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Se vi chiedessi quanti di voi pensano che dobbiamo avere tutti gli stessi diritti e le stesse opportunità, come rispondereste? Se direste di sì, allora siete tutti femministi. Perché il femminismo è questo, è credere che tutti, indipendentemente dal proprio genere, debbano avere gli stessi diritti, le stesse opportunità, debbano essere trattati con lo stesso rispetto e la stessa dignità.Però sono sicura che non tutte le persone che hanno risposto sì alla mia domanda sarebbero contente di sentirsi definire femministe: perché quello che accade oggi, che è paradossale, è che il movimento femminista viene visto con una certa dose di diffidenza e di fastidio da alcuni.
E sia chiaro: non mi aspetto che un movimento che richiede un cambiamento radicale sia comodo per tutti. Però dobbiamo capire da dove arriva quel senso di avversione, perché spesso è ciò che sorregge un’illusione che invece deve assolutamente essere smascherata: l’illusione di aver raggiunto la parità di genere. Spoiler? Ci siamo ancora lontani.
Perché dovremmo essere tutti femministi
Il femminismo è per tutti, diceva bell hooks. Tutti dovremmo essere femministi, tutti dovremmo volere pari diritti e pari opportunità per le persone, indipendentemente dal loro genere, così come indipendentemente dal colore della loro pelle, dal loro orientamento sessuale, dalla loro religione, dalle loro convinzioni politiche ecc.
Il femminismo è questo: è quella teoria politica, sociale, culturale ed economica che vuole l’uguaglianza tra i sessi in termini di diritti e di parità. Come è possibile allora, che definirsi femminista nel 2025 possa essere considerato da alcuni controverso? Cosa c’è di controverso nell’uguaglianza?
Se c’è ancora chi storce il naso alla parola femminista, vuol dire che c’è resistenza verso ciò che questo concetto rappresenta, c’è resistenza al cambiamento. E questa è esattamente la prova del nove che ci dice che abbiamo ancora tanto lavoro da fare.
C’è chi nasconde questo suo fastidio dicendo che il femminismo non serve più, che sia una cosa del passato, perché alla fine – almeno in Italia, in Europa – le donne hanno gli stessi diritti degli uomini. E, sulla carta, anche le stesse opportunità. Abbiamo persino la presidente del Consiglio che è una donna, di che dobbiamo lamentarci ancora?
Le conquiste delle battaglie di genere
Ecco, prima di lamentarci ancora – perché sì, ce n’è ancora un estremo bisogno – fermiamoci un attimo a guardare il passato. Un passato nemmeno troppo lontano. E chiediamoci quanto abbia influito il femminismo in ciò che siamo oggi.
Prima che le femministe dessero il via alla lotta e alle battaglie per la parità le donne non potevano votare, non potevano aprire un conto in banca, non potevano decidere sui loro corpi, quelle che studiavano e lavoravano erano pochissime, figuriamoci quelle che potevano pensare alla politica. Questo non accadeva secoli fa, non è un passato così lontano e in molte parti del pianeta è ancora realtà. Perché un conto è essere una donna bianca, europea, con certe possibilità economiche e con un background culturale di un certo tipo; un altro è essere oggi una donna in Afghanistan o in Sudan, ma anche nel cuore dell’Occidente però essere nera, in condizioni di fragilità economica, con un livello di educazione più basso.
Per tutte, c’è ancora tanto lavoro da fare. Ma nel farlo non dobbiamo pensare che la donna occidentale sia l’obiettivo, il punto di arrivo, il riferimento.
L'illusione della parità
In Italia, in Europa, in Occidente, noi viviamo in una condizione precisa: quella dell’illusione della parità di genere. E per smantellare questa illusione, per far cadere tutte le maschere, noi oggi abbiamo ancora bisogno del femminismo.
Se non ne avessimo più bisogno, in Italia, non avremmo avuto oltre 70 femminicidi da inizio anno. Non avremmo donne che in media guadagnano il 29% in meno degli uomini. Non avremmo quasi un milione di disoccupate e non avremmo circa una donna su cinque costretta ad abbandonare il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Non avremmo donne costrette ad andare in altre Regioni per interrompere una gravidanza. Non avremmo chat di Telegram o gruppi social con migliaia di uomini che si scambiano foto intime in modo non consensuale o che stuprano virtualmente sconosciute, amiche, mogli, figlie. Non avremmo una ministra per le Pari opportunità che dice che “ogni donna uccisa è troppo, ma ogni donna che non viene uccisa è un fatto positivo”.
