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Il nuovo report di Francesca Albanese comincia così: “Il genocidio che continua a essere in atto a Gaza è un crimine collettivo, perpetrato con la complicità di influenti Paesi terzi, che hanno permesso la lunga e sistematica violazione del diritto internazionale da parte di Israele”.
Dopo il report sull’economia del genocidio, sulla partecipazione del settore privato, con questo nuovo report, pubblicato lo scorso 20 ottobre, Albanese torna a mettere in fila tutti gli elementi che hanno permesso e continuano a permettere e sostenere il genocidio del popolo palestinese. In questo caso si parla della complicità dei Paesi terzi, soprattutto quelli occidentali, che hanno continuato a dare supporto a Israele, nonostante i crimini e le violazioni del diritto internazionale. Supporto in varie forme, sotto tanti punti di vista: quello diplomatico, militare, umanitario e, ancora una volta, economico.
Cosa dice il nuovo report di Francesca Albanese su Gaza
Albanese lo dice chiaramente: senza la partecipazione, l’assistenza e il supporto di Stati terzi, l’occupazione dei territori palestinesi – diventata poi un genocidio su larga scala – non sarebbe stata possibile. L’impunità israeliana si origina da una precisa volontà, della comunità internazionale, di non chiamare il governo di Netanyahu, così come quelli che lo hanno preceduto, a rispondere delle sue azioni. E proprio perché non ha mai dovuto confrontarsi con le sue responsabilità, Israele ha potuto portare avanti prima il suo regime di apartheid coloniale e poi, dal 2023, una guerra genocidiaria.
In questo contesto, quindi, è importante contestualizzare quello che è avvenuto negli ultimi due anni e capire che il genocidio del popolo palestinese è un crimine che è stato permesso a livello internazionale. Soprattutto i Paesi occidentali – si legge nel report – hanno normalizzato la campagna genocidaria, fino a legittimarla e poi facilitarla.
La normalizzazione del genocidio
Questa normalizzazione è stata possibile perché fin da subito il mondo occidentale ha avallato la retorica israeliana per cui a Gaza sarebbe andata in scena una battaglia della civiltà contro la barbarie – quella di Hamas – in cui i civili palestinesi sono stati usati come scudi umani e quindi da considerare come vittime collaterali. Questa narrativa ha contribuito a disumanizzare sempre più il popolo palestinese, arrivando a rendere la comunità internazionale completamente (o quasi) assuefatta di fronte a un genocidio in diretta.
Nel report si evidenziano quattro aspetti principali che, intersecandosi, hanno supportato il genocidio in questi anni: quello diplomatico, quello militare, quello umanitario e poi, ancora, quello economico. In ognuno di questi ambiti diversi Paesi terzi, tra cui i più influenti del mondo occidentale, hanno o fallito nel prendere misure di contrasto, oppure hanno proprio avallato e partecipato all’azione illegale di Israele.
La diplomazia che non ha fermato Israele
Ad esempio, per quanto riguarda l’azione diplomatica e politica. Subito dopo il 7 ottobre, quando Israele ha assediato militarmente Gaza, tutti i principali governi occidentali hanno subito sottolineato il suo diritto alla difesa, secondo l’articolo 51 delle Nazioni Unite. Ma non hanno tenuto conto allo stesso modo di tutta la normativa internazionale che tutela ad esempio i civili: tutt’altro, anche in questo caso hanno riproposto la narrativa israeliana che non differenziata i terroristi di Hamas dai civili, che al massimo venivano descritto come un legittimo danno collaterale. Mentre si continuava a sostenere il diritto di Israele a difendersi, non una parola è stata detta sul illegittimità di quella che, fin da subito, era apparsa chiaramente come una punizione collettiva.
E anche con il passare dei mesi, quando alcuni (pochissimi) Paesi non occidentali hanno iniziato a rivolgersi ai tribunali internazionali per cercare giustizia e per fare pressione sul governo israeliano, il mondo occidentale si è messo di traverso. Quando il Sudafrica ha denunciato Israele per genocidio alla Corte internazionale di giustizia, la maggior parte dei Paesi occidentali ha continuato a negare che si potesse trattare di quel crimine. E ancora, quando invece la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d’arresto nei confronti di Netanyahu per crimini di guerra, nessun Paese europeo lo ha attuato, quando ad esempio il premier israeliano è entrato nello spazio aereo dell’Ue. Non solo, gli Stati Uniti addirittura si sono messi a sanzionare la Corte.
Insomma, Israele è riuscito a evitare di dover rispondere delle sue azioni davanti a qualsiasi corte o ente giuridico internazionale. E non solo, ha normalizzato la sua presenza in ogni altro ambito di consesso internazionale, da quelli sportivi a quelli artistici e culturali. Nonostante i dibattiti, infatti, Israele alla fine non è stato escluso dalle Olimpiadi ad esempio, dai mondiali di calcio, né da festival del cinema o dall’Eurovision, come invece è stato fatto per tanti altri Paesi accusati di violare il diritto internazionale. E questo non è un punto secondario o poco rilevante, ma è una prova di quanto l’azione di Israele sia stata normalizzata all’interno della comunità internazionale.
