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Ci sono moltissimi leader mondiali alla corte di Xi Jinping in questi giorni. Leader di una parte di mondo, si intende, altra rispetto all’Occidente, rispetto ai Paesi dell’Atlantico che forse faticano ancora a rendersi conto di quanto bilanciamenti e contrappesi globali siano cambiati negli ultimi anni. C’erano i capi di Stato e di governo di Iran, Turchia, Russia, India e di tanti altri Paesi euroasiatici. Il presidente cinese, aprendo i lavori, ha lanciato un chiaro messaggio. Ha detto che l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai – e qui lo cito testualmente – “sta assumendo sempre maggiori responsabilità per salvaguardare la pace e la stabilità” e per “promuovere lo sviluppo di vari Paesi in un mondo di crescenti incertezze e cambiamenti accelerati”. L’obiettivo di questo summit è altrettanto chiaro: rafforzare l’unione tra le forze del Sud globale.
In passato più volte sia la Cina che la Russia hanno presentato l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai come l’alternativa alla Nato, all’Alleanza Atlantica. Quindi con un valore anche militare e geopolitico. È il primo vertice di questa organizzazione che si tiene da quando Trump è tornato alla Casa Bianca e anche per questo ha un valore simbolico fondamentale per i due Paesi: Pechino e Mosca hanno potuto ribadire la solidità della loro alleanza, il fatto di essere uno dalla parte dell’altro. Sia che si parli di conflitto in Ucraina, che di dazi e guerra commerciale.
E non sono da soli. Un elemento chiave, per interpretare il vertice, lo dobbiamo cercare nella figura del premier indiano, Narendra Modi. Modi, che è anche un grande alleato personale di Giorgia Meloni, per anni è stato fondamentale nella strategia statunitense di contenimento dell’influenza cinese nella regione. E per questo probabilmente Trump non pensava che ci sarebbero stati problemi, quando gli ha intimato di smetterla di comprare il petrolio russo, sostenendo così indirettamente la guerra di Putin in Ucraina.
Però Putin vende il suo petrolio a prezzi molto convenienti ad alcuni Paesi. E l’India non ha intenzione di rinunciarci solo perché lo chiede Trump. A maggior ragione visto che il partner statunitense gli ha anche imposto dei dazi salatissimi. Lo abbiamo visto in questo vertice: invece che accettare il diktat di Washington, Modi ha letteralmente preso Putin per mano e insieme si sono incamminati in direzione di Xi Jinping. E il presidente cinese non ha avuto altro che buone parole per Modi. Ha detto che la scelta giusta è quella di essere alleati, per Cina e India, non più rivali.
Modi e Xi non si incontravano da circa sette anni. La presenza del premier indiano al vertice è il segnale inequivocabile di un ravvicinamento tra Pechino e Nuova Dehli, un ravvicinamento spinto proprio dalle frizioni con gli Stati Uniti. Accogliendolo Xi Jinping ha detto a Modi, vi leggo le sue parole: “Il mondo oggi è attraversato da trasformazioni che accadono una volta ogni secolo. La situazione internazionale è al tempo stesso fluida e caotica. Ed è la scelta giusta per entrambe le parti essere amichevoli e avere buoni rapporti di vicinato, essere partner che favoriscono il successo reciproco e il far danzare insieme il drago e l'elefante". Un riferimento questo, ai simboli delle due nazioni.
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