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Si apre una settimana che potrebbe essere “decisiva” per la diplomazia. O almeno, questo è quello che pensa Kaja Kallas, l’Alta rappresentante per la politica estera dell’Unione europea. Ma cosa sta succedendo? Bruxelles cerca di non rimanere ai margini, mentre attorno a lei le cose si muovono. Steve Witkoff, l’inviato speciale del presidente Trump oggi è volato a Mosca, dove domani incontrerà direttamente il presidente Putin. Nel weekend aveva ricevuto in Florida, nel suo club privato a Miami, la delegazione ucraina per discutere del piano di pace.
Un piano di pace su cui c’erano state molte polemiche, con addirittura l’accusa (rivolta agli Stati Uniti) di aver semplicemente tradotto in inglese un documento scritto direttamente dai russi. Il fine settimana precedente, durante un vertice a Ginevra, il piano era stato limato – passando da 28 a 19 punti – ma i nodi da sciogliere sono sempre gli stessi: la questione dei territori occupati – la Crimea e il Donbass, che secondo Mosca l’Ucraina dovrebbe cedere alla Russia – e le garanzie di sicurezza per Kiev. A maggior ragione visto che il Cremlino, tra le sue condizioni, ha iniziato a porre anche il ridimensionamento dell’esercito ucraino, che dovrebbe dimezzare i suoi militari.
L'incontro a Miami tra la delegazione USA e quella ucraina
Nel fine settimana, a Shell Bay (questo il nome del club) si è tornati a discutere di questi punti. Secondo le delegazioni sarebbero stati fatti dei passi avanti, dei progressi, però il segretario di Stato USA Marco Rubio ha ammesso che c’è ancora molto lavoro da fare. Insieme a lui, come parte della delegazione statunitense, c’era chiaramente anche Steve Witkoff, l’inviato speciale, e Jared Kushner, il genero di Trump e l’uomo dietro l’accordo per il “cessate il fuoco” a Gaza. Le virgolette sono d’obbligo, perché nella Striscia le IDF continuano a sparare e i civili palestinesi continuano a essere uccisi.
La delegazione ucraina ha dovuto subire qualche modifica a causa del gigantesco scandalo per corruzione che investito il braccio destro di Zelensky, il suo numero due: Andrij Yermak, che fino a qualche giorno fa era a capo dell’ufficio presidenziale e aveva guidato i colloqui di pace. Al suo posto, Zelensky ha nominato Rustem Umerov, segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa ed ex ministro della Difesa. Insieme a lui anche l’ambasciatrice ucraina, il primo viceministro e il capo dell’intelligence.
L'inchiesta per corruzione e i nodi da sciogliere
In Florida si è tornati a discutere dei territori occupati, così come delle garanzie di sicurezza che Kiev reclama, in modo che non possa mai più essere un’invasione da parte della Russia. Ma si sarebbe anche discussa l’ipotesi di andare a elezioni in Ucraina entro cento giorni dalla firma di un accordo per il cessate il fuoco. Un’opzione che chiaramente piace molto a Putin e un po’ meno a Zelensky, che in queste settimane si trova appunto a fronteggiare il più grave scandalo di corruzione del suo Paese, sulla questione dei contratti e gli appalti energetici, che ha travolto anche alcuni dei suoi uomini più vicini e fedeli.
Mentre gli europei hanno ribadito il loro sostegno a Kiev e a Zelensky, al netto di questo caso, Trump ha detto che le indagini non hanno aiutato i negoziati, pur rimanendo ottimista sulle possibilità di trovare a breve un accordo. Su questo punto è intervenuto oggi anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in un’intervista al Corriere della Sera con Fiorenza Sarzanini, che gli chiedeva che il fatto di avere alcuni dei suoi uomini sotto inchiesta non indebolisse il presidente ucraino nei negoziati.
La risposta: “L’inchiesta è interna, quindi c’è un’Ucraina che ha grandissimi spazi di corruzione e che ha gli anticorpi per colpirla. Poi di fronte a questa inchiesta c’è chi ha reagito scappando, andandosene via come è accaduto con i responsabili delle forniture di energia. E c’è chi come il consigliere Yermak ha agito come agisce un uomo e ha detto: ok, mi dimetto immediatamente, sono innocente, aspetto la verità, ma mentre aspetto la verità vado a combattere al fronte come un soldato. Ecco, c’è modo e modo di reagire. Questo è stato il modo giusto e ha dato più forza a Zelensky”.
Inchiesta o non inchiesta, i negoziati proseguono. E mentre gli inviati della Casa Bianca volano a Mosca, per fare il punto con Putin, Zelensky va a Parigi, dal presidente francese Macron.