Il sostegno militare al governo di Netanyahu
C’è poi l’aspetto militare. Nonostante moltissime risoluzioni delle Nazioni Unite, fin dagli anni Settanta, chiedessero l’embargo di armi a Israele, tantissimi Stati hanno continuato a vendergliele come se nulla fosse. Il report ne cita in particolare tre, descritti come i principali fornitori di armi e di tecnologia militare a Israele. E questi sono: Stati Uniti, Germania e Italia. Sono invece pochissimi quelli occidentali che, almeno negli ultimi anni, hanno deciso di tagliare completamente la vendita di armi a Israele: e qui vengono citate la Spagna e la Slovenia.
Ma tornando alla prima categoria, quella dei Paesi che sostengono militarmente Israele. In particolare chiaramente si parla degli Stati Uniti, che fin dalla creazione dello Stato ebraico gli hanno venduto moltissime armi. Ma il supporto militare è aumentato dopo il 7 ottobre, nonostante le IDF non rispettassero gli stessi paletti che la Casa Bianca metteva: ad esempio, nella primavera del 2024, quando Joe Biden era presidente, il Congresso approvò un pacchetto da 24 miliardi e mezzo di dollari nonostante in quegli stessi giorni l’esercito israeliano stesse annunciando l’invasione di Rafah, incurante della linea rossa imposta da Washington, che aveva intimato di non farlo.
Molti altri Paesi magari non sono stati così espliciti nel loro sostegno militare a Israele, ma hanno continuato a supportare le IDF e il governo di Netanyahu, magari con relazioni opache, ad esempio vendendo mezzi e tecnologie dal cosiddetto “dual use”, cioè che possono essere venduti in ambiti civile e poi utilizzati in quello militare.
Cosa è successo sul fronte umanitario
C’è poi l’ambito umanitario. Il rapporto sostiene che alcuni Paesi terzi hanno facilitato il deterioramento delle condizioni di vita a Gaza, fino ad arrivare alla carestia e alla catastrofe umanitaria. Dopo il 7 ottobre, quando Israele ha accusato alcuni membri dell’Unrwa – l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi – di aver partecipato all’attacco di Hamas, diversi Paesi occidentali hanno subito sospeso i finanziamenti e il supporto all’agenzia, che gestiva la stragrande maggioranza degli aiuti umanitari nella Striscia. E lo hanno fatto solo basandosi sulla parola del governo israeliano, che non aveva portato alcuna prova a sostegno delle sue accuse.
E poi, quando dalle restrizioni si è passati al blocco illegale, invece che denunciarlo e intervenire, come previsto dal diritto internazionale, per assicurare la corretta distribuzione degli aiuti umanitari alla popolazione civile, alcuni Paesi si sono limitati a lanciare dei grossi pacchi con i paracadute. Una modalità che non solo non garantiva una corretta distribuzione, ma che si è rivelata pericolosissima, finendo per uccidere diverse persone. E ancora, quando le missioni navali umanitarie sono state illegalmente intercettate in acque internazionali e abbordate, i governi occidentali non hanno mosso un dito.
La cooperazione commerciale con Israele
Infine, c’è la questione economica. Nel suo precedente report Francesca Albanese aveva raccontato in modo dettagliato la complicità del settore privato, che permetteva a Israele di sostenere e perpetrare le sue politiche genocidiarie. In questo nuovo documento analizza invece la partecipazione statale a questo sistema economico. Ad esempio, sottolinea che nel 2024 il commercio internazionale componeva il 54% del Pil israeliano e che l’Unione europea fosse il principale partner, ricoprendo circa i due terzi del totale degli scambi commerciali israeliani.
Ma mantenere normali rapporti commerciali con un Paese, nonostante le violazioni del diritto internazionale e i crimini contro l’umanità commessi, di fatto vuol dire sostenere quelle azioni. Ed è per questo che Albanese parla del genocidio come crimine internazionale e collettivo: non è stato commesso da un attore isolato, è stato commesso con il via libera di troppi Paesi. Che invece avrebbero dovuto opporsi. Avrebbero potuto implementare un embargo delle armi o commerciale, avrebbero potuto perseguire i crimini nelle sedi opportune, come i tribunali internazionali. Avrebbero potuto tagliare le relazioni diplomatiche, escludere Israele dalla comunità allargata.
Un crimine internazionale e collettivo
Queste sono le azioni che già in passato sono state messe in atto, ad esempio per porre fine al regime di apartheid in Sudafrica. Insomma, ci sono delle cose che si possono fare per fermare Israele. Ad oggi, però, i Paesi occidentali hanno fatto tutto il contrario. E questo ha permesso che le pratiche coloniali e genocidiarie a danno dei palestinesi andassero avanti, ancora e ancora.
Siamo a un bivio, se non l’abbiamo già superato: possiamo continuare in questa rotta, smantellando una volta per tutte le norme e il diritto internazionale, che a quel punto non avrebbero più alcuna ragione di essere, se tanto possono essere sistematicamente violati nella totale impunità. Oppure si può restaurare la legalità, il diritto. E fare in modo che il governo israeliano risponda dei suoi crimini. E che il popolo palestinese abbia giustizia.
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