In Italia, nel 2025, abbiamo ancora bisogno del femminismo perché c’è ancora chi pensa che sia normale – che sia naturale – che tutto il lavoro di cura, della casa e della famiglia, ricada quasi interamente sulle spalle delle donne. Ne abbiamo ancora bisogno perché c’è chi pensa che il catcalling siano solo complimenti, perché quando una donna viene stuprata ci si chiede ancora come fosse vestita o se avesse bevuto, perché chi denuncia di subire violenza domestica troppo spesso si sente ancora dire di dormirci su, di tornare a casa e fare pace con il partner.
Il patriarcato esiste, anche quando non lo vediamo
Eccola qua, l’illusione della parità di genere. Ci sono sovrastrutture sociali e culturali talmente normalizzate, talmente interiorizzate, che non le vediamo nemmeno. Che ci fanno dire che, alla fine, uomini e donne hanno gli stessi diritti. Per cui, perché continuiamo a rompere le scatole?
Quella femminista è stata una rivoluzione incompiuta. Nessuno nega che si siano fatti moltissimi passi avanti, che negli ultimi anni ci siano state evoluzioni importantissime. Ma la lotta non si è conclusa solo perché oggi non ci sono discriminazioni sulla carta, anzi ci sono delle donne in posizioni di potere, ci sono donne che guadagnano bene e che fanno carriera, donne che prendono decisioni per la collettività.
Prendiamo l’esempio per eccellenza. La presidente del Consiglio oggi, per la prima volta nella storia repubblicana italiana, è una donna. Al di là delle convinzioni personali e politiche di Giorgia Meloni quando si tratta di parità di genere – non è questo il punto adesso – avere qualche donna ai vertici è sicuramente importante, è un esempio che la mia generazione crescendo non ha avuto, e che invece le bambine di oggi avranno: ma non cambia assolutamente nulla partecipare (sempre in parte minoritaria, chiaramente) a quel sistema di potere maschile, se poi non lo si stravolge, ma lo si accetta così com’è.
Non basta essere incluse nel sistema
Perché anche con qualche donna tra le sue fila, pure nei ruoli apicali, quel sistema resterà basato sull’intrinseca, spesso anche inconscia, oppressione di un genere. Per una donna presidente del Consiglio ce ne sono migliaia costrette ad accettare lavori part time e sottopagati per potersi occupare dei figli; migliaia che verranno educate e spinte verso dei settori meno redditizi, perché gli altri continueranno a essere considerati una prerogativa maschile; migliaia che vedranno gli uomini arrogarsi il diritto di decidere sui loro corpi; migliaia che si sentiranno insicure a camminare da sole la sera; migliaia che subiranno molestie sui mezzi pubblici; migliaia che verranno seguite da sconosciuti per strada.
Il sessismo quotidiano è fatto di comportamenti talmente normalizzati che spesso non ci si rende nemmeno conto di quanto sia un problema. Ci lascia semplicemente con quel senso di frustrazione, di rabbia, di umiliazione, di impotenza.
Alcuni comportamenti discriminatori sono anche difficili da misurare, da mettere nero su bianco con dei dati. E questo li spaccia per invisibili. Che però non vuol dire inesistenti. E basterebbe fare qualche domanda alle donne intorno a voi per rendervi conto di quanto l’oppressione sia diffusa. Il patriarcato gioca esattamente su questi meccanismi, per mantenersi.
La rivoluzione femminista è rimasta inconcussa
Perché la rivoluzione femminista si compia non basta partecipare al sistema, se quel sistema poi continua a essere patriarcale e oppressivo. Non basta pretendere un posto al tavolo, bisogna stravolgere quel tavolo. La liberazione dal patriarcato deve essere collettiva, strutturale, culturale. E deve essere ora.
Il 2025 è stato un anno complesso. Ci sono stati dei casi di femminicidio che hanno coinvolto vittime e carnefici giovanissimi, che mostrano nel modo più drammatico possibile tutta l’urgenza di inserire l’educazione sessuale e affettiva obbligatoria a scuola. C’è stato il caso dei gruppi online in cui venivano scambiate foto di donne commentate in modo violento, che ci ha messo di fronte alla pervasività della violenza di genere digitale. Ci sono stati tanti momenti di riflessione su come poter cambiare davvero le cose.
Il primo su tutti, per me, è renderci conto che di femminismo c’è ancora un estremo bisogno.
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