emerse dalla Seconda Guerra Mondiale, ma basato su una logica transazionale di interessi personali di leader autocrati e accordi bilaterali, spesso a scapito dei popoli e senza il rispetto dei principi democratici.

Quella che è stata siglata non è una pace nel senso tradizionale, ma una versione rivisitata e ampliata degli Accordi di Abramo, un patto geopolitico incentrato su accordi commerciali, speculazione edilizia (come quella prefigurata a Gaza) e intese su armi, petrolio e ricerca militare. Un elemento chiave è stato l'apparente normalizzazione dei rapporti con la Siria, guidata dal leader di un gruppo che, fino a ieri, era un nemico giurato degli Stati Uniti, finanziato da potenze come l'Arabia Saudita che nel corso degli anni ha finanziato gruppi terroristici come ISIS e Al Qaeda.

Questo cambiamento radicale è possibile solo in un mondo dominato dalla post-verità, dove la coerenza è un disvalore e le posizioni politiche possono essere ribaltate senza timore di smentite o vergogna. La necessità di trattare con chi ha finanziato il terrorismo, in nome della stabilità e del business (dall'edilizia a Gaza al petrolio), diventa la nuova norma in questo contesto autocratico globale.

Il discorso di Trump alla Knesset è stato il manifesto di questa visione. L'elogio a Benjamin Netanyahu per l'uso delle armi fornite dagli Stati Uniti è apparso come la naturale apoteosi di un sistema in cui la forza militare e gli interessi nazionali prevalgono su ogni considerazione etica o legale. In un'aula dove due deputati, uno palestinese del 1948, quindi un cosidetto arabo-israeliano, e l’altro ebreo, sono stati allontanati per aver semplicemente chiesto il riconoscimento dello Stato di Palestina, il messaggio è stato inequivocabile: la Palestina è sparita.

Trump non ha mai menzionato la Palestina, nemmeno come entità geografica. I palestinesi sono assenti dalla negoziazione se non con la rappresentanza di quella che potremmo definire politicamente una salma ancora non del tutto fredda, Abu Mazen e l’ANP, con i palestinesi ridotti a un mero "errore nella storia" corretto dall'azione militare israeliana e da quelle armi “usate bene” da Netanyahu, come ha detto Trump ieri. Persino il piano di ricostruzione di Gaza – fino a poco tempo fa, un punto centrale dell'ipotetico piano di pace che prevedeva il disarmo di Hamas – è svanito dal suo discorso.

Con Hamas ancora in strada e a gestire la sicurezza con l’incarico di polizia per conto del nuovo mandatario coloniale, l'unica "pace" celebrata è quella tra alleati autocratici e interessati al business, un'illusione che rende la prospettiva di una pace vera, duratura e giusta per tutti i popoli della regione, ancora più lontana. La giornata di ieri è stata l'affermazione di un ordine basato sulla supremazia della forza e dell'interesse, un ordine che ha cancellato, almeno sulla carta, la questione palestinese.

Tutto questo qualche anno fa sarebbe sembrato distopico, una puntata di Black Mirror, oggi invece è realtà ed è ancor più pericolosa se viene normalizzata.

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Il podcast daily di Valerio Nicolosi per Fanpage.it: ogni mattina alle 7, una finestra sul mondo per capire cosa davvero sta accadendo. Politica estera, conflitti internazionali, migrazioni, politica interna e tematiche sociali raccontate dal giornalista con chiarezza e approfondimento. Con la voce di esperti e reportage direttamente dal campo - Palestina, Ucraina, Mediterraneo, Africa, Stati Uniti, America Latina e molto altro - SCANNER porta le storie dove accadono, per offrirti ogni giorno un’informazione completa, immediata e dal vivo.

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