L'Europa è la grande assente al tavolo
L’Europa, anche questa volta, è la grande assente nel panorama delle trattative. Oggi i ministri della Difesa europei si sono riuniti a Bruxelles, insieme a quello ucraino, ma la verità è che ai tavoli dove vengono prese le decisioni loro non ci sono. L’Alta rappresentante europea, Kallas, parlando con i giornalisti a Bruxelles stamattina ha detto che è chiaro ormai che la Russia non vuole la pace, per cui è importante rendere l’Ucraina il più forte possibile, in modo che si possa difendere. Ha anche detto di non essere stata informata sui risultati raggiunti nel weekend, ma di aspettarsi aggiornamenti appunto dal ministro ucraino lì presente.
E già questo è un elemento. Non sono gli Stati Uniti ad aggiornare gli europei, non è Washington a raccontare agli alleati gli ultimi sviluppi. Lo fanno direttamente gli ucraini, probabilmente cercando qualche garanzia in più di quanto gli USA non siano disposti a dare. Ma ancora una volta emerge tutta la marginalità dell’Europa, incapace di incidere, di far valere il diritto internazionale. Tutt’altro, gli europei si ritrovano a dover discutere di un piano di pace in cui il diritto è interpretabile, dove gli interessi economici – in questo caso per le materie prime – possono piegare chi fa da mediatore, dove non importa fino in fondo chi sia l’aggressore e chi l’aggredito, ma che si ponga fine alla guerra in modo da poter tornare ad arricchirsi.
In questo senso è stato particolarmente azzeccato il titolo del Wall Street Journal di qualche giorno fa: Make money, not war. Trump’s real plan for peace in Ukraine. Una rivisitazione dello slogan “fate l’amore, non la guerra”, che diventa “fate i soldi, non la guerra”.
Bruxelles può continuare a mettere sanzioni a Mosca, provando a strangolare l’economia che sostiene la guerra di aggressione, però ormai siamo quasi al ventesimo pacchetto e la Russia non si ferma. Anzi. Nel budget del Cremlino per il 2026 ci sono ben 170 miliardi di dollari da destinare al comparto militare: stiamo parlando di circa il 30% del bilancio federale.
Cavo Dragone e un "attacco preventivo" contro la Russia
Oggi i ministri europei hanno discusso del sostegno a Kiev e molti hanno sostenuto l’idea di usare gli asset russi congelati per elargire un nuovo prestito all’Ucraina. Nei prossimi giorni, ha detto una portavoce della Commissione, arriverà una proposta. Nel frattempo si è anche discusso di come finanziare il proprio settore della Difesa, il proprio riarmo. Insomma, quella di oggi è stata una giornata movimentata. Non è detto che questi porteranno a qualcosa, in termini di passi avanti verso il cessate il fuoco e la pace. Anche perché oggi non ci sono stati solo incontri e negoziati. Hanno continuato a cadere i missili. Hanno continuato ad aumentare i morti.
E in tutto questo, un ultimo elemento. Il capo del Comitato militare della Nato, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha rilasciato un’intervista al Financial Times in cui ha detto che l’Alleanza Atlantica sta valutando di essere “più aggressiva” nella risposta agli attacchi ibridi da parte della Russia, quindi attacchi informatici, sabotaggi e violazioni dello spazio aereo. In questo senso, la Nato starebbe valutando anche un “attacco preventivo” contro la Russia, cioè appunto un’azione più aggressiva e preventiva, invece di una reazione. Una cosa che potrebbe essere comunque considerata un’azione difensiva, ma che chiaramente “va oltre il nostro solito modo di agire e comportarci”. Ovviamente, la reazione russa non è stata tranquilla. Le parole del la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova sono state: "Riteniamo che la dichiarazione di Giuseppe Cavo Dragone sui potenziali attacchi preventivi contro la Russia sia un passo estremamente irresponsabile, che dimostra la volontà dell'alleanza di continuare a muoversi verso un'escalation. Consideriamo la dichiarazione come un tentativo deliberato di minare gli sforzi volti a trovare una via d'uscita alla crisi ucraina”.
Insomma, potremmo essere in una settimana decisiva per la diplomazia. Ma potremmo anche arrivare alla domenica peggio di come siamo arrivati a questo lunedì. Del resto, pur essendo entrati nel vivo dei negoziati, a novembre la Russia ha compiuto la più grande avanzata in Ucraina in un anno. Secondo l'analisi dell'Afp dei dati forniti dall'Istituto americano per lo studio della guerra (ISW), che collabora con il Critical Threats Project (CTP), solo a novembre la Russia ha conquistato 701 chilometri quadrati, la seconda avanzata più importante dall’inverno del 2024. bn
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