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Può sembrare un paradosso amaro, ma è la Libia – un paese frammentato, gestito da milizie e guidato da un premier ad interim – a dare una lezione di rispetto del diritto internazionale all'Italia, la nazione che a Roma diede i natali alla Corte penale internazionale (CPI).
L'arresto del generale Osama Almasri a Tripoli, su ordine del governo di Dbeibah, non è un semplice atto di giustizia locale; è un monito severo. Almasri, capo della famigerata "Polizia giudiziaria libica," era ricercato dalla CPI per crimini contro l'umanità: omicidi, torture e violenze, anche su minori, nei lager per migranti. Quei centri di detenzione che, ironia della sorte, sono finanziati e mantenuti in funzione grazie ai finanziamenti italiani previsti dal Memorandum Italia-Libia.
Il "Falcongate"
Ciò che rende questa vicenda uno smacco bruciante per Roma è il precedente del "Falcongate". Almasri fu arrestato in Italia su segnalazione della polizia tedesca, in ottemperanza al mandato della CPI. Ma cosa accadde? Invece di essere consegnato all'Aja, fu inspiegabilmente e con un frettoloso volo di Stato (un Falcon) riportato a Tripoli, dove fu accolto a braccia aperte dai suoi. Un atto che, di fatto, ha eluso un mandato internazionale, mettendo gli interessi di una ragione di Stato opaca al di sopra della giustizia per le vittime.
Ora, mentre la Libia, che ha da poco siglato un accordo di cooperazione con la CPI, sta decimando la milizia di Almasri e si prepara, tramite Dbeibah, ad avviarne l'estradizione all'Aja, l'Italia si ritrova in una posizione insostenibile. La Germania, arrestando il braccio destro del generale, si prepara a fare altrettanto. La democrazia occidentale batte in ritirata di fronte all'autorità di un governo de facto.
Il Costo Morale e Finanziario dell'Ipocrisia
Questo inciampo non è solo diplomatico, è morale. Almasri e i suoi commettevano orrori – violenze e torture – in quei centri che noi, con il Memorandum Italia-Libia rinnovato nel silenzio istituzionale, continuiamo a finanziare. È il prezzo per esternalizzare la rotta migratoria del Mediterraneo Centrale, un costo che non è solo finanziario, ma etico.
Si paga per non vedere, per non accogliere, per non gestire. E il paradosso economico è clamoroso: spendiamo molti più soldi per sostenere questo sistema di esternalizzazione che per affrontare la vera sfida: premere sull'Europa per una politica migratoria comunitaria che distribuisca in modo equo, in base a PIL e popolazione, le poche decine di migliaia di arrivi annuali tra 27 Paesi e 452 milioni di abitanti.
Il ministro degli Esteri ha ragione, forse, quando afferma che il diritto internazionale "vale fino a un certo punto". Ma quel punto, nel caso Al-Masri, sembra essere la copertura di crimini atroci in nome di un accordo sulla gestione dei flussi migratori.
Le Implicazioni per Roma
L'arresto di Almasri e la sua potenziale estradizione all'Aja aprono scenari inquietanti per l'Italia. Poiché Almasri operava nell'ambito di accordi bilaterali firmati per la gestione dei migranti, non è un'ipotesi remota che i responsabili italiani che hanno firmato e rinnovato quel Memorandum – da Gentiloni e Minniti ai ministri successivi – possano essere chiamati a rispondere per corresponsabilità o collusione con i crimini commessi da Almasri sul "nostro mandato."
È tempo che l'Italia abbandoni la logica della "ragione di Stato" che tutela i torturatori e scelga la trasparenza e la giustizia. In caso contrario, lo schiaffo morale ricevuto da Tripoli sarà solo l'inizio di una lunga e meritata resa dei conti.