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Quello avvenuto nella notte tra sabato e domenica è stato il più violento attacco sull’Ucraina dall’inizio della guerra. I russi hanno lanciato 810 droni e 13 missili, hanno colpito anche il palazzo del governo e diversi edifici residenziali nella capitale ucraina. Almeno quattro persone sono rimaste uccise tra cui una giovane mamma e il suo bambino, appena neonato. La contraerea ucraina è riuscita a intercettare ed abbattere circa 750 droni e 9 missili, ma ci sono due elementi da considerare. Il primo è anche i detriti e i rottami che cadono al suolo possono provocare parecchi danni, soprattutto se sono così tanti. E il secondo, è proprio sulla quantità di mine e bombe che vengono lanciate una dietro l’altra, in un lasso di tempo brevissimo. Il sistema di difesa, i radar, tutto va in confusione. E non si riesce più a intercettare ogni singolo drone o missile.
Non è passato nemmeno un mese dall’incontro in Alaska tra Trump e Putin. Alla fine di quel faccia a faccia il presidente statunitense aveva detto di essere al lavoro per un vertice con Zelensky, aveva fatto intendere di aver trovato le basi per un accordo, sembrava esserci una possibilità concreta. Ma il susseguirsi degli eventi sembra dare più ragione a chi avvertiva che Putin lo stesse semplicemente prendendo in giro. Come faceva, nemmeno troppo tra le righe, Macron.
Tutti i leader occidentali hanno sostenuto gli sforzi di Trump, si sono compattati attorno al presidente statunitense perché è sempre stato l’unico interlocutore di Putin. Però, chi più o chi meno, hanno chiesto cautela. Perché di Putin non ci si può fidare. Perché la sua parola viene prontamente infranta e perché, al di là di quello che dice, le sue intenzioni sono chiare: non vuole mettere fine alla guerra.
Questo è sempre stato abbastanza esplicito, al di là delle strette di mano con Trump e delle accuse a Zelensky. Che, dopo i pesanti attacchi del fine settimana, ha chiamato proprio Macron, per farsi ribadire il sostegno europeo. L’Eliseo da parte sua ha condannato gli attacchi, definendoli una nuova escalation che dimostra – se ce ne fosse ancora bisogno – come la Russia non ha alcuna intenzione di arrivare alla pace. Pure il premier britannico Keir Starmer ha detto qualcosa di simile, cioè che gli ultimi attacchi sono la prova di come Mosca non sia interessata alla pace.
Idem Giorgia Meloni, che è stata molto dura. Le sue parole sono state: “La Russia sembra più interessata ad aumentare la ferocia dei suoi attacchi contro l’Ucraina che a un percorso negoziale per la conclusione delle ostilità. L’Italia, insieme ai partner occidentali continuerà a fare la sua parte perché le ragioni di una pace giusta e duratura possano prevalere su quelle dell’aggressione indiscriminata”. In piena sintonia anche Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea, che ha accusato il Cremlino di “deridere la democrazia, calpestare il diritto internazionale e uccidere impunemente”.
Il messaggio è sempre lo stesso. Da un lato all’Ucraina, per confermarle il sostegno e riconoscere che è lei l’aggredito, la parte da tutelare. Ma dall’altro anche un messaggio a Trump, per fargli capire che Putin si è sempre preso gioco di lui, che non ha mai pensato veramente di negoziare. Era tutto un bluff, il presidente russo lo ha manipolato. Quella promessa di cui si era parlato così tanto dopo Ferragosto, di un bilaterale Putin-Zelensky entro la metà di settembre, ora appare per quello che è, completamente vuota. E forse, sdoganare di nuovo Putin come interlocutore, riammetterlo nel perimetro della diplomazia internazionale, è stato un errore.
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