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La diplomazia internazionale, spesso mascherata da negoziati di pace o aiuti umanitari, si muove su binari ben più concreti: quelli delle aziende e dei contratti. Non è un segreto che la guerra, e la successiva ricostruzione, sia un business per chi sta lontano dalle trincee. Lo dimostra la storia recente, dall'Iraq alla Libia, e lo conferma la corsa agli affari che ha come teatro la Striscia di Gaza.
Come già visto in Libia, dove i giacimenti petroliferi offshore sono storicamente gestiti anche da Eni e altre aziende italiane hanno ricostruito strade e infrastrutture che collegano Tripoli a Bengasi come "opere compensative" del colonialismo italiano, o in Iraq dopo l'invasione del 2003 voluta da Blair e Bush con la scusa delle armi di distruzioni di massa, l'Italia accodata al gruppo dei Paesi che entrarono in quella guerra in seconda battuta, dopo la risoluzione è pronta a giocare un ruolo di primo piano. I militari italiani uccisi a Nassiriya erano di stanza in un'area vicina al giacimento petrolifero della zona, quello che spettava all’Italia per aver sostenuto quella guerra.
Oggi, la situazione non è tanto diversa.
La Spartizione del Business: Ricostruzione e Gas
In un contesto diplomatico dove i paesi produttori di armi, costruttori e gestori di energia – dall'Italia alla Germania, dal Regno Unito alla Francia, fino ai paesi del Golfo e all'Azerbaigian (cruciale nel tema energetico) – si riuniscono, l'assenza delle parti in conflitto è eloquente. In Egitto infatti c’erano tutti, anche i Paesi appena citati ma mancavano le due parti che avrebbero dovuto firmare per davvero: Israele e Hamas.
La posta in gioco è la spartizione dei futuri interessi e del business.
1. Il Jackpot della Ricostruzione
Le prime stime ufficiali e ufficiose per la ricostruzione della Striscia di Gaza si aggirano tra i 50 e gli 80 miliardi di dollari. Si parla di un investimento potenziale di circa 46.000 euro per ogni palestinese di Gaza.
Per l'Italia, l'obiettivo dichiarato è "essere protagonisti" della ricostruzione. Le aziende italiane del settore costruzioni e infrastrutture che hanno messo gli occhi sui futuri appalti, spesso finanziati tramite bandi della Banca Mondiale, dell'ONU o della nascente "Eu Gaza Facility" da 1,6 miliardi di euro, includono nomi di spicco:
Webuild (ex Salini Impregilo), leader globale nelle costruzioni di infrastrutture.Buzzi e Cementir, giganti del cemento e dei materiali da costruzione.Saipem, specializzata in infrastrutture energetiche.Ansaldo Energia e Maire, attive nel settore degli impianti e dell'ingegneria energetica.
Queste aziende sono pronte a ripristinare le reti idriche, elettriche, sanitarie e il tessuto residenziale e produttivo spazzato via. Che di per se non è un male, se non fosse che questa guerra e il silenzio italiano sul genocidio siano stati tutti finalizzati a questo e al servilismo nei confronti di Trump.
2. La Corsa al "Gaza Marine"
Il secondo e forse più strategico affare è quello energetico. Il giacimento di gas naturale al largo della Striscia, noto come "Gaza Marine" e le aree limitrofe, è un tesoro conteso. Sebbene le acque ricadano nelle aree di competenza palestinese, lo Stato di Israele ha concesso unilateralmente e in violazione al diritto internazionale, licenze per l'esplorazione e il trivellamento a diverse compagnie internazionali.
Il gigante energetico italiano Eni S.p.A. è al centro di queste concessioni. Ha firmato accordi per esplorare un'area a ovest del giacimento insieme alla britannica Dana Petroleum Limited e all'israeliana Ratio Energies.
Un secondo consorzio, anch'esso composto da major internazionali, comprende:
BP (British Petroleum) (Regno Unito)Socar (Azerbaigian)NewMed Energy (Israele)
La presenza di Eni è considerata uno dei motivi chiave della forte partecipazione italiana agli sforzi diplomatici.
L'Industria della Guerra: Il Ruolo di Leonardo
Prima che i costruttori e le trivelle possano entrare in azione, l'affare è nelle mani di chi produce armi. In Italia, questo ruolo è ricoperto da Leonardo, un "piccolo gioiellino" del Governo italiano nel settore della difesa e aerospazio.
Leonardo non è solo un'azienda che opera secondo le restrittive leggi italiane, ma agisce anche all'estero, spesso con regole diverse. L'azienda ha accordi consolidati con Israele, arrivando a produrre droni in joint venture.
Attraverso la sua fondazione Med.Or., presieduta dall'ex Ministro dell'Interno Marco Minniti, lo stesso del memorandum d’intesa tra Italia e Libia, Leonardo agisce di fatto come una vera e propria "Farnesina ombra", un attore cruciale nella politica estera e di sicurezza nazionale.
La guerra, dunque, è un ciclo economico: le aziende produttrici di armi vedono le loro quotazioni schizzare in borsa alle prime bombe, seguite poi dalla grande ondata di business per le aziende di costruzioni e quelle energetiche. Quelli che guadagnano, come sempre, sono coloro che fabbricano le bombe o che ricostruiscono dopo che sono state sganciate.